Guida alla lettura
Il primo messaggio, inatteso e per molti aspetti provocatorio, è che il cristianesimo non è propriamente una religione, ma “la fine delle religioni”, perché in Gesù si azzera l’infinita distanza fra uomo e Dio, e viene meno il ruolo di “ponte” (da cui “pontifex”) dei culti tradizionali. E nel momento in cui quella distanza si annulla, scopriamo nei Vangeli che Dio vuole la vita dell’uomo, non la morte e la sofferenza, e che accettare la sua “volontà” nelle situazioni difficili non significa rassegnarsi supinamente al male, ma combattere e attraversare il male continuando ad amare e accettando di essere amati. Un compito ben diverso, come spesso abbiamo sottolineato in queste pagine, dalla deriva doloristica di una certa tradizione spirituale.
Il secondo spunto è dato dal breve affresco che Schmemann tratteggia dei cristiani delle origini: uomini e donne senza alcun interesse per la “geografia sacra”, per i luoghi in cui era vissuto Gesù, per i pellegrinaggi che tanta parte hanno nella devozione popolare odierna, ma unicamente animati dalla certezza che Cristo risorto era presente in mezzo a loro, era “con loro” nello Spirito. Senza nulla togliere alla fede genuina di coloro che partono alla volta di santuari e luoghi sacri (ma vale la pena ricordare che nel mondo biblico non esiste il “sacro”, categoria pagana, ma solo il “santo” – e il solo santo è Dio) alla ricerca di una parola di speranza, di un’esperienza interiore forte, a volte di una guarigione da mali crudeli, la prassi dei primi cristiani richiama con forza i credenti al fatto che Dio si incontra innanzitutto nel cuore, e che non esistono luoghi in cui la sua azione contro il male sia più probabile o più efficace.
La donna pose una domanda riguardo al culto, e in risposta Gesù cambiò l’intera prospettiva della questione. In nessun punto del Nuovo Testamento, infatti, il cristianesimo è presentato come un culto o una religione. La religione è necessaria là dove c’è un muro di separazione tra Dio e l’uomo. Ma Cristo, che è insieme Dio e uomo, ha abbattuto il muro tra l’uomo e Dio. Egli ha inaugurato una nuova vita, non una nuova religione.
Fu questa libertà della Chiesa primitiva dalla “religione” nel senso usuale, tradizionale di questa parola, che spinse i pagani ad accusare i cristiani di ateismo. I cristiani non avevano alcuna preoccupazione per una geografia sacra, non avevano templi, non avevano un culto che potesse essere riconosciuto come tale dalle generazioni che erano state allevate nelle solennità dei culti misterici. Non c’era alcuno specifico interesse religioso per i luoghi dove Gesù aveva vissuto. Non c’erano pellegrinaggi. La vecchia religione aveva i suoi mille luoghi sacri e i suoi templi: per i cristiani tutto questo era passato e sepolto... Il fatto che Cristo viene ed è presente era molto più significativo dei luoghi dove egli era stato.
La realtà storica di Cristo era naturalmente il fondamento indiscusso della primitiva fede cristiana: è tuttavia essi non tanto lo ricordavano, quanto sapevano che egli era con loro. E in lui era la fine della “religione”, perché egli stesso era la risposta ad ogni religione, ad ogni umana fame di Dio, perché in lui la vita che era stata perduta dall’uomo, e che poteva soltanto essere simboleggiata, significata, ricercata nella religione, era restituita all’uomo.