EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Esperienza del limite e vicinanza di Dio - Terza parte: Il criterio del Figlio

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
11/08/2010

Prof. Roberto Mancini
Docente di Ermeneutica Filosofica, Università di Macerata

Come si è visto nelle due precedenti parti di questo articolo, l’esperienza del limite si è svolta radicalizzandosi in due direzioni opposte: da una parte la negazione dell’umano fino alla sua cancellazione, dall’altra la persistenza del suo valore infinito e la dignità di dare una risposta di bene. Se consideriamo questa alternativa latente nel concetto di limite, che cosa evoca l’idea secondo cui Dio ci aiuta, ci chiama, ci porta oltre il limite ? Di quale svolta e di quale trascendimento si tratta?
Evidentemente questa novità non può essere intesa nel senso che Dio ci trasmetta una maggiore indistinta potenza o che risolva magicamente ciò che noi non riusciamo a risolvere per la potenza limitata di cui disponiamo. Le testimonianze della fede vissuta come risposta consonante nei confronti del Padre di Gesù dicono che l’aiuto di Dio non si colloca sul piano della potenza, bensì sempre sul piano della liberazione. Dio non ci è vicino nella forma di quello che si direbbe letteralmente un intervento, cioè di un’azione speciale che dall’alto s’inserisce nel corso degli eventi. Ci è vicino e aiuta nella forma della presenza. Dice Aldo Capitini (cfr. Religione aperta, Vicenza, Neri Pozza, 1964) che, in Gesù, Dio si è rivelato come infinito fratello nella compresenza dei viventi.
La memoria dell’esperienza di Gesù di Nazaret mi pare ineludibile per non procedere semplicemente con la fantasia nel tentare di pensare l’impensabile, nello sforzo di mettersi dal punto di vista di Dio. Filosofi come Spinoza o Hegel hanno dato seguito a questo sforzo concentrandosi l’uno sull’idea dell’unica sostanza dell’universo, l’altro sull’unità assoluta e cosmica dello Spirito inteso come ragione assoluta. Per chi, invece di immaginare che cosa si veda dal punto di vista di Dio, segue le tracce dell’esperienza di Gesù di Nazaret nella sua stessa autocomprensione di figlio, si dà un criterio vivente della realtà del Padre (Gv 1, 18). Nella sua storia non constatiamo “interventi” sovrannaturali, ma semplicemente una prossimità costante che non disprezza di abitare nel cuore umano e tra le persone, e porta frutto lì dove valgono la fraternità e la sororità.
Chi cerca Dio in alto e oltre ogni presenza quotidiana non lo trova. Trova solamente il Sacro come fiction religiosa. La testimonianza dell’esperienza della presenza di Dio da parte di Gesù indica piuttosto la modalità di un risveglio grazie a cui prendiamo contatto con Colui che non abbandona nessuno. L’unica vera barriera non è la distanza tra terra e cielo, è il groviglio di disperazione, angoscia, paura, insensibilità che pone le premesse per l’adesione al male. Adesione che non resta senza conseguenza e che non si risolve in un episodio. Nell’adesione al male ci si ritrova presi nei suoi tipici processi globalizzanti, avvolgenti, tendenti a rendere il male stesso necessario, insuperabile, definitivo.
Uno di questi processi è la banalizzazione, cosicché ciò che in verità è male viene accolto e perpetuato come normale. L’altro processo è la costruzione della rispettabilità del male, per cui esso si presenta come il bene, il giusto, il razionale e opera segretamente nel cuore della morale, della religione, della politica, dell’economia, dell’educazione. Una volta immersi entro i sistemi di vita, o meglio di sopravvivenza spersonalizzante determinati da questi processi, una volta accettata la loro concretissima irrealtà come se fosse l’unica vera realtà possibile, non ha senso chiedersi dove sia Dio e come possa aiutarci. Non è Dio a essere lontano, è l’uomo a essersi addormentato, assente e disgregato, perso a se stesso.
Per capire come Dio aiuti l’umanità a superare il limite del male è illuminante ascoltare la testimonianza dei Vangeli, da cui viene anzitutto in primo piano il fatto che, mentre gli uomini in vario modo reagiscono all’incontro con Gesù, intanto la realtà sporge oltre la loro logica e resta irriducibile alle loro idee e alle posizioni che assumono. Voglio dire che la realtà dello svolgersi degli avvenimenti e il suo senso chiedono a chi legge o ascolta il testo una comprensione più grande, che sappia cogliere la falsità delle rappresentazioni di quanti fraintendono o perseguitano Gesù e anche la non-verità di cui è preda chi cede alla disperazione. Il testo chiede di seguire il modo di essere, di parlare e di agire di Gesù correlandolo con il disvelarsi della realtà vera delle cose. Gesù stesso richiama i suoi interlocutori alla realtà, smascherando le affermazioni di quanti sono in malafede e rassicurando coloro che invece gli si rivolgono con autentica apertura. E’ il segno di come, se gli uomini possono distorcere il reale e aderire a una sorta di irrealtà, falsa e nel contempo concretamente distruttrice, d’altra parte la realtà stessa non si piega, non aderisce alle rappresentazioni distorte, continua a confutare la falsità e il delirio di chi coltiva il male.
La realtà parla, fa vedere, attrae. E lo fa, come attestano i Vangeli, attraverso i sogni, attraverso i profeti, attraverso i testimoni, come pure attraverso la nascita di comunità che iniziano a esprimere un amore sconosciuto, insolito, ma capace di cambiare la vita delle persone. E nella realtà è Dio stesso che resiste a ogni tentativo umano di portarlo a corrispondere a interessi, progetti, richieste. Che resista ai tentativi di renderlo funzionale a nostri disegni di potere si capisce. E infatti Gesù, che resiste a tutte le tentazioni di Satana (Mt 4,1-11; Mc 1,12-13; Lc 4,1-13), mostra la stessa fedeltà a se stesso del modo d’essere del Padre. Ma che cosa significa e come si giustifica il resistere di Dio anche a richieste, desideri, preghiere di liberazione che salgono da parte degli oppressi e delle vittime? Nell’arco della storia molti sono stati e sono travolti dall’iniquità pur avendo implorato la giustizia e l’intervento di Dio. Eppure Dio non porta alla vittoria sul male con un intervento diretto. Chi si aspetta questo non può che constatare la sua sconfitta. Quando lo si cerca come oggetto del desiderio e della conoscenza che vuole fissarne l’identità, Dio sfugge. Si avverte qui una ricorrente e quasi inevitabile impazienza umana che vorrebbe poter usare Dio come risposta a ogni questione, senza neppure porsi il problema di lasciar essere Dio per quello che liberamente è. Quello che i Vangeli attestano è che la realtà, la realtà posta da Dio, dalla quale Egli chiama gli esseri umani a superare il limite del male, scava in noi, ci lavora, ci trasforma, ci attrae. Senza forzare però, senza manipolare le persone, ma solo nella misura in cui esse, senza mai avere il controllo di questa interazione, si aprono all’amore del Padre. E’ una passività dove la libertà non viene negata.
L’aiuto di Dio opera non nella forma di un’irruzione dall’alto, bensì nella forma di un’attrazione a portarsi oltre la signoria del male, a spezzare la schiavitù in cui cade chi lo compiace, pur essendo colpiti. Aprirsi, allora, vuol dire cominciare a sentire e a vedere che il male non è necessario, né insuperabile, poiché si apre un’altra via. Aprirsi, di conseguenza, significa fidarsi dell’Altro dal male, di Colui che sentiamo come la fonte del bene, collocarsi interiormente in una zona di realtà che è libera dal male anche se, intanto, esso ci sta colpendo. Questo collocarsi interiormente si attua grazie al fatto che in una persona, ma anche in una comunità, l’attenzione, la fiducia, la speranza, il senso della propria dignità convergono nella corrente magnetica dell’adesione intima al Padre sconosciuto. D’altronde questa trasformazione interiore si spegnerebbe o sarebbe sviata se non si nutrisse di relazioni fraterne, sororali, dove gli altri sono considerati preziosi, importanti, più importanti di me stesso. L’apertura al Padre di Gesù comporta la disponibilità a lasciarsi educare e plasmare dalle esperienze della giustizia intera, quella del Regno di Dio (Mt 5, 20): è la giustizia risanatrice, la quale procede secondo l’amore generoso, paziente, misericordioso, liberatore.
Man mano che una persona, o una comunità, fa qualche piccolo passo sulla strada di questa apertura la disponibilità all’azione discreta di Dio si fa più forte. Così l’essere umano impara che cosa significhi aderire alla realtà, alla realtà secondo Dio, senza più alcuna complicità con l’irrealtà del male. Le due libertà, quella di Dio e quella umana, ora sono in consonanza. La testimonianza di Gesù attesta che l’esperienza di Dio come presenza paterna si schiude quando una o più persone raccolgono se stesse nella loro umanità originale, filiale. Ogni volta che anche solo una creatura umana si raccoglie in questo senso, allora si apre alla presenza di Dio, si lascia amare come figlia dello stesso Padre di Gesù. Perciò inizia a esprimere dal fondo del proprio essere un’energia generativa di risposta anche nelle situazioni dello scacco, della sofferenza esorbitante, del lutto, della persecuzione subita, dell’isolamento. Chiunque si porti sino a questo grado di realtà può incontrare la corrente d’amore di tutte le altre persone che si aprono all’amore di Dio e se ne lasciano attraversare in modo che sia condiviso. Nel momento in cui queste energie si incontrano diviene possibile introdurre semi di vita nelle situazioni di morte, diventano reali la riconciliazione, il perdono, la giustizia, la liberazione dagli effetti del male. Si comprende allora l’esplicita indicazione di Gesù: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8).

Biografia

Roberto Mancini, nato a Macerata nel 1958, è professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università di Macerata, dove è anche Presidente del Corso di Laurea in Filosofia e Vice Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia.
Collabora con le riviste “Servitium”, “Ermeneutica Letteraria” e “Altreconomia”. Dirige la collana “Orizzonte Filosofico” dell’editrice Cittadella di Assisi. E’ membro del Comitato Scientifico della Scuola di Pace della Provincia di Lucca e della Scuola di Pace del Comune di Senigallia.
Oltre a circa 200 articoli e saggi brevi di etica, antropologia filosofica, teoria della verità e filosofia della religione, ha pubblicato i seguenti volumi:
- L’uomo quotidiano, Marietti 1985;
- Linguaggio e etica, Marietti 1988;
- Comunicazione come ecumene, Queriniana 1991;
- L’ascolto come radice: teoria dialogica della verità, Edizioni Scientifiche Italiane 1995;
- Esistenza e gratuità. Antropologia della condivisione, Cittadella 1996;
- Il dono del senso, Cittadella 1999;
- Il silenzio, via verso la vita, Qiqajon 2002;
- Senso e futuro della politica, Cittadella 2002;
- L’uomo e la comunità, Qiqajon 2004;
- Il senso del tempo e il suo mistero, Pazzini 2005;
- L’amore politico: sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Levinas, Cittadella 2005;
- Esistere nascendo: la filosofia maieutica di Maria Zambrano, Edizioni Città Aperta 2007;
- L’umanità promessa. Vivere il cristianesimo nell’età della globalizzazione, Pazzini 2008.
In collaborazione con altri autori ha inoltre scritto “Etiche della mondialità” (Cittadella 2007).
Dal 2008 è membro del Comitato Culturale della Fondazione Alessandra Graziottin.

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter