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Un amore più forte della morte: riflessione su Giovanni 9,1-45

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12/07/2017

Tratto da:
Enzo Bianchi, Un amore più forte della morte, monasterodibose.it/preghiera/vangelo/11330-un-amore-piu-forte-della-morte

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questo articolo Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, riprende e approfondisce quanto esposto nella precedente puntata, dedicata al significato delle resurrezioni nei vangeli. Il concetto chiave di quella riflessione era che i miracoli operati da Gesù sono segno e anticipazione del risveglio alla vita eterna che attende i credenti alla fine dei tempi.
Un caposaldo della fede che viene qui ribadito nel dialogo con Marta, quando Cristo afferma con chiarezza di essere fonte e garanzia di vita nonostante la morte biologica che colpisce ineluttabilmente tutti i credenti. In altre parole, «la fede non consente di sfuggire alla morte fisica: tutti gli esseri umani devono passare attraverso di essa, ma per chi aderisce a Gesù, la morte non è più l’ultima, definitiva realtà».
Questa affermazione, fra l’altro, consente di inquadrare correttamente il racconto del libro della Genesi, secondo il quale la morte sarebbe entrata nel mondo a seguito del peccato originale: non si parla della fine biologica, che tocca ogni essere vivente, ma della morte spirituale (la “morte secunda”, nel cantico di Francesco d’Assisi), determinata dal rifiuto di Dio. Vale la pena ricordare come questo antichissimo apologo non voglia fornire un resoconto storico, ma esprimere una verità sapienziale: il peccato di Adamo ed Eva è “originale” non perché collocato agli albori dell’umanità, ad opera di mitici progenitori, ma in quanto radicato nel cuore di ciascuno di noi, uomini e donne di ogni epoca. Ognuno di noi è l’Adamo che diffida di un Dio visto come un despota minaccioso, e ognuno di noi è salvato dalla fede in Gesù, che racconta il vero volto di Dio.
Bianchi aggiunge poi altre due importanti considerazioni:
- lo scandalo del male tocca tutti, anche i credenti, ed è naturale che l’esperienza di esso sembri smentire la fede nell’amore di Cristo: in questo contesto, il rimprovero che Marta e Maria rivolgono a Gesù («Se tu fossi stato qui, Lazzaro non sarebbe morto») introduce nel racconto una nota di grande realismo: Dio non si sottrae alle richieste insistenti e nemmeno alle recriminazioni formulate con franchezza dai suoi figli;
- la storia di Lazzaro ci insegna che, nel duello fra l’amore e la morte, alla fine vince l’amore: il figlio di Dio «sarà accanto a noi per abbracciarci nell’ora in cui varcheremo la soglia oscura della morte, per richiamarci definitivamente alla vita».
Tutto questo, naturalmente, ha significato solo per i cristiani. Ma come osservavamo la scorsa puntata, anche chi non crede può stare a fianco dei morenti con un amore simile a quello di Gesù, perché il trapasso incuta meno timore e, soprattutto, non si muoia nella solitudine. Non è un compito facile, perché l’agonia degli altri interroga in profondità le nostre paure, le nostre angosce. Ma saper tenere la mano di chi sta per oltrepassare la “soglia oscura” è un atto che umanizza noi e il morente, e che, in qualche modo misterioso e ineffabile, è già, qui e ora, una vittoria sulla violenza della morte.
Meditiamo sul grande segno della resurrezione di Lazzaro, profezia della resurrezione di Gesù. «Un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato». Gesù amava molto questi amici, che frequentava nei periodi di sosta a Gerusalemme: nella casa di Betania poteva godere dell’accoglienza premurosa di Marta, dell’ascolto attento di Maria (cf. Lc 10,38-42) e dell’affetto fedele di Lazzaro. Le sorelle mandano ad avvertirlo della malattia di Lazzaro, ma egli è lontano. Come può Gesù permettere che un suo amico si ammali, soffra e muoia? Che senso ha? Sono domande affiorate all’interno della rete di amicizie di Gesù, ma che ancora oggi risuonano quando nelle nostre relazioni appaiono la malattia e la morte; è l’ora in cui la nostra fede e il nostro essere amati da Gesù sembrano essere smentiti dalle sofferenze della vita.
Gesù, informato di tale evento, dice: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato», ovvero è un’occasione perché si manifesti il peso che Dio ha nella storia e così si manifesti la gloria del Figlio, gloria dell’amare “fino alla fine” (Gv 13,1). Il suo parlare sembra contraddire l’evidenza: sempre nella malattia la morte si staglia all’orizzonte con la sua ombra minacciosa, eppure Gesù rivela che la malattia di colui che egli ama non significherà vittoria della morte su di lui.
E così – particolare a prima vista sconcertante – Gesù resta ancora due giorni al di là del Giordano. Solo il terzo giorno (allusione alla sua resurrezione) annuncia la sua volontà di recarsi in Giudea: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Di fronte all’ennesimo fraintendimento della sua comunità («pensarono che parlasse del riposo del sonno»), Gesù dichiara apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!».
Gesù giunge con i suoi discepoli a Betania quando «Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro». Saputo del suo arrivo, Marta gli va incontro e gli rivolge parole che sono insieme una confessione di fede e un rimprovero: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Poi aggiunge: «Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, te la concederà». Marta è una donna di fede e confessa che dove c’è Gesù non può regnare la morte, che la morte di Lazzaro è accaduta perché Gesù era lontano. Ella crede in Gesù e, sollecitata da lui, confessa la propria fede nella resurrezione finale della carne. Ma Gesù la invita a compiere un passo ulteriore: «Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno». E Marta replica prontamente: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Anche Maria, chiamata dalla sorella, corre incontro a Gesù e, gettandosi ai suoi piedi, esclama a sua volta: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». I toni sono più affettivi, Maria esprime con le lacrime il proprio dolore. Ella ama Gesù e si sa da lui amata, si mostra pronta a incontrarlo e si inginocchia davanti a lui, ma non dà segni di una fede che possa vincere la sua sofferenza: è interamente definita dal suo inconsolabile dolore. Le sue lacrime sono contagiose: piangono i giudei presenti e piange lo stesso Gesù.
Qui ci è chiesto di sostare sugli umanissimi sentimenti vissuti da Gesù. Innanzitutto egli si commuove, freme interiormente. Di fronte alla morte di un amico, di una persona da lui amata, la prima reazione è il fremito che nasce dal constatare l’ingiustizia della morte: come può morire l’amore? Perché la morte tronca l’amore, la relazione? Poi Gesù si turba: il fremito di indignazione diventa turbamento, esperienza del sentirsi ferito e del sentire dolore e angoscia. Gesù prova questa reazione emotiva anche di fronte alla prospettiva della propria morte imminente (cf. Gv 12,27) e quando nell’ultima cena annuncia ai suoi il tradimento di Giuda (cf. Gv 13,21). Infine, alla vista della tomba Gesù scoppia in pianto, reazione che i presenti leggono come il segno decisivo del suo grande amore per Lazzaro.
Giungiamo quindi al vero vertice del racconto: l’incontro tra Gesù e Lazzaro. Gesù, ancora una volta fremendo nel suo spirito, si reca alla tomba e vede la pietra che chiude il sepolcro: colui che è la vita (cf. Gv 14,6) comincia un duello, una lotta contro la morte. Il testo apre uno squarcio sulla relazione di profonda intimità tra Gesù e Dio. «Gesù alzò gli occhi e disse: ‘Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi ascolti sempre’”», così come Gesù stesso ascolta sempre il Padre (cf. Gv 5,30). È l’unica volta che prega prima di compiere un segno, ma la sua è una preghiera di ringraziamento al Padre, a colui che è il fine stesso della preghiera: Gesù desidera che i presenti giungano a credere che egli è l’Inviato di Dio, dunque un segno che rimanda alla realtà ultima, alla fonte di ogni bene, il Padre.
La risposta di Dio giunge immediata, percepibile nella parola efficace di Gesù, che compie ciò che dice: «Lazzaro, vieni fuori!». Gesù aveva annunciato «l’ora in cui coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio e ne usciranno» (cf. Gv 5,28-29). Ecco un’anticipazione: Lazzaro, morto e sepolto, esce dalla tomba ancora avvolto dalle bende e con la sua resurrezione profetizza la resurrezione di Gesù. Non solo, ma la resurrezione di Lazzaro, «colui che Gesù ama», manifesta la ragione profonda per cui il Padre richiamerà Gesù dai morti alla vita eterna: nel duello tra vita e morte, tra amore e morte, vince la vita, vince l’amore vissuto da Gesù. Gesù è la vita, è l’amore che strappa alla morte le sue pecore, le quali non andranno perdute (cf. Gv 10,27-28); se Gesù ama e ha come amico chi crede in lui, non permetterà a nessuno, neppure alla morte, di rapirlo dalla sua mano!
Avvenuto il segno, la sua lettura e interpretazione spetta a quanti lo hanno visto: «Molti dei giudei credettero in lui». La fede non consente certo di sfuggire alla morte fisica: tutti gli esseri umani devono passare attraverso di essa, ma in verità per chi aderisce a Gesù, la morte non è più l’ultima, definitiva realtà. Chi crede in Gesù ed è coinvolto nella sua amicizia, vive per sempre e porta in sé la vittoria sulla malattia e sulla morte. Non solo, come si legge al termine del Cantico dei cantici, «l’amore è forte come la morte» (Ct 8,6), ma l’amore vissuto e insegnato da Gesù è più forte della morte, è profezia e anticipazione per tutti gli amici del Signore, destinati alla resurrezione. Questa è la gloria di Gesù, gloria dell’amore, anche se all’apparenza egli sembra sconfitto: in cambio di questo gesto, infatti, riceve una sentenza di morte dalle autorità religiose, per bocca di Caifa (cf. Gv 11,46-53). Dare la vita a Lazzaro è costato a Gesù la propria vita: ecco cosa accade nell’amicizia vera, quella vissuta da Gesù, che ha donato la propria vita per gli amici (cf. Gv 15,13).
L’amore, l’amicizia di Gesù, dunque, vince la morte. Se siamo capaci di mettere la nostra fede-fiducia in lui, questa pagina ci rivela che non siamo soli e che anche nella morte egli sarà accanto a noi per abbracciarci nell’ora in cui varcheremo quella soglia oscura e per richiamarci definitivamente alla vita con il suo amore. Ecco il dono estremo fatto da Gesù a quanti si lasciano coinvolgere dalla sua vita: la morte non ha l’ultima parola, e chiunque aderisce a lui, lo ama e si lascia da lui amare, non morirà in eterno. Canta Gregorio di Nazianzo: «Signore Gesù, sulla tua parola tre morti hanno visto la luce: la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain e Lazzaro uscito dal sepolcro alla tua voce. Fa’ che io sia il quarto!».

Il brano del Vangelo di Giovanni

In quel tempo, un certo Lazzaro di Betania, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. (…) Poi disse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». (…)
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betania distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi. La comunità oggi conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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