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Vestibolite vulvare e vulvodinia – Terza parte
La terapia

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17/04/2008

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Introduzione

La vestibolite vulvare è un’infiammazione multifattoriale e multisistemica della mucosa del vestibolo vaginale. Essa tende a cronicizzarsi, se non viene diagnosticata in tempo e se non viene sottoposta a un trattamento multidisciplinare sul piano medico, riabilitativo e psicosessuale.
Quando il dolore vulvare diventa cronico, spontaneo o provocato, e si mantiene anche dopo la risoluzione del quadro infiammatorio, si parla di vulvodinia e di dolore neuropatico, che si genera nelle vie e nei centri del dolore, diventando malattia a se stante. La vulvodinia persiste anche indipendentemente dal rapporto sessuale o da altri fattori scatenanti, e può diventare invalidante a livello di vita quotidiana.
In positivo, la diagnosi precoce interrompe il circolo vizioso del peggioramento e può consentire la guarigione. Ecco perché conoscere la complessità di questa patologia può aiutare la donna a riconoscere i singoli fattori più importanti nel suo caso, così da stabilire con il medico la collaborazione più costruttiva per la diagnosi e la terapia.
Nelle prime due schede (Vestibolite vulvare e vulvodinia - Prima parte: Dalle cause alla diagnosi: l’iperattivazione del mastocita; Vestibolite vulvare e vulvodinia - Seconda parte: Dalle cause alla diagnosi: l’ipertono muscolare e l’iperattivazione del sistema del dolore) abbiamo spiegato:
- che cos’è la vestibolite vulvare, e perché può evolvere nella vulvodinia;
- i sintomi principali;
- i fattori che la provocano: l’iperattivazione del mastocita, l’ipertono del muscolo elevatore dell’ano e l’iperattività del sistema del dolore;
- gli eventi attraverso i quali questi fattori conducono alla vestibolite e, se non curati, alla vulvodinia;
- le comorbilità urologiche, ginecologiche e proctologiche che possono accompagnarsi all’ipertono del pavimento pelvico;
- come il partner possa contribuire all’insorgere del disturbo.
In questa ultima scheda illustriamo le terapie più efficaci a livello di:
- riduzione diretta dell’iperattività del mastocita;
- contenimento dei fattori agonisti che, causando infiammazione tissutale, mantengono l’iperattività del mastocita;
- rilassamento dei muscoli perivaginali tesi;
- modulazione del dolore.
Prenderemo infine in considerazione indicazioni e limiti della vestibolectomia, ossia dell’intervento di asportazione chirurgica dei tessuti infiammati.

Dalla vestibolite vulvare e dalla vulvodinia si può guarire?

Tutti i sintomi della vestibolite hanno una solida base biologica e quindi medica, come abbiamo visto nelle schede precedenti. Questa malattia può quindi essere curata e guarita (Bachmann et Al. 2006; Graziottin 2004; Graziottin e Brotto 2004; Jack 1996; Plaut et Al. 2004; Graziottin et Al. 2004; Graziottin e Giovannini 2005; Graziottin 2008a, 2008b). La guarigione richiede in media 6-9 mesi di cura.
Il tempo di terapia può essere molto più lungo in caso di vulvodinia severa, dopo anni di dolore neuropatico perché la malattia non è stata diagnosticata e curata in tempo. In tal caso la componente antalgica della terapia diventa predominante.
Purtroppo per decenni, se non addirittura per secoli, il dolore sessuale – soprattutto femminile – è stato considerato solo nelle sue componenti psicologiche. In realtà, il 10-15% delle donne, nel corso della vita, prova dolore durante i rapporti: una percentuale altissima, che sale al 32-44% dopo la menopausa, quando la secchezza vaginale rende doloroso ogni tentativo di intimità, complicandola con bruciori e cistiti.
Il dolore genitale è spesso trascurato dai medici, perché in Italia, come nel resto del mondo, manca una preparazione clinica specifica. Il dolore in generale, e quello durante i rapporti sessuali in particolare, spesso viene banalizzato, perché se ne ignorano le basi biologiche, e non è raro sentire frasi come queste: «È un problema psicologico, signora», «È tutto nella sua testa, il dolore», «Si calmi, si rilassi e vedrà che le passa».
L’omissione diagnostica porta con sé un pesante ritardo terapeutico che in media, nella vestibolite vulvare, è di 4 anni e 8 mesi (Graziottin e Brotto 2004): un fatto tanto più grave se si pensa che la diagnosi precoce è indispensabile per evitare il cronicizzarsi dei disturbi.

La vostra voce – Quale terapia?

La mia ragazza non è una che se li inventa, i dolori. La conosco bene. Siamo stati benissimo insieme per due anni, senza alcun problema. Poi è iniziato il calvario, dopo una infezione da Candida. Dopo tre anni di dolore, a chi non verrebbe la depressione? Io le voglio bene anche più di prima. Ma cosa si può fare per aiutarla a guarire?


Ho letto su un giornale che per il mio problema si usa sempre più spesso la tossina botulinica... Che cos’è? E’ davvero efficace come dicono?


Il dottore mi ha dato un gel con cui massaggiarmi tutti i giorni... Mi sembra di rivivere! Ma come è possibile che un rimedio così semplice risolva una problema che si trascinava da mesi?


Sono quattro anni che vado avanti con un male pazzesco! L’ultima volta mi hanno consigliato un piccolo intervento chirurgico: «Non fa male, e toglie di mezzo il pezzetto di vestibolo infiammato». Ma io non è che sia proprio convinta... E se poi il male non mi passa?


Me lo aveva già detto mia mamma, che non ha studiato ma ha tanto buon senso: «Ti lavi troppo e con saponi troppo aggressivi!». E puntuale è arrivata la conferma dalle ultime analisi: il mio pH è troppo alto, e questo può spiegare perché l’infiammazione non se ne va.


A me hanno consigliato di cambiare tante piccole abitudini che, però, tutte insieme, contribuivano a farmi star male. Ora non metto più i jeans, mangio molta verdura, evito la pizza e i dolci, che pure mi piacevano da morire... E in effetti un po’ meglio mi sento. Adesso aspetto che anche le cure facciano il loro effetto, ma non sono più disperata come prima.

Quali sono le cure più efficaci?

La terapia è efficace e risolutiva quando cura tutti i fattori che possono scatenare la malattia: iperattivazione del mastocita, contrazione muscolare, sovrastimolazione del sistema del dolore. Deve essere messa a punto e personalizzata da un ginecologo/a esperto in questo campo, in base alla gravità e alla durata dei sintomi nella singola donna, e all’esame clinico.
Il corpo umano utilizza esattamente gli stessi meccanismi di difesa in organi diversi. Questo è vero in particolare per la risposta infiammatoria e il viraggio del dolore da nocicettivo a neuropatico. Per questo l’interdisciplinarietà può aiutare molto a rileggere in chiave multisistemica processi altrimenti difficilmente spiegabili.
Le linee terapeutiche includono:
1. la riduzione dei fattori “agonisti” che, causando infiammazione tissutale, mantengono l’iperattività del mastocita;
2. la riduzione diretta dell’iperattività del mastocita;
3. il rilassamento dei muscoli perivaginali tesi;
4. la modulazione del dolore.
La combinazione terapeutica più efficace viene sempre personalizzata dal medico in base ai fattori predisponenti, precipitanti e di mantenimento, e alla gravità e durata dei sintomi.

La riduzione dei fattori "agonisti"

La riduzione dei fattori “agonisti” che, causando infiammazione tissutale, mantengono l’iperattività del mastocita (Graziottin 2005, 2008a) può avvenire attraverso:

a) la prevenzione delle recidive di infezioni vaginali. Vediamo in dettaglio le indicazioni:
I. la micosi cronica da Candida (Graziottin e Murina 2010; Murina, Graziottin et Al. 2011) è presente nel 58,1% delle pazienti affette da vestibolite vulvare, contro una prevalenza del 5-8% nella popolazione generale (Sobel et Al. 2004). Tale elevata prevalenza indica la necessità di trattare preventivamente la Candida con antimicotici per evitarne le recidive: le microabrasioni della mucosa vestibolare provocate da rapporti in condizioni di secchezza vaginale possono infatti attivare anche minime quantità di spore di Candida presenti nell’ecosistema vaginale e sino a quel momento silenti. Il trattamento può includere: l’itroconazolo (200 milligrammi per via orale al dì per tre giorni, ogni due settimane per tre mesi, e poi una volta al mese per tre mesi); il fluconazolo (150 milligrammi una volta la settimana). Questa terapia riduce in modo significativo le recidive di Candida nelle pazienti con candidiasi cronica: del 90,8% a 6 mesi e del 42,9% a 12 mesi (Sobel et Al. 2004). Anche il partner andrebbe trattato per il primo mese, per evitare una reinfezione a “ping pong”;
II. infezioni da Gardnerella o Emofilo: queste infezioni sono generalmente associate a un pH vaginale pari a 5.0 o superiore. L’uso di tavolette vaginali di acido borico (300 milligrammi) una volta al giorno per 10 giorni al mese si è rivelato utile nel ridurre le recidive (Graziottin e Brotto 2004). Le tavolette vaginali di vitamina C producono un effetto simile. Non vanno tuttavia applicate nelle fasi acute dell’infiammazione perché possono aumentare la sensazione di bruciore. Sono invece ottime a mucosa integra, perché contribuiscono a mantenere un pH adeguato e un ecosistema vaginale appropriato;

b) l’astensione dalla penetrazione finché non sia guarita l’infiammazione vestibolare, per evitare i microtraumi della mucosa;

c) il cambiamento degli stili di vita inappropriati, come l’uso di saponi aggressivi, gli indumenti troppo stretti o aderenti, e i cibi contenenti zuccheri semplici (glucosio) e lieviti. In particolare:
I. un’attenzione particolare va riservata all’igiene intima. Lavaggi troppo frequenti o con detergenti troppo aggressivi (con un pH neutro o alcalino) eliminano lo strato idrolipidico che è invece essenziale per la protezione della cute vulvare. Così facendo la cute diventa sempre più secca e i sintomi della malattia peggiorano. L’uso frequente di saponi e lavande rende inoltre i tessuti più fragili e più esposti all’aggressione di batteri e virus, di microtraumi e allergeni. E’ quindi indispensabile usare i detergenti non più di una o due volte al giorno, preferendo prodotti a base di timo o di salvia (se si è in età fertile), o di camomilla (dopo la menopausa), tutte sostanze che hanno naturali proprietà antinfiammatorie. Se si avverte la necessità di lavarsi ulteriormente, l’acqua tiepida è più che sufficiente. I saponi a base di timo, fra l’altro, possono ridurre significativamente anche il gonfiore, il bruciore e il dolore genitale che molte donne lamentano dopo il parto, specialmente se hanno subìto l’episiotomia, come ha recentemente dimostrato uno studio italiano condotto su oltre duemila donne in tutto il territorio nazionale;
II. evitare la protezione intima con salvaslip tutto il mese, perché questo impedisce la trasudazione delle secrezioni vaginali. Il salvaslip mantiene inoltre le secrezioni della vagina a contatto con la mucosa del vestibolo vulvare, irritandola;
III. evitare i jeans e i pantaloni: in particolare la cucitura rigida dei jeans, specie se molto aderenti, può facilitare microabrasioni e infiammazione della mucosa del vestibolo, già resa più fragile dalla vestibolite;
IV. un’alimentazione sana migliora l’ossigenazione dei tessuti e contribuisce a mantenerli tonici ed elastici. In particolare la frutta, la verdura e i cosiddetti prodotti “probiotici” (yogurt e altri latticini arricchiti con fermenti lattici) possono influire sull’ecosistema del colon e potenziare le difese contro i diversi agenti infettivi;

d) la correzione della stipsi, per ridurre il rischio di infezioni da Escherichia Coli e altri germi intestinali, e rimuovere un fattore che, causando ragadi e/o microabrasioni della mucosa anale, può contribuire a uno stato infiammatorio della mucosa anorettale e stimolare la contrazione difensiva del mucolo elevatore.

La riduzione diretta dell'iperattività del mastocita

La “down-regulation” del mastocita iperattivo è la nuova frontiera di ricerca e terapia nell’infiammazione e nel dolore cronico. La riduzione diretta dell’iperattività del mastocita avviene attraverso:
a) farmaci che riducano la degranulazione del mastocita, come la amitriptilina (McKay 1993), la quercetina e/o farmaci che modulino i recettori cannabinoidi del mastocita (Graziottin 2006a; Graziottin e Brotto 2004; Mariani 2002; Reissing e Al. 2003, Farquhar-Smith et Al. 2002; Malan et Al. 2002)
b) sostanze anti-infiammatorie da applicare sul vestibolo vaginale, con un leggero massaggio, due-tre volte al giorno. Fra queste è prezioso un gel a base di aliamidi (Jack 1996), appositamente studiato per ridurre l’iperattivazione del mastocita, e quindi l’infiammazione, l’iperstimolazione delle terminazioni nervose del dolore e il bruciore. Questo tipo di gel è prezioso anche in caso di vulnerabilità alle vaginiti. Va però ricordato che il trattamento topico va evitato nella fase acuta del disturbo perché l’iperregolazione del mastocita aumenta la probabilità di reazioni allergiche locali.

Il rilassamento dei muscoli perivaginali tesi

Il rilassamento dei muscoli perivaginali tesi può avvenire (Graziottin 2001):
a) con automassaggio e stretching (che la donna può fare da sola, quotidianamente);
b) con biofeedback di rilassamento, una tecnica con cui la donna, insieme al medico o al/la fisioterapista, impara a comandare correttamente il muscolo elevatore (Glazer et Al. 1995; McKay et Al. 2001);
c) con fisioterapia per la riabilitazione del pavimento pelvico (Bourcier et Al. 2004);
d) con la tossina botulinica di tipo A (per ora a livello sperimentale), ma solo quando la tensione è fortissima e non si risolve con le tecniche precedenti. Si tratta di casi in cui l’ipertono dell’elevatore è stabile, spesso associato a cause miogene e/o a dispareunia fin dall’inizio della vita sessuale, condizioni che si sono poi complicate con la comparsa della vestibolite vulvare. Il rilassamento muscolare può spezzare il circolo vizioso, eliminando la causa miogena di dolore e consentendo una migliore ossigenazione dei tessuti.
L’uso di dilatatori vaginali progressivi, combinati con il rilassamento attivo volontario del pavimento pelvico, può facilitare l’acquisizione del controllo delle sensazioni e delle emozioni provocate dalla penetrazione, e modificare quella che può essere definita la “geografia inconscia” del corpo e, in particolare, dei genitali: «Dove prima c’era un muro, ora c’è una porta» (Graziottin 2006a, 2006b; Graziottin e Rovei 2007; Plaut et Al. 2004).
L’obiettivo principale di questo gruppo di terapie è riabilitare il pavimento pelvico (Plaut et Al. 2004, Graziottin 2008b):
1. aumentando la propriocezione consapevole della muscolatura;
2. migliorando il rilassamento e la discriminazione muscolare;
3. normalizzando il tono muscolare ed eliminando così la componente mialgica;
4. aumentando l’elasticità dei tessuti vestibolari e riducendo la sensibilità dell’area dolorante;
5. riducendo la paura della penetrazione;
6. migliorando la vascolarizzazione e l’ossigenazione dei tessuti.

La vostra voce – Le terapie efficaci (I)

Non pensavo che la dieta potesse incidere così tanto: praticamente all’università vivevo di pizze e dolci. Cambiare dieta è stato durissimo: però mi sono sgonfiata, ho anche perso 5 chili, e soprattutto la Candida non è più tornata!

Per me la terapia più utile è stato conoscermi: capire che avevo un muscolo che non sapevo nemmeno che esistesse, che davvero si comporta come una porta. Adesso che ho imparato a rilassarlo con il biofeedback, tutto è diventato semplice: non ho più dolori, il rapporto è finalmente piacevole, senza nessun bruciore dopo. Un’altra vita!

Per me l’aiuto più importante è stato io marito. E’ lui che cercando su Internet ha trovato il medico giusto. Che mi ha incoraggiato quando ero disperata, che mi ha accompagnato sempre alle visite (abitiamo a trecento chilometri dal centro in cui ero in cura). Che ha avuto pazienza in tutti questi anni. Il nostro amore è diventato più forte e profondo con tutte queste prove. Lui me lo dice sempre. E adesso che il dolore è scomparso, che abbiamo rapporti sereni e anche un bellissimo bambino, nonostante tutto il male passato, io mi sento davvero una donna fortunata.

La modulazione del dolore a livello centrale

La modulazione del dolore, infine, può avvenire a livello centrale e locale.
Nei casi più severi di vulvodinia, quando sia presente una componente neuropatica (Edwards et Al. 1997; Graziottin e Brotto 2004; Shanker e McAuley 2005; Vincenti e Graziottin 2004; Peters et Al. 2007), può essere consigliata un’analgesia sistemica orale che includa:
- antidepressivi triciclici: amitriptilina, con dosi crescenti da un minimo di 10 a un massimo, se ben tollerato, di 60 milligrammi al dì (McKay 1993);
- anticonvulsivanti, che agiscono molto bene anche come analgesici: essi infatti riducono la velocità di progressione degli stimoli dolorosi lungo le vie polisinaptiche midollari e del tronco fino al talamo, e soprattutto il “firing” cerebrale corticale da parte degli stimoli algici. Si possono usare:
o il gabapentin, 300-900 milligrammi al dì;
o il pregabalin, 75 milligrammi due volte al giorno. La dose può essere superiore, ma sempre e solo su prescrizione dal medico curante, in caso di dolore neuropatico severo.
La terapia farmacologica antalgica consente di innalzare la soglia del dolore. In parallelo, il trattamento del pavimento pelvico mialgico contribuisce a ridurre questa componente del dolore (Graziottin 2006a; Graziottin e Brotto 2004).
Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), infine, modulano sia la depressione, sia la percezione del dolore, riducendo il numero di stimoli dolorosi che dalla periferia del corpo entrano nel midollo spinale per viaggiare verso il cervello.
ATTENZIONE!
In ogni caso è il medico curante a decidere il tipo di farmaco, il dosaggio iniziale, le modalità di incremento delle dosi dei farmaci e il dosaggio massimo. E’ assolutamente sconsigliata l’autovariazione delle dosi, senza consultare il proprio medico curante.

La modulazione del dolore a livello locale

A livello periferico, la terapia antalgica può procedere con:
a) con elettroanalgesia locale: consiste nell’applicazione di onde elettriche a basso voltaggio nell’area dolorante. Procura un senso di leggero prurito e una progressiva riduzione del dolore (Nappi et Al. 2003);
b) con blocco antalgico del ganglio impari (o dei nervi sacrali o pudendi): è consigliato quando il dolore divenga insopportabile e altri trattamenti si siano rivelati inutili (Vincenti e Graziottin 2006):
A livello cognitivo-comportamentale, infine, una terapia di gruppo mirata al rilassamento generale del corpo e della mente può migliorare anche la sintomatologia e la tensione dell’elevatore, seppure in modo meno significativo rispetto a tecniche più mirate, specificamente antalgiche.
Eliminato il dolore, è altrettanto importante un’adeguata terapia sessuologica per ritrovare la piena normalità della risposta sessuale: desiderio, lubrificazione, orgasmo e, importantissimo, il piacere dell’intimità.
Il medico, infine, ha un ruolo chiave nell’individuare la segreta simmetria fra tono dell’umore e percezione del dolore. E dal momento che la depressione è una causa molto potente sia di amplificazione delle percezioni dolorose, sia di non-aderenza alle terapie antalgiche, un’eventuale terapia antidepressiva di modulazione, farmacologica, associata o meno a psicoterapia, può rivelarsi essenziale per migliorare la compliance e la guarigione.

La vostra voce – Le terapie efficaci (II)

L’idea di prendere psicofarmaci per stare meglio non mi piaceva, anche se il medico mi aveva spiegato che in realtà servivano per ridurre l’infiammazione e il dolore. Però, visto che in altri modi non miglioravo, alla fine mi sono arresa. E, in effetti, dopo tre mesi il dolore ha cominciato a cedere. Ma ci sono voluti un anno di cura, e tanta buona volontà: la dieta, niente pantaloni, gli antimicotici e quei farmaci, che alla fine mi hanno consentito di guarire.

Fin dalla prima visita, il medico mi ha spiegato che il dolore era molto intenso (“neuropatico”). Che si trattava di “vulvodinia” e che era meglio iniziare subito sia la terapia medica, sia la terapia antalgica con un anestesista esperto di questa patologia. Le iniezioni sono molto dolorose e vanno fatte ogni venti giorni. Per sei mesi è stata dura. Ma adesso non ho più dolore. Quasi ho paura a dirlo: sono guarita.

La terapia medica della vestibolite è andata bene. Io sono una “fantastica tedesca”, come dice soddisfatta la mia ginecologa, nel senso che ho fatto tutte le cure scrupolosamente: e infatti in quattro mesi bruciore e dolore erano completamente scomparsi. Stavo bene! Però mi era rimasta una paura pazzesca di riprendere i rapporti, che tutto il mio dolore potesse ricominciare. Allora mi ha consigliato una psicoterapia, che mi ha aiutata ad affrontare tutte le mie paure dell’intimità e anche il blocco che si era creato tra me e mio marito. Solo dopo un anno siamo riusciti a ritrovarci insieme, finalmente bene...

Ho sempre avuto tante fobie, che non collegavo tra loro. Paura di guidare, di nuotare, paura dei serpenti. E paura del dolore al rapporto, fin dalla prima volta. La causa prima di tutto quel bruciore stava nella fobia e nel vaginismo, che poi faceva contrarre i muscoli. E che aveva causato quei taglietti e tutta l’infiammazione, quando tentavo di avere dei rapporti, tutta contratta com’ero. Così la ginecologa mi ha consigliato una psicoterapia in parallelo all’uso di farmaci per ridurre le fobie e curare anche la vestibolite. Pian piano ho capito che il problema sessuale era solo uno dei miei blocchi. Superato quello, grazie alla fiducia in me che ho conquistata, non ho solo risolto il dolore hai rapporti: mi è cambiata la vita. Mi sono sentita meno impaurita, più coraggiosa: ho preso la patente e fatto il mio primo corso di nuoto! Ho capito che in realtà, prima, avevo paura di vivere. E’ stato un percorso lungo e faticoso, ma adesso per la prima volta mi sento una donna completa e una ragazza come le altre: normale!

E la vestibolectomia?

La vestibolectomia è l’ultima risorsa per trattare i casi che non rispondano ad alcun trattamento conservativo fra quelli sopra indicati. L’intervento prevede la rimozione della mucosa con l’associata proliferazione nervosa che porta all’ipersensibilità: l’incisione si estende da circa 5 millimetri al di sotto e ai lati dell’uretra alla forchetta posteriore, che è a circa ore 6 guardando l’entrata vaginale come al quadrante di un orologio. L’area dell’intervento viene ricoperta con tessuto sano prelevato dalla vagina (Marin 2001; Schneider et Al. 2001).
Il tasso di successo, in termini di riduzione del dolore, è circa del 60–70%. Tuttavia, il 25-30% dei pazienti lamenta la persistenza o addirittura il peggioramento dei sintomi dopo la vestibolectomia, specie in caso di dispareunia presente fin dai primi rapporti. Il che suggerisce un vaginismo primario che deve essere affrontato nella sua complessità, invece che aggredito chirurgicamente (vedi Il vaginismo - Quarta parte: Come lo si cura)
Personalmente non consiglio questo tipo di intervento, perché ritengo che il trattamento debba essere conservativo, ossia rispettoso dell’integrità dei tessuti genitali, come del resto si fa in ogni sindrome dolorosa di altre parti del corpo. Nessuno si sognerebbe di tagliare una mano, in caso di dolore persistente alla mano stessa, o una gamba, in caso di nevralgia all’arto inferiore. La vestibolectomia è l’unico caso in medicina in cui si affronta un dolore cronico “tagliando via” la parte dolente.
La conoscenza della fisiopatologia dell’infiammazione e del dolore ci dà tutti gli strumenti, di comprensione e di intervento, per riportare il tessuto a guarigione. Con risultati tanto più rapidi e soddisfacenti quanto più la diagnosi è precoce e accurata nel riconoscere e curare le diverse componenti che concorrono a cronicizzare l’infiammazione e a determinare il viraggio da dolore acuto a dolore cronico, e da vestibolite vulvare a vulvodinia.

In sintesi

- Dalla vestibolite vulvare si può guarire, mediamente in 6-9 mesi
- La terapia può essere molto più lunga in caso di vulvodinia severa
- Le terapie operano a livello di: contenimento dei fattori agonisti che inducono e mantengono l’iperattività del mastocita; riduzione diretta dell’iperattività del mastocita; rilassamento dei muscoli perivaginali tesi; modulazione del dolore
- La riduzione dei fattori agonisti può essere ottenuta attraverso: la prevenzione delle recidive di Candida o di altre infezioni; l’astensione dalla penetrazione finché l’infiammazione non sia guarita; il cambiamento degli stili di vita inappropriati (uso di saponi aggressivi, indumenti troppo aderenti, cibi con zuccheri semplici o lieviti); la correzione dell’eventuale stipsi
- La riduzione diretta dell’iperattività del mastocita avviene attraverso: farmaci che riducono la degranulazione del mastocita; farmaci che modulano i recettori cannabinoidi del mastocita; sostanze antinfiammatorie da applicare sul vestibolo vaginale
- Il rilassamento dei muscoli perivaginali tesi avviene con: automassaggio e stretching; biofeedback di rilassamento; fisioterapia; impiego della tossina botulinica di tipo A (solo quando la tensione non si risolve con altre tecniche)
- La modulazione del dolore, infine, può operare a livello centrale (analgesia sistemica a base di antidepressivi triciclici e anticonvulsivanti) e locale (elettroanalgesia locale, blocco antalgico del ganglio impari)
- La psicoterapia è indicata, in associazione alla terapia medica, tutte le volte in cui il dolore riconosca un fattore predisponente a forte componente psicosessuale come il vaginismo, o fattori psicologici personali o di coppia che possono concorrere a causare e/o mantenere il dolore
- La vestibolectomia è l’ultima risorsa da considerare, comunque con cautela, per i casi che non rispondano ad alcun altro trattamento

Approfondimenti generali

Graziottin A. Murina F.
Vulvodinia. Strategie di diagnosi e cura
Springer Verlag Italia, Milano, 2011

Graziottin A. Murina F.
Clinical management of vulvodynia
Springer Verlag Italia, Milano, 2011

Graziottin A.
Il dolore segreto – Le cause e le terapie del dolore femminile durante i rapporti sessuali
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Approfondimenti specialistici

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