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Nove anni di sofferenza e due mesi per guarire

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16/01/2009

Le vostre lettere alla nostra redazione

La mia storia inizia nel 1999, all’età di 44 anni, quando venni ricoverata d’urgenza per una emorragia uterina. Sapevo di avere un polipo all’utero, ma la ginecologa di allora aveva “ben pensato” di rimandare l’intervento per due anni consecutivi, motivando la scelta con il fatto che fosse di piccole dimensioni. Invece non era così: quando i medici dell’ospedale sono intervenuti, il polipo era molto grande, per cui non è bastato un semplice intervento ma si è reso necessario un raschiamento, peraltro senza anestesia. Vi lascio immaginare il dolore che ho provato: sembrava che mi avesse morsicato un cane rabbioso.
Dopo quattro o cinque giorni dall’intervento, inizio a sentire un forte bruciore nella parte alta dell’utero, proprio dove era stato praticato il raschiamento. Mi reco al controllo, informo la ginecologa che mi fa subito un pap-test diretto alla ricerca di Candida, Trichomonas, Miceti e altri germi... Risultato: “reperto infiammatorio negativo per Candida, Trichomonas, Miceti”. Da allora non si sono contati i pap-test mirati a tale ricerca, sempre con risultato negativo riguardo ai germi, ma sempre con l’indicazione della presenza di un “reperto infiammatorio”.
Dopo quel primo pap-test, però, la ginecologa mi dice: «Stai bene, non hai nulla». Ma come poteva essere che stessi bene e non avessi nulla, se il prurito e il bruciore c’erano sempre? Certamente non erano di mia invenzione!
Cambio medico e ne trovo un altro specializzato in ginecologia, urologia, immunologia e chirurgia. Penso che sia la persona adatta a dare una risposta al mio problema ma, dopo la seconda visita, mi dice: «Benedetta figlia, devi andare a chiedere un miracolo a Padre Pio»... Che tristezza! Anche questa volta non ero stata compresa, e intanto il bruciore continuava a non darmi pace.
Decido di fare una colposcopia in una struttura privata. Il medico non riesce a ispezionare la vagina a causa delle notevoli perdite bianche, e propone di fare una biopsia. Il risultato è: papillomavirus con lesioni L-SIL, ossia di lieve entità. Mi consiglia di fare il laser e nomina un ginecologo ritenuto il “maestro del laser”.
Mi rivolgo a quest’altro ginecologo, faccio il laser e le cure per quaranta giorni. Alla visita di controllo rifaccio il pap-test da cui risulta il solito “reperto infiammatorio” negativo alla Candida. Il papillomavirus era scomparso ma il resto era rimasto uguale: bruciore, prurito, perdite bianche non mi avevano abbandonata e, per di più, erano comparse allergie e intolleranze ai farmaci.
Ritengo quindi necessaria una visita allergologica e mi reco da un immunologo allergologo, con una valigia di referti. Il medico mi visita e con sicurezza mi dice che si tratta della “Sindrome di Sjogren”, una malattia infiammatoria cronica su base autoimmune. Spaventatissima, faccio subito le analisi mirate all’accertamento di tale sindrome, ma fortunatamente gli esami risultano negativi. A questo punto l’immunologo inizia a vacillare e mi dice che in realtà ho una tiroidite autoimmune con rischio di diabete di tipo 2. Mi prescrive un farmaco per la tiroide e delle compresse per prevenire l’insorgere del diabete, da prendere due volte al giorno.
La terapia per la tiroide va bene e tuttora continuo ad assumerla (in effetti ho dei noduli), ma le compresse per il diabete, dopo tre mesi, iniziano a provocarmi forti dolori addominali. Informo il medico, che mi consiglia di fare un’ecografia addominale: dal referto non risulta nulla di rilevante e così mi prescrive anche una colonscopia. «Non ci penso nemmeno», dico a me stessa e decido di sospendere le compresse per il diabete: i dolori scompaiono definitivamente.
Nel frattempo, però, tutti gli altri disturbi continuano a tormentarmi: bruciore, prurito, perdite, allergie. I rapporti con mio marito sono diventati quasi impossibili, perché ogni tentativo di penetrazione mi fa vedere le stelle. E la paura ormai è tanta, e così penso di recarmi in un ospedale di Roma, noto per la cura e la prevenzione dei tumori. Mi visita un ginecologo e la risposta è questa: «Meglio se avesse avuto un tumore, così sapevamo come affrontarlo: ma lei ha una grande infiammazione di cui non riconosciamo la causa». Me ne torno a casa con tanta rabbia e delusione, ma sento anche sempre più forte il desiderio di conoscere la vera causa del mio problema.
In parte, infatti, ero avvilita per le frasi sconfortanti dei medici: «E’ ansia somatizzata», «Hai la sindrome di Sjogren», «Non hai nulla», «Stai bene»... In parte, invece, mi sentivo sempre più determinata a non arrendermi e a continuare a lottare. Non si contano le riviste mediche che ho letto e le ricerche che ho fatto su Internet, in questi lunghi anni trascorsi in sofferenza e solitudine... Volevo capire e guarire ad ogni costo!
Un sabato mattina accendo il televisore e seguo l’intervista a una giovane ginecologa: ascoltando attentamente, mi accorgo che quanto dice coincide con il mio problema. Decido di farmi visitare da lei. L’unico dubbio era costituito dalla distanza fra la mia città e la sua... ma, dopo tanti anni di sofferenze, non poteva essere la distanza a privarmi di questa visita! Ne parlo con a mio marito e mia figlia, che approvano all’unanimità la mia decisione.
Raggiungo la dottoressa, che mi accoglie con un sorriso aperto e rassicurante, molta comprensione e una grandissima professionalità: istintivamente, sento che il mio cuore si apre alla speranza e per la prima volta non vedo più il buio davanti a me!
Parliamo a lungo, poi la dottoressa mi visita e diagnostica una vestibolite vulvare, una grave infiammazione scatenata dall’iniziale trauma del raschiamento e successivamente mantenuta dai tentativi di penetrazione di mio marito. Come terapia, mi prescrive un farmaco per ridurre la “degranulazione” del mastocita, una cellula immunitaria implicata nel processo infiammatorio, e formula alcune indicazioni relative all’alimentazione e all’igiene intima.
Quando uscii dall’ambulatorio, da un lato ero contenta di avere finalmente ottenuto una diagnosi seria, dall’altro mi sentivo un po’ preoccupata all’idea di terapie a lungo termine. Ma mi sbagliavo di grosso... Dopo soli due mesi di cura, infatti, la dottoressa mi comunica che sono guarita! Non potevo crederci e a volte non ci credo del tutto neppure adesso: nove anni di sofferenza e solo due mesi per guarire! Non sarà stato questo il vero miracolo, trovare una dottoressa così brava?
Il mio nome è Adel e ho 53 anni. Non mi ferma niente e nessuno, altrimenti mi deprimo. Riconosco che questo carattere forte mi ha aiutata ad andare avanti nella ricerca di una risposta a un problema che sembrava fosse irrisolvibile. Con la mia testimonianza voglio quindi aiutare tutte le donne incomprese dai medici che, non approfondendo gli studi, dicono che siamo malate “di testa”. Voi, invece, non arrendetevi dinanzi alle malattie, abbiate il coraggio di sconfiggerle, e la determinazione di cercare il medico giusto per voi!

Adel C.

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