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Dall'attesa impaurita alla guarigione: ecco come ho vinto il dolore

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18/07/2008

Le vostre lettere alla nostra redazione

E’ iniziato tutto circa quattro anni fa con una cistite, alla quale ne seguì una seconda, poi una terza, una quarta e così via, per quasi un anno intero. Ogni tre-quattro settimane avevo una cistite, di solito in coincidenza con un rapporto poco prima delle mestruazioni. Mi rivolsi al mio medico di base che, per le prime due o tre volte, mi prescrisse un farmaco specifico per il disturbo. Dopo la quarta volta, invece, cominciò a darmi antibiotici, fermenti lattici, vitamine e integratori vari... Ma la cistite tornava e con lei, a forza di antibiotici, comparve anche la candida.
Nel frattempo, durante i rapporti, quello che inizialmente era solo un po’ di bruciore era diventato un vero e proprio dolore, e più passava il tempo più la cosa peggiorava. Ormai mi ero costruita una “gabbia”, fatta di frustrazione e anche di sensi di colpa verso mio marito, che evitavo ogni volta che tentava un qualsiasi approccio: ormai non riuscivo a reggere neppure il suo sguardo. Non riuscivo più a rilassarmi: anche nelle situazioni più carine e promettenti, ero talmente irrigidita che pensavo soltanto al dolore, quasi lo “aspettavo”.
Andai dal mio ginecologo: mi spiegò che, a 38 anni, può iniziare a cambiare qualcosa a livello ormonale, per cui – durante il rapporto – l’azione meccanica di sfregamento può provocare delle piccole abrasioni e, di conseguenza, dolore e infezioni. Mi prescrisse un dosaggio ormonale, in seguito al quale mi disse che non c’era niente di particolare e che tutto poteva risolversi con la pillola (che però io non ho mai tollerato a livello fisico) o prendendo del progesterone.
Non volevo prendere ormoni, mi sembrava di essere in menopausa precoce. La mia vita era un inferno, ma allo stesso tempo mi sentivo in colpa perché non avevo una vera malattia... Intanto non avevo più rapporti con mio marito ed evitavo persino di parlargliene perché tanto, secondo lui, dovevo solo rilassarmi e “prendere le cose in modo più superficiale”.
Dopo circa due anni passati in queste condizioni, un giorno alla radio ho sentito un medico che parlava di “vestibolite vulvare”. Non l’avevo mai sentita nominare, però i sintomi e lo stato emotivo che quel medico descriveva sembravano proprio i miei. Così ho fissato un appuntamento con lui.
La prima visita mi ha molto colpita. Questo nuovo medico ha guardato gli esami che mi aveva prescritto al momento dell’appuntamento: ecografia, pap test, moc, dosaggio ormonale, ed esami del sangue di ogni tipo. Dopo aver appurato che a livello fisico era tutto a posto, mi ha visitato accuratamente riscontrando la vestibolite e una forte infiammazione. E’ stato quasi un monologo, ha parlato sempre lui, anche di me: mi ha prescritto una serie di farmaci per allentare la tensione muscolare e psicologica che aveva percepito in me sin dal primo istante, mi ha mostrato una sorta di massaggio-ginnastica vaginale per rilassare il muscolo anche in modo meccanico, mi ha parlato del biofeedback.
Quando sono uscita mi sembrava impossibile che una persona mai vista prima potesse sapere tante cose su di me ed intuire – dalle poche parole che avevo dette, dalla mia postura e dagli atteggiamenti del mio corpo (dice che schiaccio la lingua sul palato ed è vero!) – la tensione muscolare che provavo e che, secondo lui, era la causa di tutto.
Ci ho pensato su una settimana perché sono di solito restia a prendere farmaci, perché la ginnastica vaginale mi sembrava un po’ troppo originale, e anche perché in un quarto d’ora aveva detto troppe cose di me che io avevo sempre pensato ma mai avuto il coraggio di esprimere. Poi ho deciso di dargli fiducia e ho cominciato a seguire i suoi consigli sullo stile di vita (alimentazione, abbigliamento, modalità dei rapporti fisici...), ad assumere i farmaci e a provare il massaggio.
Dopo tre mesi avevo già cambiato atteggiamento mentale: non “aspettavo” più il dolore, ma cercavo di risolverlo. Nel primo anno ho ancora avuto due cistiti ma ora, dopo quasi due anni, sto tornando piano piano a un ritmo di vita normale. E finalmente posso dire che non si deve provare vergogna a chiedere aiuto, né sensi di colpa, perché questa malattia è reale, esiste e – anche se non mette in pericolo la vita – non permette di vivere in modo appagante e in armonia con il proprio compagno e la propria famiglia. Però si può risolvere, anche se ci vuole del tempo... Non è facile, all’inizio, prendere consapevolezza del proprio corpo e del perché reagisce in un certo modo a circostanze che creano stress emotivi e psicologici. Ci vuole tanta pazienza, perché ogni piccola cosa (anche quella apparentemente più stupida, come non mettere pantaloni stretti) può essere importante. Ma alla fine guarire è possibile, come è successo a me: ed è questo messaggio di speranza che voglio lanciare a tutte le donne che soffrono del medesimo problema.
Giulia P.

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