Guida alla lettura
Punto centrale è che l’autentica preghiera cristiana «non chiede che Dio faccia la volontà dell’uomo, ma porta l’uomo a discernere e a sottomettersi alla volontà di Dio»: questo è davvero un concetto di importanza cruciale, perché segna lo spartiacque tra fede e superstizione, fra il Dio di Gesù Cristo e il dio-idolo che spesso il credente si illude di poter piegare ai propri desideri. Sempre ricordando però, come abbiamo più volte sottolineato in queste pagine e come lo stesso Manicardi ribadisce in altre parti del libro, che è “volontà” di Dio non la malattia in sé, con la sofferenza spesso disumanizzante che essa comporta, ma lo spirito con cui la affrontiamo, continuando a dare e a ricevere amore.
Rimane quindi normativa per ogni cristiano la preghiera pronunciata da Gesù nella solitudine del Getsemani. Di fronte alla prospettiva di quella morte violenta, Gesù prega il Padre di avere salva la vita. Ma quando, nella preghiera, si rende conto che non avrebbe potuto sfuggire alla morte senza rinnegare tutta la sua esistenza spesa per il bene e la giustizia, allora riprende coraggio e accetta liberamente il suo destino. E i complementari racconti di Marco («Non ciò che voglio io…») e Matteo («Non come voglio io…») insegnano come esistano sempre «un modo e un contenuto che rappresentano i limiti al cui interno la preghiera cristiana di domanda deve accettare di avvenire».
Se la preghiera è l’eloquenza della fede, la malattia, che mette in crisi l’unità psicofisica dell’uomo, costituisce anche una prova della fede, dell’immagine di Dio che il malato nutre, e segna l’inizio di un cammino per rifare l’unità spezzata fra la propria vita personale e l’immagine di Dio, tra fede e vita. Che altro è, infatti, la preghiera se non il cammino con cui il credente, a partire dalle prove della propria vita, purifica e converte le proprie immagini di Dio ponendole davanti al Cristo crocifisso, piena e definitiva rivelazione del volto di Dio? (…)
La preghiera esprime una relazione filiale e manifesta la fiducia con cui un figlio si rivolge al Padre: in questa relazione tutto può essere chiesto, anche – ovviamente – la guarigione, non solo la forza di sopportare la prova. Del resto, quando l’uomo prega porta tutto se stesso nella preghiera, anche il desiderio di pienezza di vita, anche le persone con cui vive o ha vissuto, anche la sua storia passata e il suo anelito di futuro. L’Antico e il Nuovo Testamento sono pieni di domande di guarigione rivolte a Dio e a Gesù e la tradizione cristiana ha forgiato quell’immagine del “Cristo medico” cui sono rivolte bellissime preghiere e in base alla quale Ambrogio scrive: «Cristo è tutto, per noi. Se vuoi curare una ferita, egli è il medico; se bruci dalla febbre, egli è la fonte d’acqua; se hai bisogno di aiuto, egli è la forza; se temi la morte, egli è la vita» (Ambrogio, Sulla verginità 16,99).
Al tempo stesso, la relazione di filialità trova per il cristiano un esempio normante nella preghiera del Figlio, Gesù Cristo. La preghiera di Gesù al Getsemani chiede sì che, se possibile, il calice passi da lui, ma subito aggiunge: «Non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu» (Marco 14,36), «Non come voglio io, ma come vuoi tu» (Matteo 26,39). Vi sono un modo e un contenuto che rappresentano i limiti al cui interno la preghiera cristiana di domanda deve sempre accettare di avvenire: modo e contenuto che si sintetizzano nella croce di Cristo. La preghiera cristiana non chiede che Dio faccia la volontà dell’uomo, ma porta l’uomo a discernere e a sottomettersi alla volontà di Dio.
In questo cammino faticoso è certamente consigliabile al malato la preghiera dei salmi: questi, infatti, rappresentano una riserva di linguaggio estremamente ricca per uomini moderni che sono incapaci di “dire” la sofferenza, di “dire” il proprio corpo (il malato che prega nei salmi sempre legge e dice il proprio corpo, mostrando così che pregare è leggere la propria situazione esistenziale davanti a Dio per vivere in obbedienza a Dio), e di dirli “davanti a Dio”. I salmi, in cui spesso l’orante prega a partire da una situazione di sofferenza, sono al tempo stesso una testimonianza e un modello: testimonianza di chi si trova nella malattia o l’ha traversata, modello per chi oggi vive un’analoga esperienza e, mediante l’appropriazione, trova nelle parole del salmo le parole con cui dire la sua situazione.
Certo, normalmente la malattia fa emergere la qualità e la misura di preghiera a cui si era abituati: se non si è mai pregato, sarà difficile inventare la preghiera nei momenti più critici. Ma anche quando non si sa o non si riesce a esprimere verbalmente una preghiera, per mancanza di forze, per impotenza, la fede riconosce che il malato, nella sua stessa debolezza e fragilità, è supplica vivente rivolta al Signore, è preghiera.
Biografia
Membro della redazione della rivista “Parola, Spirito e Vita” (Dehoniane, Bologna), svolge attività di collaborazione a diverse riviste di argomento biblico e spirituale, tiene conferenze e predicazioni.
Dal 2008 è membro del Comitato Culturale della Fondazione Alessandra Graziottin.