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L'amore: aspirazione di tutti, spazio di libertà

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11/09/2013

Tratto da:
Enzo Bianchi, Si può amare anche senza essere amati, La Stampa, 1° settembre 2013

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questo splendido brano Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, riflette sull’amore: sulle sue valenze, sulla sua necessità, sul suo essere al tempo stesso luogo di comunione e di libertà, fonte di gioia e di dolore. E’ un’analisi che parla a tutti, con ampiezza e generosità: agli adolescenti e ai giovani, spesso innamorati dell’amore ma ancora privi di quell’alfabeto essenziale capace di farne una sorgente di forza e di bene; agli adulti che cercano di vivere l’amore nella fatica quotidiana, e di custodirlo dalle insidie della consuetudine; a chi non trova amore, e pure vi aspira; a chi respinge l’amore, in nome della propria libertà; a chi si vede rifiutare dalla persona amata, e precipita nella disperazione; alle vittime di chi cerca di imporre l’amore, e in nome di una gelosia che sfigura l’amore, reagisce con violenza: pensiamo al tragico fenomeno dello stalking e al numero di donne uccise “per amore” (cento, a oggi, solo nel 2013).
Da Platone in poi, dalle pagine immortali del suo “Simposio”, l’amore è al centro di tutto un filone di riflessione filosofica, teologica, letteraria, anche quando si fa allusione più che narrazione, anche quando si pone non come punto di riferimento limpido e netto – per esempio, nella “Divina Commedia” di Dante –, ma come nodo problematico, complesso, ricco di chiaroscuri: ad esempio, nella “Montagna magica” di Thomas Mann.
L’amore è anche al centro della vicenda biblica, ove si raggiunge l’estremo paradosso per cui è Dio l’amante respinto, l’innamorato vulnerabile all’indifferenza e all’infedeltà del suo popolo. La vicenda di quel Dio – narrato dal Gesù dei Vangeli – diventa paradigmatica dell’amore “che basta all’amore”, dell’amore che ama anche di fronte al rifiuto, dell’amore che permane pur nell’assenza di reciprocità. E’ quella, secondo i credenti, la misura perfetta del vero amore, che dovrebbe ispirare il nostro stesso modo di amare in questa vita: ma è anche vero – avverte Bianchi – che «in realtà a noi umani non è possibile un amore portato a pienezza».
A tutti noi, dunque, non resta che continuare a esercitarci in questa difficile arte, nella consapevolezza che amare significa innanzitutto rispettare la libertà dell’altro e che un amore che basta a se stesso, anche senza contraccambio, non è quasi mai alla nostra portata.
L’amore è l’esperienza umana più coinvolgente e più decisiva nella nostra vita. Forse è l’unica esperienza in cui ci sentiamo un po’ redenti, in cui sentiamo di salvare le nostre povere vite. Per questo cerchiamo l’amore, lo attendiamo, lo bramiamo, e quando si accende la possibilità della storia d’amore tutte le nostre attenzioni sono trascinate nel suo nascere, sbocciare, crescere… Vorrebbe essere eterno l’amore, ed è vero che, solo se è amore fino alla fine e nonostante il rifiuto, vince la morte; ma in realtà a noi umani non è possibile un amore portato a pienezza.
L’amore di fatto conosce, anche se non lo vogliamo, tante contraddizioni: difficoltà, conflitti, deperimenti, infedeltà e forse anche – ma non ne sono sicuro – la morte. Per questo l’amore non coinvolge nessuno senza esporlo al dolore e senza che debbano consumarsi perdite di se stessi; nell’amore c’è la sofferenza, il dolore per queste contraddizioni ma anche per le inadeguatezze, per la nostra incapacità di amare: quanta disciplina occorre per amare in modo autentico, per amare di desiderio sì, ma in una relazione sinfonica e piena di rispetto l’uno per l’altro, senza diffidenza tra gli amanti, accettandosi reciprocamente, tesi verso un rapporto che renda entrambi più buoni, più umanizzati.
Nell’amore, soprattutto nella fase dell’innamoramento, c’è qualcosa di adolescenziale che sempre si rinnova a ogni inizio: si desidera la fusione che chiede di stare sempre insieme, di pensare le stesse cose, di gioire insieme delle stesse realtà; in una parola, di non lasciare all’altro la distanza che gli è necessaria per essere altro e se stesso, di fronte a me. L’amore dunque richiede una lotta perché, quando amiamo, in noi si fa prepotente il desiderio di possesso, di vantare pretese sull’altro. C’è una difficoltà, quasi un’impossibilità dell’amore autentico: più amiamo, più desideriamo, e più desideriamo, più siamo tentati di disporre dell’altro, fino a farne un nostro possesso.
Siamo intessuti d’amore, mendicanti d’amore, abitiamo la contraddizione di avere necessità dell’amore il quale però necessita della libertà. Per un po’ d’amore siamo anche tentati di prostituzione; per non perdere l’amore siamo tentati di costruire attorno all’altro un recinto; per non soffrire il tradimento nell’amore siamo portati alla violenza, al fare tutto senza più cogliere la differenza dell’altro, le sue motivazioni, la sua via, buona o cattiva che sia. E’ difficile coniugare amore e libertà, acconsentire nella storia d’amore alla libertà dell’altro, riconoscere che l’alterità è impossibilità all’uguale, al medesimo, e che deve rimanere differenza.
Questa sofferenza si fa ben più acuta ed evidente quando il nostro amore è rifiutato, non corrisposto, non desta il contraccambio. Se leggessimo per una volta i racconti evangelici in modo da scorgere in essi semplicemente i sentimenti, il vissuto dei protagonisti, ci accorgeremmo, per esempio, che quando Gesù incontra un giovane (cf. Mc 10,17-22 e passi paralleli) che lo interroga sulla vita eterna e gli chiede di parlargli di Dio, egli lo fissa nel volto, lo guarda negli occhi e lo ama: Gesù ama gratuitamente un giovane capitato sulla sua strada… Quello di Gesù è uno sguardo d’amore, che non deve essere colto solo come una vocazione affinché quel tale lo segua. Non si tratta di una tattica vocazionale attuata da Gesù per accalappiare adepti per la sua comunità. Il suo è uno sguardo che dice come Gesù si sia sentito attratto e interpellato da quel giovane, come verso di lui abbia provato un sentimento di affetto. Era un giovane amabile, forse bello, forse così trasparente che a Gesù risultava amabile; a lui egli rivolge uno sguardo lungo, profondo, preciso, di elezione della sua persona tra gli altri.
Ma nonostante questa simpatia, questo sguardo su chi era amabile, la relazione non si accende e lo sguardo di Gesù rimane senza risposta. Sì, il giovane se ne andò triste, ma forse che Gesù se ne sarà andato contento? Siamo sicuri che, fatto il suo dovere, quasi l’avesse amato solo per chiamarlo, Gesù non si sia rattristato per il rifiuto della sua offerta d’amore? Ecco una debolezza anche dell’amore più forte: l’amore di Gesù non è stato compreso, il giovane che ai suoi occhi era amabile non gli ha permesso di amarlo. È un enigma accompagnato da tristezza, nostalgia, sofferenza: il no dell’altro, per noi amabile, al nostro sguardo, al nostro amore, è una sofferenza acuta che continua almeno per un certo tempo. E’ la “necessitas amoris”, inscritta nell’amore: l’amore si rivolge alla libertà dell’altro, e così nella relazione può accadere anche il diniego, il rifiuto, il no all’amore. E l’amante riceve sofferenza per il no opposto al suo amore; l’amante è sempre esposto al rischio che l’amato non diventi amante, che l’amato se ne vada, che non riconosca l’amore di chi lo ama.
Ma di chi sto parlando? Di me e dei miei dati autobiografici? Di Gesù che “narra” Dio? Non sto forse leggendo tutta la vicenda di Dio e dell’uomo? Non sto sintetizzando la Bibbia come storia d’amore? Sì, il nostro Dio, che ci ha creati per avere con noi una relazione d’amore, per avere davanti a sé qualcuno a cui offrire i suoi doni meravigliosi – come affermava Ireneo di Lione –, il Dio che il Nuovo Testamento, dopo il racconto fattone da Gesù, definisce “agápe, amore” (1Gv 4,8.16), non è soprattutto il partner nella storia d’amore con noi, con l’umanità? Che storia! Una storia d’amore in cui ci sono misconoscimenti, tradimenti, conflitti, negazioni; una storia in cui il Dio creatore, il Dio donatore di tutto si fa mendicante d’amore presso il suo popolo che lo tradisce e che giunge a prostituirsi, ad avere altri amanti. In questa storia il Dio creatore è vulnerabile: soffre per l’amore non corrisposto, è frustrato dalle non risposte del partner amato, è geloso di questo amato così litigioso e pronto all’infedeltà, un amato che non corrisponde. E’ una storia in cui ci sono state le stagioni dell’amore: c’è stata la primavera, l’innamoramento; poi la stagione dell’unione dei partner e della celebrazione dell’amore; ma poi anche la lunga stagione dell’infedeltà, dell’aridità dell’amore e delle passioni dell’amato per nuovi amanti.
All’amante basta amare anche senza reciprocità, anche senza il contraccambio da parte dell’amato? L’amore si sostiene anche quando l’amato rifiuta di essere trasfigurato dall’amore dell’amante? L’amore contiene in sé il riconoscimento della libertà dell’altro e continua nel suo ardere anche quando dall’altro giunge il diniego? Se è vero amore, sì! Proprio perché l’amore basta all’amore, perché l’amore non può mai essere meritato ma sta nello spazio della gratuità e della libertà, perché non solo Dio è amore ma l’amore, se è vero, diventa divino, cioè racconta sempre Dio.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Parole chiave di questo articolo
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