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Come ho attraversato il territorio della sofferenza

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20/06/2008

Le vostre lettere alla nostra redazione

Ho deciso di rivolgermi a un ginecologo quando ho iniziato, o meglio, quando ho provato ad avere rapporti sessuali, perché non riuscivo ad avere un rapporto completo: al momento della penetrazione sentivo un dolore fortissimo.
Il primo ginecologo che ho consultato mi ha detto che non c’era niente che non andasse dal punto di vista fisico: e mi suggerì di consultare uno psicoterapeuta, perché probabilmente il dolore che percepivo era “solo a livello mentale” e con qualche seduta avrei risolto i miei problemi. Ma io sapevo già che non era così... io avvertivo un dolore fisico, anche quando non provavo ad avere alcun rapporto sessuale.
E’ stato un problema molto difficile da affrontare: invece di vivere con gioia la scoperta dell’intimità, come tutte le ragazze della mia età, sentivo solo tanto male e un fortissimo imbarazzo. Non riuscivo a parlarne con nessuno... E cercavo di evitare qualsiasi contatto fisico con il mio fidanzato, anche perché – con il male che avevo – non provavo più alcun desiderio.
La cosa più grave è che questo problema ha coinvolto non solo una parte del mio corpo, ma tutta la mia persona e soprattutto la mia vita. Ero innamoratissima del mio fidanzato, ma fra noi mancava un aspetto troppo importante: non c’era la complicità data dall’amore fisico, che io cercavo di evitare in tutti i modi.
In seguito ho consultato un’altra ginecologa, che mi ha diagnosticato una vestibolite vulvare, suggerendomi una terapia di bio-feedback da effettuare con un’ostetrica. Ho seguito questa cura per quasi due anni ma, nonostante stessi un po’ meglio, non riuscivo ancora ad avere rapporti: qualsiasi tipo di contatto continuava ad essere una fonte di dolore insopportabile.
Poi ho trovato un’altra ginecologa ancora, che finalmente mi ha guarito dopo pochi mesi. Mi è stata davvero d’aiuto. «Scrivere ricette è facile, ma intendersi con la gente è difficile», scriveva Kafka in un suo racconto: e questa giovane dottoressa – “la mia dottoressina”, la chiamo io – ne è stata davvero capace, riuscendo a trasmettermi la forza e la determinazione necessarie ad affrontare il mio problema.
Da quando sono guarita sono cambiata tantissimo: ho scoperto il piacere della fisicità, della femminilità... E ovviamente la storia con il mio fidanzato adesso è tutta un’altra cosa: abbiamo una complicità molto più forte, anche per il fatto di aver condiviso la mia malattia.
Umberto Galimberti, un filosofo che a me piace molto, una volta ha scritto che non siamo nulla, se ci poniamo al di là del corpo in cui abbiamo la nostra esistenza e attraverso il quale ci esprimiamo e ci poniamo in relazione con il mondo che ci circonda.
Io credo che abbia proprio ragione: nel corpo è scritta tutta la storia delle nostre emozioni e della nostra vita. E’ quindi fondamentale cercare di “essere” pienamente con il nostro corpo e di goderne la vita il più possibile. E’ questo ciò che ho imparato durante i tre anni passati a combattere con un problema così difficile da affrontare: un disagio che mi sembrava essere così individuale e individualizzante, tanto da non riuscirne a parlare con nessuno.
Durante quegli anni il mio corpo era come bloccato, e non era soltanto una parte del mio corpo a soffrire, erano tutti gli aspetti della mia esistenza ad essere contratti. Da quando sono guarita e sono riuscita ad avere rapporti sessuali ho ritrovato pienamente me stessa: solo ora mi rendo conto di quanto la mia vita, la mia capacità di espressione fosse limitata a causa di quel problema.
Adesso ho riacquistato quella sicurezza in me stessa che avevo perso, probabilmente perché sentivo che mancava qualcosa alla mia persona, e che non ero in grado di dare completamente me stessa al ragazzo che amavo. Ora ho una maggior consapevolezza del mio corpo, e soprattutto ho riscoperto la bellezza di essere donna, di vivere la femminilità completamente, la piacevolezza dell’intimità, della condivisione fisica dell’amore con il mio fidanzato.
Se posso permettermi di dare un suggerimento a chi si trova alle prese con la vestibolite vulvare, vorrei dire di andare avanti con quanta più forza possibile, e di farlo soprattutto per se stesse perché, come dicevano gli antichi Greci, senza amore di sé non si ha la forza di esistere e di resistere alle avversità dell’esistenza.
Una volta ho letto questo pensiero: «Alla sofferenza non si sfugge, anche se la subiamo da innocenti. Si tratta invece di attraversare il suo territorio. Di verificare le trasformazioni che questo dolore ci impone: nella carne, nei sentimenti, nelle emozioni, nei sogni, nei gesti... Insomma nel nostro modo di essere».
E’ esattamente quello che è capitato a me, e ora – anche se mi è costato molta sofferenza – sono felice di essere cambiata, in meglio, da tutti i punti di vista.

Viola G.

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