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Dopo la furia del terremoto: la solidarietà a cui tutti siamo chiamati

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07/09/2016

Tratto da:
Enzo Bianchi, L'uomo davanti alla rabbia della natura, La Stampa, 28 agosto 2016

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Facciamo una pausa nell’analisi delle opere di misericordia, risposta cristiana alla sofferenza del vivere, per fare spazio alla riflessione che Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, ha scritto nei giorni successivi al terremoto che ha sconvolto il Centro Italia. Ancora una volta la sapienza di Bianchi ci aiuta a sbarazzarci da pregiudizi religiosi e visioni distorte del cristianesimo, e pone le basi per un’etica umana condivisa fra laici e credenti.
Tre le osservazioni centrali di questo importante brano:
1) proclamare che Dio ha fatto la “grazia” ai sopravvissuti non ha senso e non è cristiano, perché equivale ad affermare che l’ha negata a chi è morto: la morte per cause naturali colpisce alla cieca e, per il credente, Dio è ugualmente vicino ai sommersi e ai salvati;
2) Dio ha creato il mondo e l’uomo, ma ormai l’uomo e il mondo sono liberi di agire secondo le proprie specifiche proprietà: la natura attraverso leggi che raramente conoscono eccezione, e che talvolta causano cataclismi e tragedie; noi attraverso la nostra libertà, che ci consente di fare il bene e fare il male, e tanto più spesso di non fare il bene a cui pure saremmo chiamati;
3) la libertà “buona” che l’uomo deve esercitare nei confronti del mondo è fatta di rispetto della natura, di equo ed equilibrato utilizzo delle risorse e di un intelligente utilizzo delle tecniche che la nostra civiltà ha messo a punto nel corso dei secoli: solo così le tragedie naturali possono essere previste, ed entro certi limiti controllate, per la conservazione del territorio, dei tesori della cultura, della vita di donne, uomini, bambini.
Su tutto deve poi prevalere una solidarietà senza confini di fede, per onorare i morti, soccorrere i sopravvissuti e cercare di dare un senso alla vita di tutti noi.
Davanti alla tragicità di eventi come questo terremoto dovremmo vigilare affinché l’angoscia del restare “senza parole” non sia anestetizzata dal ripetere parole senza senso. Sentire che ai sopravvissuti Dio avrebbe fatto la grazia di non essere travolti dal terremoto, fa intendere che Dio l’avrebbe al contempo rifiutata a chi invece è morto. Chi si è salvato potrebbe allora gridare al miracolo, ma quanti sono rimasti schiacciati dalle macerie, a cominciare da tanti bambini, avrebbero conosciuto solo il volto di un Dio irato.
Non è questa la fede cristiana, così come non lo è l’affibbiare implicitamente al Dio di Gesù Cristo il nome di “destino”: retaggio di una mentalità pagana che secoli di cristianesimo non hanno mai superato definitivamente. La nostra vita è stata affidata alle nostre mani, mani fragili, mani capaci anche di commettere il male, mani più sovente responsabili di omissioni nei confronti del bene. La tradizione ebraica – che per secoli ha dovuto tragicamente confrontarsi con l’abisso del male, sovente compiuto dagli esseri umani, pur creati a immagine e somiglianza di Dio – ha elaborato la nozione dello tzim-tzum, del “ritrarsi” di Dio di fronte alla creazione per fare spazio a questa realtà autonoma. Secondo i rabbini, Dio nella sua onnipotenza è riuscito a creare una montagna che neppure lui è in grado di scalare: questa montagna che ormai si erge di fronte a Dio è l’essere umano nella sua libertà, ma è anche la creazione nella sua autonomia. Dio non ha abbandonato la creazione, non si è isolato impassibile altrove, ma per garantire all’essere umano pienezza di libertà e per non esercitare alcun tipo di costrizione, non si nasconde cinicamente dietro forze caotiche e cieche, come un regista che mette in scena la storia a suo piacimento.
Allora, di fronte a una tragedia naturale come quella del terremoto, i cristiani, in nome della loro sequela di un Signore crocifisso che ha preso su di sé la violenza e il dolore, fino alla morte ignominiosa patita da innocente, devono impegnarsi nell’acquisire e nel condividere una sapienza necessaria all’intera umanità. Essi sanno che l’essere umano possiede la tecnica – di per sé “neutra” – e la capacità di orientarla e anche pervertirla con la sua volontà egoistica, con l’accaparramento dei beni della terra, eludendo l’esigenza di una distribuzione universale delle risorse del pianeta. Così come, credenti e non credenti, sappiamo tutti che la natura possiede sì forze intrinseche che sfuggono al controllo umano, ma sappiamo anche che prevenzione, salvaguardia del territorio, atteggiamento di rispetto del creato e di ricerca di armonia con esso possono contenerne la forza bruta che si scatena.
Ora sta a tutti, in una solidarietà umana che varca ogni confine di religione e fede, impegnarsi in modo serio e perseverante nell’aiuto alle popolazioni colpite. Non basta l’emotività passeggera, non basta la commozione di un momento, tanto più intensa quanto più da vicino la tragedia ci riguarda: occorre un impegno serio e continuo, non solo per ricostruire, ma per farlo in modo previdente e lungimirante, perché ai nostri giorni le cause di una tragedia “naturale”, e soprattutto le sue dimensioni, non sono mai interamente ineluttabili, ma sono determinate anche da comportamenti e scelte politiche ed economiche, dalle priorità assegnate ai diversi campi di ricerca e di investimento, dal modo di sfruttare la terra e le sue risorse.
Anche da questa consapevolezza dipenderà la capacità dei cristiani di trovare il modo di agire per il bene comune e le parole per narrare, anche di fronte all’atrocità di tante morti assurde, la propria fede in un Dio di amore.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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