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Perdono e compassione, sguardo alternativo sul male

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07/07/2010

Tratto da: "Dio non è onnipotente", Intervista di Bertrand Révillon a Paul Ricoeur pubblicata sulla rivista francese "Panorama" 340 (1999), p. 26-30
In: "Paul Ricoeur: la logica di Gesù. Testi scelti a cura di Enzo Bianchi", Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 2009, p. 135-154

Guida alla lettura

Paul Ricoeur, filosofo riformato tra i più influenti del Novecento, ci offre in questo brano una lettura stimolante di due fra le più ardue attitudini dello spirito: il perdono e la compassione.
Il perdono, atto spesso banalizzato – quando non preteso – nelle vicende mediatiche dei nostri tempi, è sempre e innanzitutto «qualcosa al quale non si è tenuti». Ma quando lo si accorda, allora può emanare una forza capace non solo di cancellare un debito, ma di «ricostruire una memoria». In secondo luogo, il perdono non è solo quello che concediamo, ma anche quello che chiediamo agli altri: d’altra parte, solo dal sentirsi perdonati può nascere l’attitudine a perdonare, così come solo chi si sente amato può apprendere ad amare.
La compassione, dal canto suo, è un moto del cuore capace di «infrangere il circolo vizioso della colpevolizzazione»: non nel senso che la colpa vada negata o minimizzata, ma nel senso che il nostro sguardo – prima ancora di cercare il colpevole – deve orientarsi innanzitutto sulla vittima e sulla sua sofferenza, in vista di una diminuzione del male.
Riteniamo che l’argomentazione di Ricoeur possa essere stimolante per tutti, credenti e laici, perché ricostruire ove possibile la memoria lacerata dal dolore, e soccorrere le vittime innocenti, sono istanze etiche che possono informare il cammino di tutti verso relazioni quotidiane sempre più umanizzate.
Révillon – Secondo lei, si può dire che il cuore della morale cristiana è il perdono?
Ricoeur – La pratica del perdono è centrale. C’è sovrabbondanza nel perdono. Il perdono è sempre qualcosa al quale non si è tenuti.
Révillon – Il perdono è umanamente possibile?
Ricoeur – Bisogna avere prudenza, la moderazione che troviamo anche nel Padre Nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Noi possiamo credere in Dio, figura di perdono, nella misura in cui abbiamo una certa esperienza di perdono ricevuto ed esercitato nella realtà quotidiana. Ora, bisogna riconoscere che il perdono è molto più difficile di quanto non si creda, proprio perché perdonare non significa semplicemente saldare, sopprimere un debito, ma ricostruire una memoria. E ci si scontra con qualcosa di irreparabile, di inestricabile e anche, eventualmente, di imperdonabile. Del resto non dobbiamo dimenticare che il perdono non è innanzitutto quello che noi concediamo, è in primo luogo quello che chiediamo. E che chiediamo alla vittima. Nella domanda di perdono c’è una clausola implicita, il fatto che mi si possa dire di no. E Vladimir Jankélévitch [filosofo francese, vissuto dal 1903 al 1985 – N.d.R.] lo dice: ogni richiesta di perdono può andare incontro a un rifiuto. Il perdono non è scontato. Accettare una risposta negativa alla richiesta di perdono: anche questo fa parte della magnanimità.
Révillon – Che cosa intende quando parla di “ricostruzione della memoria”?
Ricoeur – Si tratta di aiutare colui al quale si perdona a comprendere se stesso, ad accettarsi, a rinunciare alle proprie rivendicazioni relative all’esaltazione e all’umiliazione. Ma se noi stessi non abbiamo fatto questo cammino non vedo come possiamo pretendere di aiutare un altro a farlo. Si tratta dunque di un’esperienza di reciprocità straordinariamente difficile e a caro prezzo. E’ un lutto, perché nel perdono abbiamo qualcosa da perdere. Del resto è molto evangelico: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà» (Mt 16,25).
Révillon – Si potrebbe dire che per lei il cuore della fede cristiana è la compassione?
Ricoeur – Sì, senza dubbio. Ne ho fatta l’esperienza e la scoperta nella mia storia personale dopo aver sacrificato molto a una cultura della colpevolizzazione nella quale mi sono trovato immerso a lungo non solo a livello emotivo ma anche culturale.
Révillon – Che cosa intende quando evoca una cultura della colpevolizzazione?
Ricoeur – E’ una cultura cristiana nella quale l’esperienza fondamentale è il peccato con il suo corrispondente, la redenzione. E’ una cultura che insiste sulla caduta, sulla storia di una creazione buona rovinata dall’uomo, e per la quale la religione consiste nel ristabilimento della bontà primordiale. La compassione riesce a infrangere il circolo vizioso della colpevolizzazione. Perché avere pietà significa smettere di accusare... La terrificante storia del XX secolo, unitamente alla mia personale esperienza di sofferenza e di lutto, sono state per me un’occasione per riflettere sulla compassione. La prima reazione che nei confronti del male non è cercare un colpevole, ma discernere bene la vittima. E’ una questione di orientamento dello sguardo. Una sottolineatura eccessiva della colpa deve lasciare il posto all’attenzione per la sofferenza della vittima. Certo, questa cultura della compassione non abolisce l’altra, ma la colloca nella luce della condivisione fondamentale della sofferenza e della compassione attiva in vista della diminuzione del male.

Biografia

Paul Ricoeur (1913-2005), filosofo francese, cristiano riformato, è stato uno dei pensatori più profondi e sensibili del Novecento. Nonostante la sua fede, ha sempre rifiutato l’etichetta di “filosofo cristiano” e ha sempre tenuto ben distinti cammino filosofico e convinzioni religiose, pur ammettendo che i due ambiti possano illuminarsi vicendevolmente e arrischiandosi, come sottolinea Enzo Bianchi, «in alcuni “luoghi di intersezione” dei due ambiti; il male, la compassione, la speranza, l’economia del dono» (Paul Ricoeur: la logica di Gesù, p. 7).
Insignito di numerosi riconoscimenti internazionali – fra i quali il Grand Prix dell’Académie Française, il Premio Paolo VI e il Premio Balzan – costituisce tuttora un modello dell’intellettuale rigoroso, sempre disposto a lasciarsi interrogare dagli eventi e a cercare nel dialogo con gli altri una risposta feconda per tutti.
Parole chiave di questo articolo
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