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Dolore dell'uomo e silenzio di Dio

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23/11/2011

Tratto da:
Enzo Bianchi, Il silenzio eloquente del Padre, Avvenire, 26 settembre 2006

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Questo brano di Enzo Bianchi parla innanzitutto ai credenti, e in particolare a coloro che, in situazioni di dolore, percepiscono con acuta sofferenza quello che tutta la tradizione spirituale ebraico-cristiana chiama “silenzio di Dio”. Questo silenzio, spiega Bianchi, non è mutismo, non è abbandono, ma – in un’ottica di fede – “sfondo” della parola divina, che gli uomini e le donne di ogni tempo sono poi chiamati a discernere attraverso la lettura delle Scritture e degli eventi della vita. Semmai è l’incapacità del credente di fare ascolto che crea quell’apparente assenza di fronte alle vicende quotidiane: cosicché quella che imputiamo a Dio è in realtà la nostra mancanza di compassione per gli altri, la nostra mancata assunzione di responsabilità nei confronti di chi soffre.
Questa pagina, però, può offrire uno spunto di riflessione anche a chi non crede, a chi sceglie di fondare il proprio comportamento etico e i propri ideali sulla base di valori esclusivamente umani. Il silenzio interiore ed esteriore, infatti, è sempre contenitore e catalizzatore del pensiero, base solida su cui delineare le grandi scelte della vita. Estremamente eloquente, a questo proposito, è un volume da noi già citato in altre occasioni: “Il silenzio, via verso la vita”, di Roberto Mancini (Edizioni Qiqajon, 2002), un libro che si dovrebbe leggere soprattutto da giovani, quando si è chiamati a individuare e coltivare i propri talenti personali, con orientamenti di studio, lavoro e volontariato che influenzano poi tutto il corso dell’esistenza. E anche in un’ottica laica, la lotta al dolore – proprio e altrui – si alimenta di pause di silenzio, indispensabili a un’azione che sia animata non solo da solerzia ed efficienza, ma anche da compassione ed empatia.
In un’epoca in cui il rumore domina le nostre giornate, il silenzio è davvero sorgente di lucidità ed energia, per il credente come per l’ateo e per l’agnostico, contro ogni forza di disgregazione della nostra integrità e dignità.
Tra le numerose accezioni del silenzio ve n’è una che ai nostri giorni è chiamata in causa con eccessiva facilità: il silenzio di Dio. E non nel senso tragicamente interrogativo del suo apparente tacere di fronte all’abisso del male, bensì in quello più spicciolo, quotidiano, personale. Quante volte, infatti capita di ascoltare lamentele che paiono accuse scagliate verso il cielo: «Dio non mi parla, non mi dice nulla!». Parole pronunciate sovente non da grandi figure spirituali, avanzate negli anni, la cui lunga esperienza di preghiera può aver conosciuto anche la “notte oscura” dell’assenza di Dio, bensì da giovani o da comuni credenti che paiono quasi giustificare così la loro mancanza di fede, il loro allontanarsi dai luoghi e dai tempi della preghiera, del dialogo con il Signore nella fedeltà dell’amore. Sì, è diventato quasi un vezzo chiedersi «dov’è Dio?» ogni volta che siamo scossi da qualche evento terribile, e imputargli un silenzio colpevole nel dipanarsi della storia come nelle nostre vicende personali. Questo, tra l’altro, ci libera dai ben più inquietanti interrogativi: «Dov’è l’uomo, fratello del suo simile? Dove sono io? Che ne ho fatto della mia responsabilità e solidarietà?».
In realtà, il “silenzio di Dio” è un’espressione biblica che l’Antico Testamento in particolare mette in bocca a uomini e donne in preghiera. Questo suggerisce che il Dio silente non è tanto un argomento di chiacchiera o discussione, quanto piuttosto l’interrogativo al culmine di un cammino di sofferenza: quando si è colti dal dolore, dall’oppressione, dallo sterminio, dall’ingiustizia che uccide e non vi è nessun uomo che venga in aiuto, nessuno che ascolti, che prenda le difese, che denunci il male, allora il credente chiama Dio e, se ancora nulla cambia, lo supplica accoratamente: «O Dio, non restare muto, non startene in silenzio!» (Sal 82,2), «Dio della mia lode, esci dal silenzio!» (Sal 109,1), «Se tu resti muto, io sono come chi scende nella fossa» (Sal 28,1). Anche Giobbe ha gridato: «Urlo verso di te e non rispondi!» (Gb 30,20). Chi prega così non pretende che Dio parli, ma pretende che qualcosa cambi nella propria situazione, che vi sia un mutamento nella realtà circostante e un cambiamento in se stesso: infatti, si può anche vivere un cammino di sofferenza e non denunciare il silenzio di Dio, ma questo è possibile solo se si giunge a capire che quel cammino ha un senso. Gesù nella sua estrema derelizione sulla croce si è rivolto a Dio chiedendogli: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», intonando così il salmo 22, il canto del giusto perseguitato a morte. Ma proprio in quel salmo, dopo il lamento, quando sembra che tutto ormai sia solo aporia, che tutto sia ormai finito, la voce dell’orante si leva ad esclamare: «Tu mi hai risposto!».
Ma queste invocazioni dei salmisti, queste suppliche a Dio perché cessi di starsene in silenzio vanno decodificate: si tratta di discernere se è Dio che fa silenzio o non piuttosto il credente, il popolo, l’orante che non ascolta, che è incapace di cogliere la parola di Dio, pronunciata magari in altro modo, attraverso eventi e vicende inattese e non prevedibili? E comunque, perché non cogliere che Dio può parlare anche nel silenzio? Sì, il silenzio può essere una modalità altra del suo linguaggio, accanto a quella della parola pronunciata e della parola-evento che si realizza. Non dovremmo scordare un testo biblico estremamente illuminante in proposito, un testo che un tempo risuonava come antifona di introito nella messa della notte di Natale: «Mentre un silenzio profondo avvolgeva ogni cosa… dall’alto dei cieli… la tua parola onnipotente si lanciò dal trono regale» (Sap 18,14-15). Mistero di parola e silenzio in Dio.
Sì, Dio è in verità silenzio e parola: non silenzio muto e sordo, ma silenzio che è un modo di comunicare altro rispetto alla parola, un modo che in determinate circostanze può rivelarsi più efficace ed “eloquente” di qualsiasi discorso. La parola di Dio resta iscritta nel suo grande silenzio e in esso trova la propria origine e la propria leggibilità: da parte nostra dobbiamo ascoltare l’uno e l’altra, perché entrambi sono presenza di Dio, di quel Dio che non può non essere presenza, perché come tale si è sempre manifestato. Sappiamo che la tentazione dell’ateismo, del nulla, della “nientità” è costantemente in agguato anche, e forse soprattutto, per gli uomini e le donne di preghiera, per i grandi contemplativi che vivono nella fede e nella salda adesione al Signore: anche loro possono giungere a lamentarsi del silenzio di Dio, a piangerne l’assenza e a invocarne una parola. Ma proprio costoro ci testimoniano che non per questo la presenza di Dio viene meno: Dio è sempre presente all’uomo, da lui creato a propria immagine e da lui amato fino all’estremo. Quando incolpiamo Dio di mutismo, quando attribuiamo a lui il vuoto del nostro cuore è perché in realtà siamo noi incapaci di ascoltarlo, perché cerchiamo da lui una parola che sia a nostra immagine e somiglianza.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
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