EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

La preghiera, via di umanizzazione e di relazione

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
15/09/2010

Tratto da:
Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità, Rizzoli, 1999, p. 87-90

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Spesso i credenti scambiano la preghiera per una soluzione magica ai propri problemi. E di fronte all’evidente illusorietà di questo approccio a Dio, i non credenti traggono la conclusione che pregare non serva ad affrontare le situazioni di bisogno, di malattia, di sofferenza.
Questo intenso e difficile brano di Enzo Bianchi ci insegna ad evitare il doppio equivoco: la preghiera non serve a evitarci il dolore di vivere, né a far sì che Dio si convinca a fare la nostra volontà; serve invece a purificare le nostre immagini del divino (troppo spesso maldestramente ispirate dalla nostra idea di potenza e di onnipotenza), a sintonizzare poco per volta la nostra volontà sulla volontà di Dio, e ad attraversare il male continuando ad amare e ad accettare di essere amati.
Camminare verso il bene, combattere il male, fare spazio all’amore per gli altri e per se stessi, valorizzare la vita: è questa, e solo questa, la volontà di Dio (come abbiamo spesso sottolineato in queste pagine e per quanto dissonanti da essa possano essere le tesi di certi uomini “religiosi”), questo – per chi crede in modo maturo nel Dio narrato da Gesù Cristo – il solo, grande miracolo della preghiera. E per chi non crede, pur restando la preghiera confinata in una dimensione dell’essere estranea al proprio orizzonte etico, il frutto di umanizzazione che essa comporta può allora risultare finalmente comprensibile e persino condivisibile, terreno comune a tutti nella quotidiana lotta contro il dolore.
“L’opera più difficile è la preghiera”. Quanti giovani monaci si sono sentiti dare questa risposta dall’anziano, dall’abba da loro interrogato. E la difficoltà, come la preghiera, resta nel tempo pur assumendo sfumature differenti. Ogni generazione, e ogni uomo in ogni generazione, ha il compito di raccogliere l’eredità di preghiera che gli viene consegnata e la responsabilità di ridefinirla. E di ridefinirla vivendola! E oggi è difficilmente comprensibile quella definizione della preghiera come “elevazione dell’anima a Dio’’ che ha traversato tanto l’Oriente come l’Occidente. Dopo Auschwitz è stato posto l’interrogativo circa la possibilità stessa della preghiera. Ma io penso che la risposta non debba limitarsi a rimpiazzare il titolo di “Onnipotente’’ dato da sempre a Dio con quello di “Impotente’’ (vi è chi parla dell’“onnidebolezza” di Dio). Mi sembra che così si resti sempre all’interno di una logica di teodicea. Invece, prendendo sul serio il fatto che molti anche ad Auschwitz, come in tanti altri inferni terreni, sono morti pregando, penso che si possa comprendere la preghiera come cammino del credente verso il suo Dio. O meglio, come coscienza di tale cammino. La preghiera cristiana appare così come lo spazio di purificazione delle immagini di Dio. Dunque come la faticosa e quotidiana lotta per uscire dalle immagini manufatte del divino per andare verso il Dio rivelato nel Cristo crocifisso e risorto, vera immagine di Dio consegnata all’umanità.
Se la preghiera è il colloquio fra Dio e l’uomo, fatto di ascolto della Parola divina contenuta nelle Scritture e di risposta umana (risposta che implica anche responsabilità), essa allora è la via che apre l’uomo alla dimensione della comunione, con Dio e con gli altri uomini. Così essa diviene adattamento dell’uomo all’ambiente divino, vita davanti a Dio e con Dio, relazione con Dio. Nella preghiera il cuore, cioè il centro della persona, si concentra su Colui che gli parla, che lo chiama, e così si decentra da sé entrando nel movimento dell’“estasi”, dell’uscita da sé per conoscere e incontrare il Signore. Così avviene la preghiera: come costante e interminabile itinerario del credente verso il suo Dio, un Dio la cui conoscenza non è mai già data, ma sempre “diviene’’ in una storia, in una vita. E non è neppure mai pienamente realizzata: la preghiera infatti è ricerca del volto di Dio, ricerca incessante e ostinata da parte di colui che è stato vinto da una Presenza, anche se forse questi non saprà mai pienamente render ragione, tradurre verbalmente l’esperienza che ha vissuto, che l’ha segnato e che ha fatto di lui un credente.
La preghiera allora è la coscienza della vita cristiana come cammino verso Dio. Un Dio che è invisibile e silenzioso, ma la cui invisibilità e il cui silenzio sono quelli del Padre: non è l’assente, ma il Presente che cela la sua presenza dietro al silenzio e al nascondimento, è il Padre che, grazie al suo ritiro e al suo silenzio fa della sua presenza un appello, una chiamata, una vocazione. E così la preghiera, forma di comunicazione con Colui che non si vede e che resta nel silenzio, può rispondere a tale appello liberando la libertà dell’uomo, la sua espressione, portando l’orante alla conoscenza di sé mentre lo guida alla ricerca di Dio.
La preghiera dell’uomo a Dio è la risposta alla preghiera che Dio rivolge all’uomo. In questo dialogo entra tutto l’uomo: l’uomo è attesa, domanda, desiderio, relazione... e la preghiera conosce le sue molteplici modulazioni: ringraziamento, invocazione, intercessione, richiesta... “Norma’’ della preghiera cristiana è la preghiera di Gesù, il Figlio di Dio: la sua preghiera conosce anche il non-esaudimento nel momento cruciale del Getsemani, quando Gesù chiede al Padre che “passi da lui quell’ora’’ tragica, che gli possa essere risparmiato il calice dell’amarezza, ma tutto rimette al compimento della volontà di Dio, non della sua.
La preghiera non è la sublimazione del desiderio umano, la richiesta che Dio compia la nostra volontà, ma il cammino attraverso il quale avviene il riconoscimento e l’accettazione della volontà di Dio. Cioè avviene la sempre migliore conoscenza di Dio e il conseguente adeguamento della relazione a tale conoscenza. L’esperienza mostra che la preghiera muta in una stessa persona, al trascorrere degli anni. Solo così essa è reale relazione con Dio, relazione che resta viva, che non si atrofizza. Fine di tale cammino e di tale relazione è la conformazione della nostra vita all’immagine di Dio: Gesù Cristo.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter