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Il diluvio universale: una storia di violenza e dolore, ma anche di speranza

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06/06/2012

Tratto da:
Paolo Ricca, L’«operazione diluvio»: utile o inutile?, Riforma, 6 aprile 2012

Guida alla lettura

«Zia, secondo te Dio è buono?». «Certo, Filippo: perché me lo chiedi?». «Se Dio è buono, perché ha mandato il diluvio, con tutti quei bambini morti?». Filippo, quattro anni, ha colto con semplicità ed empatia il nocciolo di una delle vicende più violente e incomprensibili narrate dalla Bibbia: la storia di una tempesta incessante che, nelle intenzioni di Dio, avrebbe dovuto spazzare via dalla Terra la malvagità dell’uomo, e che invece sterminò inutilmente ogni forma di vita. Inutilmente, perché gli uomini del dopo-diluvio si riveleranno malvagi quanto i loro antenati, sancendo di fatto la sconfitta di Dio.
La nostra rubrica propone due diverse interpretazioni di quel remotissimo evento. Questa settimana presentiamo il pensiero di Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese, che articola la riflessione in tre punti: il diluvio è un fatto storico, oppure no? Perché Dio lo ha mandato? Qual è il significato di questo racconto? In una delle prossime puntate, ospiteremo un’ampia analisi di Enzo Bianchi, tratta dal libro “Adamo, dove sei?” (Qiqajon, 2007), esemplare lettura esegetica dei primi undici capitoli della Genesi.
Alle tre domande poste all’inizio del brano Paolo Ricca risponde, come vedremo, in termini suggestivi e originali. Primo: il racconto del diluvio, presente in molte culture antiche, è probabilmente «l’eco lontana» di uno dei traumi climatici che hanno caratterizzato la preistoria del pianeta e il susseguirsi delle ere geologiche. Secondo: il libro della Genesi (operando una lettura religiosa dell'evento naturale) spiega che Dio “mandò” il diluvio perché deluso dall’uomo, che si era rilevato «una creatura completamente diversa» da quella che Egli aveva immaginato e voluto. Ma, scatenando il diluvio, «anche Dio diventa altro da sé, non sembra più Dio, appare il contrario di quello che è». Terzo: l’insegnamento profondo del racconto, lungi dall’attribuire a Dio l’effettiva paternità di un così ingiusto sterminio, è che la violenza non "paga", neppure quando originasse da Dio; e che l’arcobaleno apparso al termine della narrazione, suggello della nuova alleanza fra il Creatore e le creature, è il segno visibile che, contro ogni malvagità, l’opzione per l’amore e per la vita è sempre possibile, e che in ultima analisi, anche nel dolore più lacerante, gli uomini e le donne di ogni tempo sono chiamati alla speranza e non alla disperazione.
«La lettura del racconto del diluvio nel libro della Genesi mi ha sempre lasciato molto perplesso. Infatti si legge: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo” (6,5). Dio quindi mandò il diluvio, descritto nel capitolo 7. Poi però, dopo il diluvio, Dio disse: “Io non maledirò più la terra a motivo dell’uomo, poiché il cuore dell’uomo concepisce disegni malvagi fin dall’adolescenza…” (8,21). Ma allora non è forse stata inutile tutta l’“operazione diluvio”? A che cosa è servita tutta quella carneficina di uomini e animali, se non è cambiato niente? Dio si è forse sbagliato? Se poi, come spero, il diluvio non si è effettivamente verificato ma, come altri racconti della Bibbia ci è stato tramandato per nostro ammaestramento, qual è l’insegnamento che possiamo trarre da questo racconto?».
Lettera firmata


Diciamo subito che il nostro lettore ha perfettamente ragione e che la sua grande perplessità davanti al racconto del diluvio è più che legittima e giustificata. Se infatti l’umanità, che era malvagia prima del diluvio, lo è altrettanto anche dopo, è evidente che tutta l’“operazione diluvio”, con la spaventosa ecatombe totale di ogni forma di vita che ha provocato, non è servita a nulla e ci si chiede perché Dio abbia preso una decisione del genere. Non è facile capire. Il nostro lettore però si consola un po’, sperando che il diluvio narrato dalla Bibbia sia non già un fatto storico realmente accaduto, ma un racconto immaginario, come una grande parabola, che ci vuole insegnare qualcosa: il racconto sarebbe semplicemente la drammatizzazione di un insegnamento, non la descrizione di un fatto. I problemi posti da questa lettera sono dunque tre: il diluvio dev’essere considerato un fatto storico, oppure no? Perché Dio ha “mandato” il diluvio? Qual è il senso, e quindi l’insegnamento, di questi capitoli Genesi (6,1-9,17)?
I. Se il diluvio nei termini in cui lo racconta la Bibbia sia un fatto storico oppure no, non lo possiamo sapere. La Bibbia stessa lo colloca nella prima parte del libro della Genesi (capitoli 1-11), che precede l’inizio della narrazione propriamente storica, che comincia con Abramo: il diluvio appartiene quindi a una sorta di preistoria, nella quale storia, mito e leggenda facilmente si mescolano una nell’altra. Un fatto però è certo: molte culture antiche, nei luoghi più disparati e in paesi tra loro molto distanti, hanno tutte conservato il ricordo di un “diluvio universale” o comunque di una catastrofe che ha riguardato e sconvolto la terra intera, cancellando per un tempo più o meno lungo ogni forma di vita, o quasi. Di questi “diluvi universali” nel corso della storia del nostro pianeta ce n’è stato più d’uno. Il ramo della scienza moderna che studia i fossili, le stratificazioni delle rocce e la formazione della crosta terrestre, parla, com’è noto, di “ere geologiche”, e si può pensare che il passaggio da un’era all’altra sia avvenuta attraverso crisi profonde della terra, di natura vulcanica o climatica (il fenomeno delle glaciazioni, ad esempio), e che racconti come quello biblico del diluvio siano l’eco lontana di uno di questi traumi cosmici che l’umanità ha vissuto in tempi remotissimi e che ha lasciato nel suo subconscio una traccia indelebile. Direi perciò che il diluvio è, sì, un fatto storico o, se si preferisce, preistorico, che la Bibbia collega strettamente alla storia, o alla preistoria, dell’umanità, ma che propriamente appartiene piuttosto alla storia della terra, e della sua lenta e complessa formazione.
II. Perché Dio “manda” il diluvio? La risposta a questa domanda si trova nel capitolo 6 della Genesi: «L’Eterno vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra, e che tutti i disegni dei pensieri del loro cuore non erano altro che male in ogni tempo. E l’Eterno si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo» (vv. 5-6). Lo stesso pensiero è ripetuto subito dopo, nei versetti 11 e 12. L’uomo dunque, creato “a immagine e somiglianza” di Dio, contraddice talmente le sue aspettative e il progetto che aveva in mente quando «lo pose nel giardino d’Eden» (Genesi 2,15), che Dio addirittura “si pentì” di averlo fatto. Tante volte nella Bibbia leggiamo che Dio “si pentì”, ma si tratta sempre di pentimenti relativi al male che Dio aveva in un primo tempo pensato di fare per punire il popolo a motivo delle sue trasgressioni (Esodo 32,14; Giudici 2,18; Geremia 18,8). Qui invece Dio si pente del bene che aveva fatto creando l’uomo e suscitando la vita sulla terra. Perciò questo pentimento di Dio segna il punto più basso nella storia dei suoi rapporti con l’uomo e con il mondo. Dio aveva creato l’uomo perché fosse il suo luogotenente sulla terra, re e sacerdote del creato, e invece era diventato una creatura completamente diversa – potremmo dire irriconoscibile – da quella che Dio aveva immaginato e voluto. Dio aveva creato il mondo perché fosse il teatro della sua gloria e un “giardino” in cui gli uomini potessero vivere insieme in pace, gioia e fraternità, e invece era diventata una terra “ripiena di violenza” (Genesi 6,11), dove fin dall’inizio il fratello uccide il fratello, e il male dilaga in ogni luogo e si annida in ogni cuore. E Dio «se ne addolorò in cuor suo» (v. 6).
È impressionante l’accostamento che la Bibbia fa tra il cuore dell’uomo, i cui pensieri «non sono altro che male» (v. 5) e il cuore di Dio, ferito e affranto davanti allo spettacolo di un mondo e di un uomo corrotti e violenti. Dio soffre. Non è rabbia, è dolore per la delusione cocente, dolore di Dio che si sente sconfitto e in un certo senso lo è. Dio aveva puntato tutto sull’uomo, che però lo ha tradito, e in questo senso Dio è sconfitto. Come un artista che dipinge un quadro si accorge, dopo averlo ultimato, che esso non corrisponde all’idea che voleva esprimere, e quindi lo scarta e ne fa un altro, così deve aver pensato Dio nel suo dolore, vedendo un mondo pieno di violenza e un uomo che non riflette in nulla la sua immagine. Nasce allora l’idea del diluvio: «Sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato» (v. 7). Decisione atroce, che deve aver tormentato e traumatizzato Dio stesso, perché contraddice il suo essere profondo: Dio è Creatore, non Distruttore, semina la vita, non la morte. Con il diluvio Dio diventa altro da sé, non sembra più Dio, appare il contrario di quello che è. Il diluvio è il suggello della sua sconfitta come creatore, la sanzione finale di un progetto fallito. Perché dunque il diluvio? Non per migliorare l’umanità, ma per cancellarne la brutta copia quale essa era diventata. Dio non sopporta un mondo e un uomo diventati il contrario di quello che devono e possono essere. Gli si può dare torto? Il nostro lettore si chiede: «Dio si è forse sbagliato?». Anche Dio se lo è chiesto, e la sua risposta – amarissima – è stata: «Sì, ho sbagliato a creare l’uomo».
III. Qual è il senso, e quindi l’insegnamento, della storia del diluvio? Essa contiene molti insegnamenti, ma per brevità, mi limito a indicare i quattro maggiori.
[1] Il diluvio (comunque lo si voglia concepire o immaginare) non è servito a niente. Prima e dopo e fino ai nostri giorni, l’umanità, purtroppo, è sempre ugualmente violenta e corrotta. Violenza e corruzione non solo non sono scomparse, ma non sono neppure diminuite: semmai sono aumentate. Anche Dio è stato violento, ma neppure la violenza di Dio serve a qualcosa. Nessuna violenza ha mai convertito nessuno, e quando lo ha fatto erano conversioni finte, apparenti. Nessun diluvio può lavare il cuore o la coscienza. Solo le acque del battesimo, insieme allo Spirito Santo e alla fede, possono farlo (I Pietro 3,21). L’inutilità, anzi la negatività del diluvio dimostra l’inutilità, anzi la negatività di ogni tipo di violenza.
[2] Dopo il diluvio Dio si converte alla nonviolenza: è forse questo il messaggio principale della storia. «Nessuna carne sarà più sterminata dalle acque del diluvio, e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra» (Genesi 9,11). Dio non manderà mai più il diluvio, manderà la sua Parola, attraverso Mosè, i profeti, gli altri grandi testimoni come Giobbe, l’Ecclesiaste, i Salmi, Giovanni Battista. Infine «ha parlato a noi mediante il suo Figlio» (Ebrei 1,2). La Parola di Dio è l’anti-diluvio, il modo assolutamente nonviolento con cui Dio si rivolge all’uomo e lo cerca.
[3] Dopo il diluvio, nasce in Dio per la prima volta l’idea di un patto, non solo con Noè e la sua discendenza, ma «con tutti gli esseri viventi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra» (Genesi 9,10). Che cosa vuol dire questo patto, il cui segno è l’arcobaleno, che con mille colori congiunge il cielo con la terra? Vuol dire che Dio prende un impegno solenne a favore della terra e di tutto ciò che vive. Dio non vuole essere solo creatore, ma anche protettore, difensore, custode, benefattore della creazione. Con questo patto, Dio si rivela decisamente come Dio della vita.
[4] Prima, durante e dopo il diluvio, c’è Noè, «uomo giusto, integro, che camminava con Dio» (Genesi 6,9) e «trovò grazia agli occhi di Dio» (v. 8). Noè consola Dio nel suo dolore, attenua la misura della sconfitta. Noè e l’arca (con il suo prezioso contenuto: la vita!) sono il ponte che ci trasporta oltre le acque del diluvio, cioè della sconfitta di Dio e dell’uomo, verso un nuovo inizio della storia del mondo sotto il segno dell’arcobaleno, cioè del patto di fedeltà di Dio alla terra e a tutto ciò che vive. La giustizia di Noè consola Dio perché dimostra che l’uomo può essere giusto e integro, e non violento e corrotto. Ma la giustizia di Noè non bastò a evitare il diluvio. Solo la giustizia di Gesù basterà, perché lì avverrà il perdono del mondo. Ma Noè, con la sua arca, resta un faro nella notte perché è l’uomo dell’arcobaleno, che ci rivela il Dio del patto, cioè di una promessa di vita che genera una speranza che non sarà delusa.

Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni.
Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia.
Attualmente è professore ospite presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.
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