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Qual è l'origine del male?

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22/06/2011

Tratto da: Paolo Ricca, Come si può spiegare l'origine del male?, Riforma, 22 aprile 2011

Guida alla lettura

Da dove proviene il male che pervade il mondo? E’ una domanda chiave dell’esistenza, forse la più importante, e ad essa hanno cercato di rispondere gli uomini e le donne di ogni tempo. In questo articolo Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese, illustra alcune di queste risposte prendendo spunto da una lettera pervenuta al settimanale “Riforma”: Agostino, Leibniz, il manicheismo, sino all’affermazione nichilista dell’illusorietà di ogni forma di bene.
Nessuna di queste risposte, però, è pienamente soddisfacente: il dualismo salva la bontà di Dio, ma ne indebolisce l’onnipotenza, «relativizzandone la signoria sul creato»; l’idea del male come necessario contraltare del bene, o come mera assenza di bene, ha il vantaggio di invitarci a «non considerare unicamente il male in sé, quasi dimenticando il bene che pure esiste», ma ne sottovaluta «l’ampiezza e la gravità, l’enorme forza di attrazione e distruzione», e si rivela quindi un amaro sofisma; la negazione del bene, infine, ha il merito di «prendere sul serio il male», ma – affermandone sempre e comunque la vittoria – «sottovaluta pericolosamente il valore della battaglia contro di esso».
E’ proprio da quest’ultima considerazione che, secondo Ricca, può emergere una risposta capace di orientare la vita. Cristo non si è occupato speculativamente del problema del male, ma lo ha combattuto radicalmente in tutte le situazioni di sofferenza e deprivazione che ha incontrato nel suo cammino. I cristiani sono chiamati a fare altrettanto: non cercare risposte che forse non troveranno mai, ma lottare con tutte le loro forze contro le svariatissime forme che il male può assumere. Forme a volte inattese e insidiose, come «il male che si presenta come bene». Una triste esperienza che facciamo nei rapporti umani: l’amore proclamato a parole, ma poi trafitto alle spalle; la fiducia conquistata e tradita; l’aiuto interessato; l’affetto che erige gabbie e soffoca la libertà. Nelle relazioni sociali e politiche, quando anche una giusta causa fa propri i metodi della violenza e dell’arbitrio. E persino nella religione, quando una legge inumana mortifica la vita e spegne la speranza.
E i non cristiani, e i non credenti? Come abbiamo più volte sottolineato nelle pagine della nostra rubrica, riteniamo che questa risposta possa essere valida anche per loro, perché la battaglia contro il dolore, la malattia, l’ingiustizia, l’esclusione è un imperativo etico che interpella tutti.
«Come si può spiegare l’origine del male? Tra tanti altri, Agostino ha molto riflettuto e combattuto con questa domanda, formulando tre ipotesi di risposta: il male è una fuoriuscita dall’ordine divino, oppure è sempre esistito, oppure è causato da Dio. Agostino propende per la prima ipotesi, ma soprattutto tende a negare che il male abbia una vera consistenza in sé, che sia cioè una vera e propria creatura: dovrebbe essere una creatura di Dio, che è il Creatore di ogni cosa, ma non può esserlo, perché Dio ha creato solo cose buone e non può averne creato una cattiva, come è il male. Agostino tende quindi a definire il male come privazione di bene. Resta però aperta la domanda: perché l’uomo compie il male? È possibile pensare che il male non abbia consistenza, e che il principio del male, di per sé, non esista? Il male sarebbe solo distanza da Dio? Se è così, perché Dio permetterebbe questa distanza e in definitiva all’uomo di compiere il male? E per chi non ha la fede in Cristo o vive all’interno di altre fedi o altre forme di etica, che succede?».

La riflessione sul male, sulla sua origine e sulla sua consistenza: tutti, in un modo o nell’altro, ne facciamo l’esperienza, e per tutti è “il problema dei problemi”. Affrontandolo, sia pure solo per sommi capi, occorre anzitutto fare una distinzione fondamentale: molto del male presente nel mondo è causato dall’uomo, e non ha alcun senso (è solo un comodo alibi) addebitarlo a Dio. Auschwitz non l’ha creato né comandato Dio, l’ha deciso e realizzato l’uomo. La morte per denutrizione di milioni di bambini non è colpa di Dio, ma nostra. Le guerre continue che insanguinano la terra non sono opera di Dio, ma nostra. E così via. Ma anche se l’uomo, e lui soltanto, è responsabile di un bel po’ del male presente oggi nel mondo, resta pur sempre aperta la domanda: come mai l’uomo fa il male anziché il bene, e ne fa così tanto e quasi, si direbbe, con gusto, e inventandone sempre nuove forme? Perché l’uomo sembra affascinato più dal male che dal bene? Perché l’uomo, che pure teme il male, non ne è solo vittima, ma anche autore e complice? Ma accanto al male di cui solo l’uomo è responsabile, c’è indubbiamente nel nostro mondo una parte non piccola di male, di cui l’uomo non è responsabile – tragedie personali e familiari, o collettive – che suscitano in tutti, credenti e non credenti, innumerevoli “perché?”. Perché il male? Perché si abbatte su di me? Da dove viene? Da Dio? Sarebbe un suo castigo? O una prova? Ma Dio ricorre davvero a questi mezzi crudeli? Se non viene da Dio, viene dal Caso? Ma allora il Caso esiste – un Caso indipendente da Dio? O viene dal Destino, che esisterebbe anch’esso indipendentemente da Dio? Che senso può avere tutto questo?
Nel lontano 1959 il prof. Vittorio Subilia, allora docente di Teologia Sistematica presso la Facoltà valdese di Teologia, scrisse un bel volumetto (ristampato nel 1987, ma oggi purtroppo esaurito), intitolato appunto “Il problema del male”. Vi si espongono, in sintesi, i tre principali tentativi di risposta alla grande, antica, eterna domanda: “Unde malum?” (in latino: Da dove viene il male?).
1. Il primo è la risposta dualista. Non c’è un solo Dio, ce ne sono due, o meglio, c’è un Dio e un Anti-Dio, il Dio del bene e l’Anti-Dio del male. Essi si contendono il governo del mondo e l’anima dell’uomo: la storia umana e l’anima umana sono il loro campo di battaglia. Il male presente nel mondo non viene quindi da Dio, ma dall’Anti-Dio, che è una potenza negativa, tenebrosa, distruttrice, che Dio combatte, ma non controlla. Questa risposta ha il vantaggio di cancellare il sospetto che Dio sia autore o complice del male, ma ha lo svantaggio di limitare e relativizzare la signoria di Dio sul creato che invece, secondo la testimonianza della Scrittura, è piena e unica: Gesù è il Signore, non un Signore.
2. Un secondo tentativo di risposta è quello che consiste nella negazione del male, o meglio nella negazione che quello che ci appare come male, lo sia veramente. E’ un pensiero che si trova già nella filosofia greca antica, ad esempio in Eraclito, che affermava: «Non si riconoscerebbe la parola giustizia se non esistesse l’ingiustizia», e ancora: «La malattia fa dolce la salute, il male fa dolce il bene, il riposo fa dolce il moto». Insomma, senza il male non esisterebbe neppure il bene. In campo cristiano viene subito in mente Agostino, giustamente citato dal nostro lettore, per il quale il male non ha consistenza propria, è semplicemente un’assenza di bene (in latino: “privatio boni”). E molti secoli più tardi, nella seconda metà del Seicento, Leibniz dirà che questo è il migliore dei mondi possibili e che il male non è altro che l’imperfezione della creatura che, proprio perché creatura, non può eguagliare la perfezione del Creatore. Molti altri filosofi e teologi della modernità hanno sostenuto tesi analoghe, che per ragioni di spazio non possiamo qui esporre. Che cosa pensare di questa posizione? Essa ha il vantaggio di invitarci a non considerare unicamente il male in sé, isolandolo da tutto il resto, come se fosse l’unica realtà presente, quasi dimenticando il bene che pure esiste. Ma ha il grave svantaggio di sottovalutare l’ampiezza e la gravità del male, la sua enorme forza di attrazione e distruzione, la profondità del suo radicamento nell’animo umano e nelle strutture della società, i danni e la quantità incalcolabile di sofferenze che provoca nell’umanità ma anche nel mondo animale e nella natura. Sarebbe davvero bello se il male fosse solo una assenza di bene. Purtroppo non è così. La dottrina di Agostino – sia detto con tutto il rispetto – è una scorciatoia.
3. Un terzo tentativo di risposta è l’esatto contrario del precedente e consiste, per dirlo in estrema sintesi, nella negazione del bene. In che senso? Non nel senso di negare che ci siano nel mondo, nella natura, nella storia e nell’esperienza umana delle cose buone e belle, dei momenti felici, dei valori positivi per i quali valga la pena impegnarsi e anche sacrificarsi: è evidente che queste cose belle ci sono. Ma sono provvisorie, fugaci, destinate a scomparire, forse solo apparenti. Si potrebbe dire così: il male è permanente, il bene è apparente. La vita può anche essere bella, ma finisce nella morte, cioè nella sua negazione. Ci sono nel mondo sprazzi di bene, ma il male sembra prevalere. Il bene esiste, ma è perdente. Occorre avere il coraggio di prenderne atto e trarre le debite conseguenze. Questa, a grandi linee, è la posizione. Che cosa pensarne? Essa ha il vantaggio di prendere sul serio il male, come effettivamente bisogna fare. Ma ha il grave torto di prenderlo talmente sul serio da esserne quasi ipnotizzata. Dichiarando in anticipo la vittoria del male, sottovaluta pericolosamente il valore della battaglia contro di esso, che invece va affermato e sostenuto con forza.
Altre posizioni dovrebbero essere presentate, come quella accennata dal nostro lettore che collega l’apparizione del male (sotto forma di peccato) alla libertà di cui l’uomo è dotato: c’è il male perché l’uomo è libero di farlo. Qui però non si spiega l’origine del male, si constata solo la sua esistenza e si dice che l’uomo è libero di farlo. Ma non è che il male esista perché l’uomo lo fa, ma l’uomo lo fa perché il male esiste. Se non esistesse, non potrebbe farlo. Il problema non è risolto, è solo spostato.
E’ tempo di concludere e la conclusione è questa: alla domanda del nostro lettore non c’è una risposta convincente, quanto meno non ne ho una. Il male non viene da Dio (che non lo fa), neppure dall’uomo (che lo fa), è una grande forza negativa e distruttiva, che però non è Dio, ma sotto Dio. Gesù non l’ha spiegata, l’ha combattuta frontalmente e radicalmente. La risposta è dunque questa: non cercare soluzioni teoriche che non ci sono, ma lottare con tutte le forze, interiori ed esteriori, e con tutti i mezzi, contro il male nelle sue svariatissime forme, cominciando dalla più insidiosa: il male che si presenta come bene.

Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni.
Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia.
Attualmente è professore ospite presso il Pontifico Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.

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