Guida alla lettura
Questo intenso e difficile brano di Enzo Bianchi ci insegna ad evitare il doppio equivoco: la preghiera non serve a evitarci il dolore di vivere, né a far sì che Dio si convinca a fare la nostra volontà; serve invece a purificare le nostre immagini del divino (troppo spesso maldestramente ispirate dalla nostra idea di potenza e di onnipotenza), a sintonizzare poco per volta la nostra volontà sulla volontà di Dio, e ad attraversare il male continuando ad amare e ad accettare di essere amati.
Camminare verso il bene, combattere il male, fare spazio all’amore per gli altri e per se stessi, valorizzare la vita: è questa, e solo questa, la volontà di Dio (come abbiamo spesso sottolineato in queste pagine e per quanto dissonanti da essa possano essere le tesi di certi uomini “religiosi”), questo – per chi crede in modo maturo nel Dio narrato da Gesù Cristo – il solo, grande miracolo della preghiera. E per chi non crede, pur restando la preghiera confinata in una dimensione dell’essere estranea al proprio orizzonte etico, il frutto di umanizzazione che essa comporta può allora risultare finalmente comprensibile e persino condivisibile, terreno comune a tutti nella quotidiana lotta contro il dolore.
Se la preghiera è il colloquio fra Dio e l’uomo, fatto di ascolto della Parola divina contenuta nelle Scritture e di risposta umana (risposta che implica anche responsabilità), essa allora è la via che apre l’uomo alla dimensione della comunione, con Dio e con gli altri uomini. Così essa diviene adattamento dell’uomo all’ambiente divino, vita davanti a Dio e con Dio, relazione con Dio. Nella preghiera il cuore, cioè il centro della persona, si concentra su Colui che gli parla, che lo chiama, e così si decentra da sé entrando nel movimento dell’“estasi”, dell’uscita da sé per conoscere e incontrare il Signore. Così avviene la preghiera: come costante e interminabile itinerario del credente verso il suo Dio, un Dio la cui conoscenza non è mai già data, ma sempre “diviene’’ in una storia, in una vita. E non è neppure mai pienamente realizzata: la preghiera infatti è ricerca del volto di Dio, ricerca incessante e ostinata da parte di colui che è stato vinto da una Presenza, anche se forse questi non saprà mai pienamente render ragione, tradurre verbalmente l’esperienza che ha vissuto, che l’ha segnato e che ha fatto di lui un credente.
La preghiera allora è la coscienza della vita cristiana come cammino verso Dio. Un Dio che è invisibile e silenzioso, ma la cui invisibilità e il cui silenzio sono quelli del Padre: non è l’assente, ma il Presente che cela la sua presenza dietro al silenzio e al nascondimento, è il Padre che, grazie al suo ritiro e al suo silenzio fa della sua presenza un appello, una chiamata, una vocazione. E così la preghiera, forma di comunicazione con Colui che non si vede e che resta nel silenzio, può rispondere a tale appello liberando la libertà dell’uomo, la sua espressione, portando l’orante alla conoscenza di sé mentre lo guida alla ricerca di Dio.
La preghiera dell’uomo a Dio è la risposta alla preghiera che Dio rivolge all’uomo. In questo dialogo entra tutto l’uomo: l’uomo è attesa, domanda, desiderio, relazione... e la preghiera conosce le sue molteplici modulazioni: ringraziamento, invocazione, intercessione, richiesta... “Norma’’ della preghiera cristiana è la preghiera di Gesù, il Figlio di Dio: la sua preghiera conosce anche il non-esaudimento nel momento cruciale del Getsemani, quando Gesù chiede al Padre che “passi da lui quell’ora’’ tragica, che gli possa essere risparmiato il calice dell’amarezza, ma tutto rimette al compimento della volontà di Dio, non della sua.
La preghiera non è la sublimazione del desiderio umano, la richiesta che Dio compia la nostra volontà, ma il cammino attraverso il quale avviene il riconoscimento e l’accettazione della volontà di Dio. Cioè avviene la sempre migliore conoscenza di Dio e il conseguente adeguamento della relazione a tale conoscenza. L’esperienza mostra che la preghiera muta in una stessa persona, al trascorrere degli anni. Solo così essa è reale relazione con Dio, relazione che resta viva, che non si atrofizza. Fine di tale cammino e di tale relazione è la conformazione della nostra vita all’immagine di Dio: Gesù Cristo.
Biografia
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.