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Veglia notturna di un soldato

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19/11/2008

Giuseppe Ungaretti, Veglia
Tratto da: Vita d'un uomo. Tutte le poesie, Mondadori 1969, 19a edizione 2005

Guida alla lettura

Questa poesia è come una violenta tempesta cui segua un raggio di sole. Della tempesta ha il significato e le immagini: le parole suonano aspre come saette, il ritmo spezzato dei versi liberi racconta il dolore, la paura, il ribrezzo, senza darci tregua. Lontana, immutabile, la luna assiste impassibile al dramma di vivere. Ma in questa veglia assurda, il soldato scrive “lettere piene d’amore”, e riconosce – quasi in un sussurro di scusa – il proprio attaccamento assoluto alla vita.
Rimane, sottintesa, una domanda cruciale: il raggio di sole squarcerà davvero le nubi? Avrà ragione della tempesta? Non lo sappiamo. Nella vita di ognuno di noi, le energie del bene e dell’amore possono cambiare l’orizzonte dei nostri giorni, o balenare brevemente e scomparire. Come salvarci dallo smarrimento? Ogni cultura, ogni religione, nell’infinita ricchezza del reale, ci propone una via: ora appellandosi alla forza etica dell’umano che è in noi, ora invitandoci al distacco dal mondo e dalle sue illusioni, ora richiamandoci con energia a una Presenza “altra”, che ci forma e ci conduce.
La raccolta “L’Allegria”, pubblicata nel 1931 e in cui fu originariamente inserita questa lirica, segna un momento chiave nella storia della poesia italiana: in essa Ungaretti rielaborò in modo originalissimo lo stile dei simbolisti (in particolare, i versi sciolti e senza punteggiatura dei Calligrammes di Guillaume Apollinaire) e lo applicò all'esperienza del male e della morte, ottenendo un effetto espressivo quasi visionario, mai prima raggiunto.
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.

Biografia

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 da genitori di Lucca, emigrati per motivi di lavoro. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morirà due anni dopo la sua nascita. La madre è fornaia e con molti sacrifici riesce a far studiare il figlio in una delle più prestigiose scuole di Alessandria. L’amore per la poesia nasce durante gli anni della giovinezza.
Nel 1912 si trasferisce a Parigi: viene a contatto con l’ambiente artistico internazionale e conosce Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Picasso, Giorgio De Chirico, Amedeo Modigliani.
Nel 1914 torna in Italia. Allo scoppio della guerra si arruola volontario e combatte sul Carso: in trincea scopre un’umanità povera e dolente, che ritroveremo nei versi di “Porto sepolto” e “Allegria di naufràgi”, primi documenti di una poesia che, dopo D’Annunzio, riparte dalla parola nuda, essenziale.
Dopo la guerra lavora a Parigi, dapprima come corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, e in seguito come impiegato all’ufficio stampa dell’ambasciata italiana. Nel 1921 si trasferisce a Roma e lavora all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Nel 1925 aderisce al fascismo firmando il “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Negli anni Trenta è inviato speciale per “La gazzetta del popolo”: viaggia in Egitto, Corsica, Olanda e nell’Italia meridionale, raccontando le esperienze vissute in “Il povero nella città” e “Il deserto e dopo”.
Dal 1936 al 1942 insegna Letteratura italiana all’Università di San Paolo del Brasile. In quegli anni, muore di appendicite il figlio Antonietto. La sofferenza immensa del poeta si rifletterà nelle raccolte “Il dolore” e “Un grido e Paesaggi”.
Dopo il rientro in Italia, il poeta viene nominato Accademico d’Italia e, per chiara fama, professore di Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma. Caduto il regime fascista, mantiene un ruolo attivo nell’ambiente letterario e culturale, e conserva l’incarico accademico fino al 1965. Pubblica altre raccolte (come “La terra promessa”) e tiene ovunque conferenze e letture. Muore a Milano il 2 giugno 1970.
Lo stile di Ungaretti è scabro ed essenziale, e segna l’inizio alla corrente poetica che prenderà ben presto il nome di “ermetismo”. La metrica è libera, senza rime e con versi spesso brevissimi, ma di grande efficacia espressiva.
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