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Prima regola contro l'endometriosi: cercare il medico giusto

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12/02/2010

Le vostre lettere alla nostra redazione

Buongiorno a tutti. Mi chiamo Cristina, e desidero offrire un po’ di speranza a tutte le donne che soffrono di endometriosi. La mia storia è lunga e travagliata. Sono stata operata per la prima volta nel 2001, dopo una colica pelvica che aveva rivelato un’endometriosi silente al IV stadio. L’intervento in laparoscopia è durato sei ore, per la gravità delle aderenze che avevano sovvertito l’anatomia delle pelvi. Il recupero è stato abbastanza doloroso. Ma poco dopo tempo sono ricomparse cisti ovariche per le quali ho seguito una terapia ormonale a base di gestodene, senza interruzione, per diversi mesi.
Malgrado i frequenti controlli, nel gennaio del 2007 mi sono dovuta rioperare per una cisti di ben 11 centimetri, situata nell’ovaio, anche se del tutto indolore. L’intervento eseguito in laparoscopia è durato cinque ore. E, nonostante questo, la cisti, a giugno 2007, si era già riformata!
Il chirurgo a quel punto mi ha suggerito di effettuare una terapia a base di GnRH-analoghi per una presenza diffusa di focolai endometriosici, che a suo dire potevano degenerare in un cancro al retto (questa la sua versione, malgrado la citologia del tessuto asportato parlasse di “cisti sierosa semplice”). Ma la mia ginecologa di fiducia mi ha spiegato che queste molecole mettono sì a riposo l’ovaio, bloccando reversibilmente le mestruazioni e quindi il dolore, ma hanno anche pesanti effetti collaterali del tutto simili ai sintomi menopausali. Quindi avrei potuto fare questo tipo di terapia solo per un tempo limitato. Così, dopo ben due miei “attacchi” di dubbiosità, mi ha inviato dal primario di un’altra città.
Nel dicembre 2007, dunque a soli 8 mesi dal secondo intervento, il nuovo chirurgo ha effettuato – con una laparatomia di due ore – una cosiddetta “bonifica delle pelvi”, con asportazione della massa e l’esame istologico di ben 14 reperti (il marker CA 19-9 era salito a 430, rispetto a un valore massimo di 37, mentre il CA-125 era solo leggermente alterato). L’esame citologico rivelò una neoplasia mucinosa dell’ovaio, fortunatamente benigna. Ho effettuato una cura ormonale di circa 8 mesi.
Attualmente la situazione è sotto controllo: la mia ginecologa mi fa fare controlli semestrali, e da poco mi ha prescritto un integratore a base di palmitoil-etanolamide, che – mi ha spiegato – è un “modulatore biologico” utile nel ridurre l’iperattivazione dei mastociti e quindi l’infiammazione dei tessuti. E così sto decisamente meglio, anche se il risultato di questo lungo calvario è che comunque io e mio marito non abbiamo potuto avere figli.
Il mio suggerimento alle donne che come me soffrono di endometriosi è quello di essere estremamente selettive verso il medico a cui si rivolgono. La maggior parte è seria, preparata e desiderosa di trovare una cura. Ma se nutrite dubbi verso quello che vi segue, parlate liberamente delle vostre ansie. E se non siete soddisfatte delle risposte che vi dà o del suo atteggiamento, cambiate medico, o chiedete consiglio e nominativi alle associazioni che si occupano di questa patologia (come l’AIE, Associazione Italiana Endometriosi). Vi faccio solo un esempio: un bel giorno, il chirurgo che mi aveva operato nel gennaio 2007 disse che ero “mezza matta” e mi consigliò di andare a parlare con lo psicologo. Non ebbi esitazioni: cambiai subito struttura. E quando gli inoltrai la cartella clinica dell’ulteriore intervento eseguito a dicembre, lui si fece negare al telefono. Avevo avuto ragione ad andarmene, se quella era tutta la competenza e l’onestà di cui era capace! La mia ginecologa di fiducia, invece, è sempre stata, ed è tuttora, una donna in gambissima: preparata e molto umana.
Dunque, per concludere, non abbiate paura! Buona fortuna a tutte. E un grazie speciale anche ai membri dell’AIE e alla Fondazione Alessandra Graziottin, che attraverso questo sito mi ha permesso di raccontare la mia storia. Un bacio.
Cristina Z.
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