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Un'eterna sofferenza che spegne le stelle

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02/05/2018

Tratto da:
Rainer Maria Rilke, Poesie, Einaudi, 1997

Guida alla lettura

In questa delicata lirica, Rainer Maria Rilke riecheggia il motivo poetico, caro anche a Leopardi, del contrasto fra la serenità della natura e il dolore che affligge l’animo del poeta.
E’ bellissima l’immagine delle emozioni che, se lasciate libere di sfogarsi, traboccherebbero nella notte a spegnere le stelle. Ma ancora più straordinario è il quadro della notte nevosa e argentata, in cui ogni cosa dorme profondamente. In due soli versi Rilke richiama alla mente un memorabile frammento del poeta greco Alcmane, vissuto alla fine del VII secolo avanti Cristo: «Dormono le cime dei monti e le valli, e le balze e gli abissi, e quante specie di animali nutre la nera terra, e le fiere montane e la schiatta delle api, e i mostri nelle profondità del violaceo mare; dormono le stirpi degli uccelli dalle lunghe ali».
Rilke dà voce a tante situazioni della vita umana: il baratro della depressione, il deserto della solitudine, la febbre dell’angoscia, ma anche l’inquietudine dell’adolescenza, quando tutto ciò che tocca il cuore assume proporzioni smisurate, in una sorta di ingenua magnanimità che travolge ogni sentire. E poi lo sgomento della vecchiaia, quando i giorni si fanno più brevi e sentiamo il tempo scorrere veloce.
Unico potenziale elemento di conforto: il “tu” silenzioso a cui Rilke si rivolge, e che raccoglie la sua confessione. Un “tu” a cui il poeta può, nonostante tutto, parlare, e di cui tutti abbiamo bisogno, nei momenti di sofferenza come in quelli di gioia, perché tutti abbiamo bisogno di uno specchio del cuore, di un “altro” che ci ascolti e ci accolga. Quando possiamo essere questo, l’uno per l’altro, l’inferno del dolore recede per qualche istante o per sempre, e il cielo stellato può continuare a dormire sereno.
In grembo alla notte nevosa, d’argento,
immensa si stende dormendo, ogni cosa.
Solo una eterna sofferenza è desta
dentro l’anima mia.
E mi domandi perché mai si tace
l’anima mia, senza versarsi in grembo
alla notte che sogna?
Colma di me, traboccherebbe tutta
a spegnere le stelle.

Biografia

I contrasti con il padre nell’adolescenza, i segni lasciati dalla separazione dei genitori e le sofferenze patite prima della morte sono i tormenti esistenziali che hanno segnato la vita di Rainer Maria Rilke, scrittore ceco, di radice e lingua tedesca, ma soprattutto poeta, di spiccata sensibilità lirica, nella quale ha riversato le amarezze dell’esistenza, già dalle sue prime esperienze in versi tra il 1897 e il 1899, quando aveva poco più di vent’anni, in una scrittura poetica di forte “musicalità malinconica”.
Nato a Praga nel 1875, Rilke appartiene alla classe borghese cattolica della capitale boema. Il padre è un funzionario pubblico con alle spalle l’abbandono della carriera militare. Appena compie undici anni – nel classico cortocircuito che si verifica quando i genitori proiettano i propri fallimenti o le aspirazioni sui figli – il ragazzo viene spinto, diciamo pure obbligato, a frequentare l’Accademia delle Armi. Ma a sedici anni il futuro poeta abbandona la scuola militare. Si trasferisce a Linz, in Austria, dove incontra la lingua tedesca che segnerà per sempre la sua vita di scrittore. Poi torna a Praga dove prepara la Maturità liceale e s’iscrive all’Università. Ed è proprio nella splendida cornice di Praga che scrive le prime liriche, incoraggiato dalla madre. Poi si trasferisce in Germania, a Monaco e a Berlino, dove prosegue e conclude gli studi di Letteratura e di Storia dell’arte.
L’esperienza universitaria tedesca, e il fermento culturale di quell’epoca, la fine dell’Ottocento e l’inizio del Ventesimo secolo, irrobustiscono la sua vocazione poetica. Fa alcuni incontri interessanti che inevitabilmente plasmano la sua formazione: conosce la scrittrice Lou Andreas-Salomè, donna amata dal filosofo Nietzsche, e allo stesso tempo amica del fondatore della psicanalisi Sigmund Freud. E questi incontri ne preparano altri, straordinari, che diventano un humus culturale e letterario potentissimo nell’evoluzione poetica del giovane Rilke: con la Lou Andreas-Salomè, tra il 1899 e il 1900 fa due viaggi in Russia, dove è ricevuto dal vecchio Lev Tolstoj, che a quell’epoca ha già scritto Guerra e Pace e Anna Karenina. Sempre all’alba del Novecento entra a far parte di una comunità di artisti vicino a Brema, In Germania, dove conosce la scultrice Clara Westhoff, allieva del padre della scultura moderna, il francese Auguste Rodin. Rilke sposa la Westhoff, ma il matrimonio fallisce prestissimo.
L’opportunità di trovarsi in piena formazione umana e letteraria all’incrocio tra due secoli, periodo segnato da forti inquietudini soprattutto artistiche, ma anche politiche e sociali, lo arricchisce e completa. Non gli risparmia però l’esperienza di un progressivo “mal di vivere” e una crisi psicologica che viene acuita da un altro incontro fortunato ma allo stesso tempo tormentato, quello con il filosofo danese Søren Kierkegaard. Poi tra il 1901 e il 1913, prima dello scoppio della Grande Guerra, viaggia molto in Europa e in Africa. In Italia visita Roma e Trieste, e nella città giuliana è ospite in particolare, presso il castello di Duino, della principessa Von Thurn und Taxis, erede della nobile famiglia tedesca legata al Sacro Romano Impero.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, è di nuovo in Germania, a Monaco. Il conflitto del 1915-1918 e le macerie, politiche e umane, che ne derivano, mandano in frantumi il suo “mondo”, dall’Austria alla Russia, tutti i luoghi dove il poeta aveva visto crescere la propria sensibilità artistica. Alla fine della guerra Rilke si stabilisce prima a Parigi per un breve soggiorno e poi nel castello alpino di Muzot, in Svizzera, nel Vallese, ospite di un nuovo munifico mecenate. Gli ultimi anni di vita sono segnati dalla malattia: rapido declino fisico e morte per leucemia, ad appena 51 anni, in un sanatorio di Valmont, presso Montreux, dopo acute sofferenze.
Questa esistenza, così ricca di stimoli ma tormentata, ha permesso a Rainer Maria Rilke di diventare un punto di riferimento assoluto per la poesia europea della prima metà del XX secolo. Il culmine della sua esperienza e maturità poetica è racchiusa nelle Elegie duinesi, iniziate nel 1911 e completate in oltre 10 anni, e nei Sonetti a Orfeo, scritti nel ritiro di Muzot nel 1923. E poi la raccolta postuma delle Poesie estreme (Späte Gedichte), caratterizzate da una limpida serenità e consapevolezza che constatiamo in questi versi:
"Sulla via assolata, dentro al vecchio / tronco cavo che da lungo tempo / serve a bere e piano in sé rinnova / uno specchio d’acqua, la mia sete / calmo: l’acqua limpida e il suo / flusso prendo in me nel cavo della mano. / Bere è troppo, è un atto che tradisce, / mentre questo gesto in cui m’indugio / porta un’acqua chiara alla coscienza. / E così potrebbe riposarmi / se tu fossi qui, posare piano / la mia mano sulla fresca curva / della spalla o al limite del seno".
(Biografia a cura di Pino Pignatta)
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