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Il pianto di Andromaca

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25/03/2009

Tratto da:
Omero, Iliade, XXII, 437-515
in: Rosa Calzecchi Onesti, Iliade, Einaudi, Torino, 1950

Guida alla lettura

Nel corso della sanguinosa guerra che porterà i Greci alla conquista della città di Troia, Achille – a lungo isolatosi dal conflitto per una disputa sul bottino – scende infine in campo per vendicare l’amico Patroclo, ucciso da Ettore, figlio del re Priamo e campione dei combattenti troiani. Al termine di un duello drammatico e violentissimo, Ettore viene colpito a morte, oltraggiato e infine trascinato dai cavalli dell’avversario sulla spianata antistante la città.
Il clamore giunge rapidamente al palazzo reale, dove Andromaca, sposa di Ettore, tesse ignara una tela variopinta. All’udire le grida e il pianto dei soldati, la donna è colta da un cupo presentimento, corre alle mura e, come in un incubo, assiste impotente allo scempio del corpo del marito. Una “notte di tenebra” le copre gli occhi, e un accorato lamento le sgorga dal cuore: il rimpianto per l’infelice sorte del suo uomo, la commiserazione di se stessa, l’angoscia per il destino del figlioletto si intrecciano in un quadro di rara potenza emotiva e artistica, che per molti aspetti anticipa i modi della tragedia attica.
Il cordoglio è infinito, ma non si tratta soltanto di questo. In quel mondo arcaico, dominato dagli uomini e da una concezione spietata del potere, e nel quale la donna non godeva di alcun diritto autonomo, Andromaca sente la paura della solitudine e del domani, una paura che nasce dalla perdita dell’unica persona capace di proteggere lei e il piccolo. Il suo destino di vedova è la schiavitù presso i vincitori; ma all’orfano di un vinto è riservato un futuro forse ancora più amaro: l’isolamento sociale decretato dagli “amici” di un tempo, la deprivazione di ogni risorsa morale, familiare ed economica, il dolore dello scherno e delle percosse.
Leggendo questi versi eterni, scritti oltre 2700 anni fa, pensiamo al lutto di ogni donna che perde il marito o un figlio in guerra, e a come sia spesso amaro il destino degli orfani e a volte degli stessi reduci, quando gli assetti sociali nel frattempo ricostituitisi ne fanno delle presenze scomode, imbarazzanti, sopportate a fatica.
... non sapeva ancora la sposa
d’Ettore: nessun veridico nunzio andando da lei,
le aveva annunziato che fuor delle porte era chiuso lo sposo:
ella nel cuore dell’alta casa tesseva una tela
doppia di porpora, e vi spargeva ricami variati.
E comandava alle ancelle bei riccioli dentro la casa
di mettere al fuoco il tripode grande, ché fosse pronto
un caldo bagno per Ettore, quando tornasse dalla battaglia,
ignara. Ah non sapeva che molto lontano dai bagni
per le mani d’Achille l’aveva domato Atena occhio azzurro.
Ed ecco udì dal bastione singhiozzo e gemito:
le tremaron le membra, a terra le cadde la spola,
e disse in fretta alle schiave bei riccioli:
«Qua, due mi seguano, che veda che cosa è accaduto.
Della suocera veneranda ho udito la voce, e dentro di me
batte il cuore nel petto fino alla gola
, i ginocchi sotto
son rigidi: un male incombe ai figli di Priamo.
Ah! lontano dai miei orecchi sia la parola,
ma temo atrocemente che Achille glorioso il mio Ettore audace
abbia tagliato fuor dalla rocca, e per la piana
l’insegua e metta fine al malaugurato valore
che lo possiede; mai resta indietro tra il folto degli uomini,
ma molto avanti si slancia e non cede per furia a nessuno».
Dicendo così, si precipitò fuor dalla stanza come una pazza,
col cuore in sussulto
: le ancelle le tennero dietro.
Ma quando giunse al bastione in mezzo alla folla,
si fermò sulle mura, guardando febbrile, e lo vide
trascinato davanti alla rocca: i cavalli veloci
lo tiravano senza pietà verso le concave navi dei Danai.
Una notte di tenebra coperse i suoi occhi,
e cadde indietro e quasi spirava la vita
:
le bende splendenti scivolarono via dal capo, lontano,
il diadema, la rete, il cordone intrecciato,
il velo, che le donò l’aurea Afrodite,
nel giorno ch’Ettore elmo lucente la portò via
dalla casa d’Eezìone, offerti doni infiniti.
In folla le furono intorno le cognate e dei cognati le spose,
che fra loro la ressero, angosciata a morire;
quando respirò infine, si risvegliò nel petto la vita,
gridò fra le Troiane con violenti singhiozzi:
«Ettore, oh me disgraziata! con una sorte nascemmo
entrambi, tu a Troia nella casa di Priamo,
io in Tebe sotto il Placo selvoso,
in casa d’Eezìone, che mi nutrì piccina...
Ora tu nelle case dell’Ade, nella terra profonda
te ne vai, lasci me in dolore straziante
,
vedova nella casa: e il bimbo ancora non parla,
che abbiam generato tu e io, miseri. A lui
tu non sarai difesa, Ettore, perché sei morto, né lui a te
.
Se sfuggirà alla guerra lacrimosa dei Danai,
per lui sempre affanno, sempre strazio in futuro
sarà: altri gli prenderanno i campi.
Il giorno che lo fa orfano, priva il bambino d’amici:
davanti a tutti abbassa la testa, son lacrimose le guance;
nel suo bisogno il fanciullo cerca gli amici del padre,
tira uno per il mantello, per la tunica un altro:
fra quanti provan pietà, qualcuno gli offre un istante
la tazza, e gli bagna le labbra, non gli bagna il palato.
Ma chi ha padre e madre lo caccia dal banchetto,
picchiandolo con le mani, con ingiurie insultandolo:
“Via di qua! Non banchetta il tuo padre con noi!”
Torna in pianto il bambino alla vedova madre,
Astianatte, che prima sulle ginocchia del babbo
midollo solo mangiava e molto grasso di becco:
e quando prendeva sonno e smetteva i suoi giochi,
dormiva nel letto, cullato dalla nutrice,
in una morbida culla, col cuore pieno di gioia:
e ora soffrirà, e quanto!, perduto il padre caro...».
Diceva così singhiozzando: piangevano intorno le donne.

Biografia

Con il nome di Omero è indicato un poeta dell’Asia Minore che, intorno al 750 avanti Cristo, riprese antichi temi eroici legati alla tradizione orale degli aedi e li trasformò, con un potente atto creativo, nei due più importanti poemi epici dell’antichità: l’Iliade e l’Odissea. L’assedio e la presa di Troia, che offrirono la materia di base per le due composizioni, risalgono invece al 1300-1200 a.C.
Intorno alla figura storica del poeta e alla composizione dei due poemi nacque sin dall’epoca alessandrina (III secolo a.C.) un’accesa disputa filologica nota come “questione omerica”. A lungo si sostenne che le redazioni giunte a noi fossero molto tarde, risultato di una mera “cucitura” di parti preesistenti e indipendenti fra loro.
Oggi si ritiene invece che i due poemi, pur derivando da un’antichissima tradizione orale, siano profondamente unitari nella loro composizione, ed espressione di un genio poetico fra i più alti nella storia dell’umanità. Si suppone inoltre che Omero sia un poeta realmente esistito e gli si attribuisce con ragionevole certezza la stesura dell’Iliade, mentre l’Odissea viene considerata più recente e composta nella sua forma definitiva nel corso del VII secolo a.C. Nonostante questa distinzione, sotto il nome di “Omero” continuano ad essere pubblicati, letti e amati entrambi i poemi.
Per approfondire la questione omerica e la conoscenza del mondo di Omero, consigliamo vivamente la lettura di Albin Lesky, Storia della letteratura greca, Volume primo, Il Saggiatore, Milano, 2005.
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