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La nostra vita testimonia che il dolore può essere sconfitto

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27/03/2009

Le vostre lettere alla nostra redazione

Questa settimana pubblichiamo la testimonianza di Marco M., marito di Marina L. (Dalla diagnosi negata alla terapia giusta, il mio lungo viaggio nel dolore e nella solitudine).

Sono sposato con Marina L. da più di tre anni e prima del matrimonio siamo stati fidanzati per nove.
Il nostro rapporto è stato, ed è, molto forte ed intenso e, come è naturale, molti anni fa abbiamo iniziato ad avere rapporti sessuali. Sennonché la nostra vita di coppia è stata segnata per troppo tempo da numerosi episodi di cistite e di dolore intimo che Marina ha avuto e che hanno comportato, anche, lunghissimi periodi di astensione dai rapporti.
Prima che ci sposassimo, Marina aveva avuto alcuni episodi di cistite (in un caso addirittura aveva avuto le urine completamente rosse di sangue), ma in una sola circostanza le analisi aveva riscontrato la presenza di Escherichia coli: le volte successive i risultati degli esami avevano sempre avuto esito negativo.
Marina lamentava, ogni volta che le capitavano questi attacchi di cistite (che avevamo notato si presentavano spesso dopo i rapporti sessuali, a distanza di 24-48 ore dagli stessi), un senso di pesantezza alla vescica e di indolenzimento al basso ventre che stentavano sempre di più a passare.
Ogni volta che capitava una cistite cercavo, sia con Marina che con me stesso, di minimizzarne l’importanza, ripetendomi che poteva succedere: anzi, da quello che leggevamo, le donne che ne soffrivano erano molte di più di quel che si pensasse. Ma gli episodi si ripetevano in successione. Il timore che la salute di Marina peggiorasse ad ogni nuovo episodio e che la nostra vita di coppia potesse essere segnata profondamente dalla malattia mi stringeva il cuore e mi faceva guardare al futuro con preoccupazione.
La situazione si compromise definitivamente dopo il matrimonio, ma già durante il viaggio di nozze Marina ebbe un caso di cistite violentissima.
I giorni trascorsi in viaggio erano stati realmente magici e tutto era andato come mai prima di allora. Poi arrivò quella notte lunghissima, durante la quale Marina era scossa e piegata dal dolore.
Tornati in Italia ci vollero diversi mesi prima che Marina si sentisse bene, anche se diceva di non essere tornata completamente in salute come un tempo. Pareva che ogni volta il recupero fosse più difficoltoso e la salute si arrestasse a stadi sempre più precari e bassi rispetto alla volta precedente.
L’ultimo caso di cistite fu quello decisivo.
Da allora il dolore divenne cronico, si ampliò e si trasformò: il dolore vescicale si allargò e divenne anche dolore vulvare e, da ultimo, anale. Un senso di tumefazione le prendeva oramai tutto il basso ventre. Alla fine si aggiunse il bruciore, che aumentava nel corso della giornata e dal pomeriggio fino a sera le rendeva perfino difficile stare seduta.
Questo stato durò un anno e mezzo. E in quest’anno e mezzo Marina tentò ogni rimedio.
Ogni volta che ci recavamo da un nuovo medico, speravamo con tutto il cuore che quella fosse finalmente la volta buona, ma avevamo anche tanta paura che tutto potesse risolversi in un fallimento totale. E così fu la volta della ginecologa e poi della dermatologa, e poi dell’urologa, e di nuovo del ginecologo e dopo ancora di una nuova ginecologa.
I consigli erano quasi sempre i soliti, e ormai li avevamo imparati bene: bere molto, usare lavande, assumere estratti di mirtillo e pazientare.
Soltanto il ginecologo, professore ordinario, aggiunse una cosa che gli altri medici non ci avevano mai detto: che i rapporti sessuali dovevano riprendere assolutamente, anzi che “era inaudito che li avessimo interrotti”. Marina uscì offesa ed allibita da quella visita. Io ero confuso. A chi dovevo credere? A Marina, che mi diceva che il dolore era tale da rendere impensabile un rapporto, o al medico, vecchio professore, che ci rimproverava di non avere più una vita intima? Marina non poteva avere rapporti, o in realtà non voleva averne? Ero turbato; mi sentii quasi tradito da Marina e non capii che la stavo tradendo io. Dapprima tacqui, poi parlai. Ne seguì una lunga litigata, durante la quale mi resi conto dell’assurdità dei dubbi e dei pensieri che avevo avuto e dell’offesa che avevo arrecata a Marina: le ero vissuto accanto per mesi, l’avevo vista soffrire e piangere, ed una frase così infelice e priva di umanità era bastata a mettermi in crisi. Le chiesi perdono.
La pazienza fu l’altro rimedio che ci fu prescritto dai medici. E di pazienza, tanta pazienza, Marina ed io ci armammo fino all’inverosimile: ma il persistere inalterato di tutta la sintomatologia e vedere che nulla cambiava in meglio ci fece disperare, fino al punto da pensare più e più volte che tutto fosse definitivamente compromesso. Un senso di impotenza mi ha pervaso in tutti quei momenti e per molto tempo. E il senso di impotenza, paradossalmente, ha amplificato, anziché eliminarlo, il senso di colpa per non riuscire a fare niente per Marina, se non dirle che prima o poi quel maledetto dolore sarebbe passato.
Marina però non volle mai rassegnarsi, anche se i momenti di sconforto furono moltissimi. Era spinta dalla voglia di capire cosa le stesse accadendo e dalla volontà di guarire. Non poteva accettare di dover vivere in quello stato, che non ci fosse alcuna diagnosi per il dolore che provava e tanto meno alcun rimedio, e che quello fosse un dolore che l’avrebbe accompagnata chissà fino a quando.
Continuò a cercare senza sosta, anche spinta, a un certo punto, dalla forza della disperazione, fino a quando un giorno non decise di comprare un libro che trattava del dolore intimo delle donne.
Arrivati a casa iniziò immediatamente a leggerlo ed ecco trovò descritti i suoi sintomi, uno per uno: mi chiamò, lesse e rilesse anche a me le pagine del libro che trattavano della vestibolite vulvare e mi disse che, forse, ora sapeva cosa poteva essere.
Decidemmo, quindi, di fissare un appuntamento con il medico che aveva scritto il libro: il medico riceveva lontano, a ore di treno da dove viviamo, ma dopo tutta la sofferenza di quell’anno e mezzo nulla poteva fermare Marina...
Ricordo ancora il giorno, tanto atteso, della visita, il lungo viaggio, ma soprattutto le cose che per la prima volta ci venivano dette, i consigli mai ricevuti, le terapie che mai nessuno aveva prescritto.
Era questa, finalmente, la volta buona: seguendo la nuova terapia, Marina iniziò lentamente a stare meglio. C’è voluto tempo, alcune opportune sostituzioni di farmaci e tanto impegno da parte di Marina, ed in parte anche mio.
Oggi Marina è guarita, è felice di aver ritrovato la salute e abbiamo nuovamente una nostra vita di coppia, senza più problemi e molto più bella e intensa di prima.
E’ stato un giorno fortunato quello in cui Marina lesse, non per caso, di quel libro sul dolore intimo delle donne e volle comprarlo, perché da lì è iniziata, senza che ancora lo sapessimo, la nostra rinascita. Ai mariti o ai compagni delle donne che oggi vivono una malattia come quella di Marina dico questo: non lasciatevi sopraffare dai giorni e mesi bui che vive vostra moglie o la vostra compagna, e che voi stessi vivete insieme a lei, e non lasciatela sola nei tanti momenti di sconforto e dolore. Dalla malattia si può guarire e il dolore può essere sconfitto: la nostra vita ne è una testimonianza.

Marco M.

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