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Vestibolite vulvare: un nemico ostile e agguerrito, ma non invincibile - Terza parte

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13/03/2009

Le vostre lettere alla nostra redazione

Questa settimana pubblichiamo la terza e ultima parte della lunga testimonianza di una lettrice sulla propria esperienza con la vestibolite vulvare.
Nel 2006 lessi un libro che trattava del dolore femminile, e visitai il sito Internet dell’autore. Più leggevo e più pensavo che questo medico fosse un veggente: c’erano descritti esattamente tutti i sintomi che avvertivo e a cui nessun medico aveva mai prestato attenzione! Rimasi stupita, abbagliata, incredula: finalmente c’era qualcuno che parlava la mia stessa lingua, che credeva in quello che avevo, che studiava quella che io pensavo fosse ormai una specie di maledizione. E soprattutto stavo scoprendo di non essere l’unica al mondo ad avvertire quei dolori... Anzi, leggendo le testimonianze di alcune donne, mi resi conto che tutto sommato io ero ancora una delle più “fortunate”, perché ogni tanto riuscivo ancora a provare la bellezza di un rapporto, seppur sporadico e doloroso, con il mio compagno.
Decisi di prendere un appuntamento con quel dottore, a Milano. Andai con Fabio: mi ero preparata tutto, date, sintomi, esami vecchi, elenco di tutte le medicine prese fino ad allora.
La ginecologa mi fece una visita del tutto nuova, molto più completa e approfondita, e finalmente mi disse cosa avevo: una grave vestibolite vulvare, innescata inizialmente dalle ripetute infezioni da Candida, mantenuta dall’iperattivazione dei mastociti (cellule immunitarie che avevano finito per determinare uno stato di infiammazione permanente) e ulteriormente peggiorata da stili di vita e alimentari inappropriati. Lo sfregamento meccanico che i tentativi di penetrazione provocavano su un tessuto così sofferente avevano poi determinato un irrigidimento difensivo dei muscoli pelvici, che a sua volta aveva reso sempre più difficili e dolorosi i rapporti.
Nonostante la complessità del quadro clinico,  la dottoressa mi rassicurò dicendomi che ero arrivata nel posto giusto: mi avrebbe aiutata a guarire, ma sottolineò che avrei dovuto rispettare con pazienza ogni indicazione terapeutica.
Iniziammo a curare la Candida e le altre infezioni, con degli antimicotici mirati (itroconazolo). In parallelo, lavorammo per “calmare” i miei poveri mastociti sia con un farmaco sistemico (amitriptilina), sia con un gel a base di aliamidi direttamente sul vestibolo vaginale.
Inoltre dovetti modificare tante abitudini che mantenevano lo stato infiammatorio: via jeans e collant, che tendono a comprimere e a irritare i genitali; totale astensione dagli zuccheri e dai cibi lievitati, e spazio a pasta, frutta, verdura e yogurt, che influiscono positivamente sull’ecosistema del colon e potenziano le difese contro i diversi agenti infettivi; igiene intima esclusivamente con un detergente a base di timo, che riduce la secchezza della pelle e allevia l’infiammazione locale.
Per rilassare i muscoli perivaginali tesi da anni di dolore, infine, mi prescrisse degli esercizi di automassaggio e stretching, che avrei potuto fare da sola a casa.
Questo medico mi trasmise subito molto entusiasmo con il suo modo di fare, di parlare... Certo, andava veloce ma imparai a farci l’abitudine! Insomma, rimasi soddisfatta, e anche se l’elenco di medicine da assumere era lungo, decisi che se avevo fatto trenta non potevo non fare trentuno, e così – d’accordo con Fabio – decisi di intraprendere con il massimo impegno questa nuova strada. Il trattamento, purtroppo, prevedeva anche la completa astinenza sessuale, ma decidemmo di provarci lo stesso.
I risultati non si fecero attendere, anche se inizialmente furono solo parziali. Dopo tre mesi di cure farmacologiche e automassaggio, e con le nuove regole di vita quotidiana, le infezioni sparirono del tutto; ma i dolori ai rapporti continuavano. Così la ginecologa mi consigliò di fare anche delle sedute di “biofeedback di rilassamento”, una tecnica con cui si impara a comandare correttamente i muscoli pelvici. Mi sottoposi a ben venti sedute: effettivamente, sul momento, mi sentivo molto più rilassata, ma dopo qualche giorno i muscoli tornavano a irrigidirsi, perché in essi – mi spiegò il medico – la “memoria” del dolore era così forte e profonda che la paura e la conseguenze contrazione difensiva finivano sempre per avere la meglio.
Insomma, nonostante gli iniziali miglioramenti, mi sentivo ancora demoralizzata. Così mi suggerì di andare da una sua collega, che praticava un trattamento chiamato “blocco antalgico”. In pratica, attraverso degli aghi si attutisce la sensibilità dei nervi infiammati (in particolare, del “ganglio impari”, ma anche di altri nervi sacrali e pudendi): una specie di anestesia locale, insomma, cui si ricorre proprio nei casi difficili come il mio, quando gli altri trattamenti abbiano dato risultati solo parziali. Ero molto impaurita (ho sempre avuto una paura nera di aghi e iniezioni...), mi dissi che non ci sarei mai andata, ma quando tornai a casa ci ripensai a mente lucida e conclusi che, dopo anni persi nella ricerca di aiuto e averle provate quasi tutte, questa sarebbe stata l’ultima spiaggia... e così presi un appuntamento.
Dopo pochi giorni ero con mia mamma nel reparto di rianimazione dell’ospedale dove lavora quella dottoressa. Il luogo mi metteva a disagio, ero a pochi centimetri da chi era veramente nell’inferno: certo non ho chiesto che cosa si praticasse in quel reparto, ma potevo immaginarmelo... La mia ansia era tale che ormai sudavo freddo. Comunque ormai ero lì, avevo preso la mia decisione e non potevo che andare fino in fondo.
La dottoressa mi fece sdraiare a pancia in giù sul lettino e mi toccò la schiena, individuando dei punti che, se premuti, mi davano dolore. La prima fase della terapia consiste nell’inserire degli aghi all’altezza della parte finale delle vertebre: questo ho imparato ad accettarlo, anche se non mi controllo ancora del tutto. La seconda fase è quella più invasiva, e tocca direttamente l’osso sacro: quello è per me il momento più tragico, un dolore inspiegabile... La terza fase è la più sopportabile, anche perché viene praticata sulle piccole labbra, e non sulle ossa.
Anche questo percorso di cura ha visto fasi positive, e altre di scoraggiamento. Ma circa un anno fa, dopo tante cure e tanto tempo, sono stata finalmente dichiarata guarita. Le sedute di blocco antalgico continuano ancora, una volta al mese, ma mi sento molto più tranquilla e sicura che nel tempo posso solo migliorare. Certo, ogni tanto ho paura che la malattia possa tornare ad aggredirmi, quando meno me lo aspetto... Ma poi cerco di non pensare al peggio, mi faccio forza e vado avanti.
In questi ultimi due anni ho capito che il segreto della guarigione sta non solo nella competenza tecnica del medico, ma anche nella sua capacità di metterti a tuo agio, di incoraggiarti a parlare senza vergogna dei tuoi problemi, di ascoltarti e offrirti tutto il suo aiuto umano e psicologico.
Il consiglio che voglio quindi dare alle mie compagne di sventura, al termine di questo racconto, è quello di tenere duro perchè per la vestibolite vulvare una soluzione c’è, anche in un caso difficile e a lungo trascurato come il mio, ma bisogna investire tutte le proprie forze prima nel cercare il medico giusto, poi nel seguire con disciplina la terapia, e infine nel non perdere mai la fiducia e la speranza!
Mariangela G.

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