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Dio è onnipotente solo nell'amore

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03/02/2010

Tratto da: "Dio non è onnipotente", Intervista di Bertrand Révillon a Paul Ricoeur pubblicata sulla rivista francese "Panorama" 340 (1999), p. 26-30
In: "Paul Ricoeur: la logica di Gesù. Testi scelti a cura di Enzo Bianchi", Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 2009, p. 135-154

Guida alla lettura

Dio non può intervenire arbitrariamente nella storia per evitarci il male e la sofferenza, può solo aiutarci ad attraversarli senza perderci nell’abisso della disperazione. Non è dunque un Dio onnipotente, se a questo termine diamo il significato politico del sovrano che può ottenere tutto ciò che vuole. La sua onnipotenza, per così dire, si limita alla sfera dell’amore, un amore che non ha potuto salvare neppure Cristo dalla morte, ma che – attraverso la resurrezione – ha dimostrato che la morte non ha l’ultima parola sulla vita.
Questo, in sintesi, il messaggio originale e provocatorio di Paul Ricoeur, filosofo protestante tra i più colti e profondi del Ventesimo Secolo. La vicenda terrena di Gesù, prosegue Ricoeur, «arriva a cancellare definitivamente l’immagine di un Dio onnipotente» e, d’altra parte, in essa non si coglie «nulla che possa essere smentito dalla sofferenza dell’uomo». Il Dio dei cristiani, quindi, non cancella il dolore della vita, ma viene a condividerlo pur di non venir meno alle esigenze superiori dell’amore, e in questo modo ci insegna anche uno stile valido nelle nostre relazioni umane.
Va detto con chiarezza: nella Bibbia non esiste una sola pagina che affronti in termini esaustivi il problema dell’esistenza del male. Genesi, Giobbe, certi Salmi, gli stessi Vangeli offrono illuminazioni parziali, a volte incompatibili, spesso velate dai condizionamenti culturali del tempo, sempre da cogliere nel contesto di una comprensione progressiva – ma mai del tutto compiuta – del significato della vita. Non è quindi possibile attendersi dalla parola di un filosofo, per quanto ricca e profonda, ciò che neppure la Parola di Dio ha scelto di rivelare pienamente. Ma la vita non è solo mistero, è anche cammino condiviso: e anche dal pensiero di uomini e donne come Ricoeur, tutti – credenti e laici – possono trarre orientamenti preziosi per la propria ricerca di senso e la lotta quotidiana contro il non essere e il male di vivere.
Révillon – La sua fede cristiana è influenzata dal suo pensiero filosofico?
Ricoeur – Certamente, ma è vero anche il contrario. La mia convinzione religiosa mi rende attento a problemi come l’esistenza del male, la sofferenza, la responsabilità, il modo in cui coniugare amore e giustizia. C’è una specie di focalizzazione, una sorta di faro di luce proiettato dalla fede su una regione privilegiata della riflessione.
Révillon – Che cosa può fare la nostra ragione umana di fronte alla questione dell’esistenza di Dio?
Ricoeur – Credo che si debba tenere aperta la questione del rapporto tra fede e ragione. Ma certo l’approccio va fatto con umiltà e con una certa riserva. Personalmente, non mi arrischierei, al termine della mia riflessione filosofica, a usare la parola “Dio” in modo tematico. Tutt’al più il filosofo può evocare un “fondamento”, un “assoluto”, una “origine”.
Révillon – La ragione da sola non può condurci a un Dio personale?
Ricoeur – No, perché il credere in un Dio personale dipende dalla fede, dalla rivelazione e non dalla sola ragione che, nella migliore delle ipotesi, ci porta a intuire l’esistenza di un assoluto.
Révillon – La fede rimane nell’ordine dell’indicibile?
Ricoeur – Non direi che la fede sia dell’ordine dell’indicibile. Credo che il simbolismo fondamentale del cristianesimo – la figura del servo sofferente che dona la vita per i suoi amici – sia immediatamente accessibile, comprensibile per ogni uomo. Entrare nella dinamica del credere significa decidere di fare di questo servo, di Gesù Cristo, colui che organizza la nostra vita, la comprensione di noi stessi e dei rapporti con gli altri.
Révillon – Si nasce cristiani o lo si diventa?
Ricoeur – Credo che si sia “pagani” di nascita e che si possa divenire progressivamente dei cristiani. Personalmente sono abbastanza lontano dal concepire la conversione come un evento improvviso, abbagliante, che spezza la vita in due. Questo capita, certamente, ma non è il mio caso. Per contro, ci sono stati momenti straordinariamente forti che mi hanno segnato nell’adolescenza e poi nel corso della mia prigionia; quei cinque anni di privazione della libertà sono stati per me un periodo di esercizio della pazienza e di grande meditazione. La fede è un cammino...
Révillon – Lei sta evocando la sua prigionia durante la guerra. Per un gran numero di uomini e di donne di questo secolo l’esperienza del male e della sofferenza è stata qualcosa che li ha portati al rigetto di Dio.
Ricoeur – Nella figura del servo sofferente non vedo nulla che possa essere smentito dalla sofferenza dell’uomo, al contrario. Ciò che viene messo in crisi, e probabilmente distrutto in radice, è il concetto dell’onnipotenza di Dio.
Révillon – Dio non è onnipotente?
Ricoeur – Il problema è che il modello di onnipotenza che abbiamo è un modello politico, quello del tiranno che può ottenere tutto ciò che vuole. Questa idea dell’onnipotenza di Dio, messa in crisi dall’esistenza del male, rivela nel contempo il suo carattere periferico, secondario nella fede. L’Antico Testamento nel suo insieme porta piuttosto al paradosso del confronto tra il perdurare della sollecitudine di Dio e il recalcitrare dell’uomo. Con il Nuovo Testamento compare la figura del servo sofferente che arriva a cancellare definitivamente l’immagine di un Dio onnipotente. Nel cristianesimo, facciamo esperienza di una Parola che non è onnipotente. La parola della predicazione, quando è spogliata del prestigio e dei privilegi del potere, è in un certo senso impotente. Paolo evoca la figura dell’abbassamento di Cristo che rinuncia all’onnipotenza.
Révillon – L’idea che Dio non sia onnipotente scardina buona parte dei discorsi teologici costruiti nel corso dei secoli.
Ricoeur – Senza dubbio. Il passaggio dalla figura di un Dio onnipotente a quella del servo sofferente è a caro prezzo per parte della teologia. Ma un prezzo molto caro si paga in ogni caso a riflettere sull’uomo e su Dio dopo Auschwitz, dopo che il nostro secolo ha dimostrato che il male assoluto è una realtà effettiva. E questo vale in particolare per il cristianesimo, dove l’idea dell’onnipotenza di Dio è stata per molto tempo centrale. Rinunciarvi significa andare verso l’abbandono completo dell’idea di provvidenza che, peraltro, non mi sembra sia di origine biblica. Si può pensare alla persistenza di un progetto di Dio, certo, ma l’idea di una sorta di protezione divina individualizzata – “io sono al sicuro perché sono un buon cristiano” – non è giusta nei confronti di tutte le vittime. In quest’ambito, nessuno mi ha fatto promesse, non è detto che non morirò tra dolori atroci. La mia fede mi invita solo a sperare in caso di prova nell’aiuto di Dio per avere il coraggio di esistere, malgrado tutto.
Révillon – Bisogna rinunciare completamente all’idea di onnipotenza?
Ricoeur – No, ma allora bisogna riformularla in termini di amore. Da onni-potente Dio diventa l’“onni-amante”.
Révillon – Non c’è ribellione in lei di fronte a un Dio che non impedisce Auschwitz?
Ricoeur – Intervenire è quello che un essere potente fa per un essere debole. Si tratta dunque ancora di un modello relazionale di potere. L’unico potere di Dio è l’amore disarmato. E’ un sogno di tirannia pensare che Dio possa intervenire in questo modo nella storia. Dio non ha altro potere che quello di amare e di rivolgerci, quando siamo nella sofferenza, una parola di aiuto. La difficoltà, per noi, è di riuscire ad ascoltarla. Non ho alcuna risposta per coloro che dicono: «C’è troppo male perché possa credere in Dio». Non posso che sperare che il simbolo del servo sofferente che rinuncia a ogni potere per amore diventi per loro eloquente. La morte del servo sofferente sulla croce arriva a spezzare definitivamente l’idea di una specie di retribuzione dovuta a Dio. Dio non vuole la nostra sofferenza, ma non ha il potere di impedirla.

Biografia

Paul Ricoeur (1913-2005), filosofo francese, cristiano riformato, è stato uno dei pensatori più profondi e sensibili del Novecento. Nonostante la sua fede, ha sempre rifiutato l’etichetta di “filosofo cristiano” e ha sempre tenuto ben distinti cammino filosofico e convinzioni religiose, pur ammettendo che i due ambiti possano illuminarsi vicendevolmente e arrischiandosi, come sottolinea Enzo Bianchi, «in alcuni “luoghi di intersezione” dei due ambiti; il male, la compassione, la speranza, l’economia del dono» (Paul Ricoeur: la logica di Gesù, p. 7).
Insignito di numerosi riconoscimenti internazionali – fra i quali il Grand Prix dell’Académie Française, il Premio Paolo VI e il Premio Balzan – costituisce tuttora un modello dell’intellettuale rigoroso, sempre disposto a lasciarsi interrogare dagli eventi e a cercare nel dialogo con gli altri una risposta feconda per tutti.
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