M.R., medico
La sua critica alle connivenze fra le Chiese e i poteri politici contiene senz’altro una parte di verità. E’ vero, per esempio, che le diverse Chiese Ortodosse, caratterizzate da uno spiccato nazionalismo, hanno talvolta favorito le tensioni anziché combatterle in nome del Vangelo. E’ vero che a volte, anche in tempi recenti, la Chiesa Cattolica si è compromessa con regimi autoritari espressi dalle classi dominanti. Ed è purtroppo vero che parte della Chiesa Evangelica tedesca appoggiò il nazionalsocialismo.
Ma è altrettanto vero che, in ogni tempo, gli uomini più coerenti e coraggiosi di queste Chiese hanno saputo andare controcorrente anche rispetto agli orientamenti delle gerarchie, pagando di persona la loro critica radicale alla violenza. Due esempi soltanto, fra quelli più noti anche nel nostro Paese: Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso durante la Messa per l’opposizione al regime militare appoggiato dalle oligarchie latifondiste; e Dietrich Bonhoeffer, figura tra le più rappresentative della Chiesa Confessante – la Bekennende Kirche, opposta alla Chiesa Evangelica ufficiale (Deutschen Christen) compromessa con il regime – imprigionato nell’aprile del 1943 e impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945.
Di converso, l’opposizione degli rivoluzionari russi al massacro della Prima guerra mondiale non può farci dimenticare le stragi che a loro volta, raggiunto il potere, inflissero alla Chiesa Ortodossa, e a milioni di uomini e donne innocenti, nei lunghi anni della dittatura sovietica. Per restare al periodo antecedente il secondo conflitto mondiale: prima del 1917, la comunità ortodossa russa contava circa 100.000 monaci e oltre 110.000 preti diocesani: di essi oltre 130.000 vennero fucilati tra il 1917 e il 1941; subirono la stessa sorte 250 vescovi, dei 300 esistenti nel 1917, mentre i pochi sopravvissuti furono sottoposti ad arresti e detenzioni nelle carceri e nei campi di concentramento (fonte: Russia Cristiana).
Di fronte a tante crudeltà inflitte ai deboli di entrambe le parti, concludere che “chi è causa del suo mal, pianga se stesso” è un’affermazione ideologicamente unilaterale e, mi sembra, carente di sensibilità umana nei confronti della spaventosa sofferenza che le persone più semplici e indifese hanno patito, indipendentemente dalla fede o dall’appartenenza rivoluzionaria. Ciò che questi fatti devono insegnare, semmai, è che la dimensione del male che ci abita è davvero insondabile, e può potenzialmente pervertire anche le istanze umane più giuste e più profonde.
Vengo ora, brevemente, all’articolo che ha stimolato le sue riflessioni. Niente affatto risentito, né emotivamente partigiano, ma pacatissimo, e semmai venato di una nota di meditata amarezza, voleva trasmettere il senso di due aspetti per me essenziali:
a) il dolore profondo, devastante, assoluto di quella anziana donna a veder distrutte non solo le icone, ma il centro di fede e di consolazione del suo mondo – al di là delle collusioni dei vertici della Chiesa Ortodossa col potere zarista di allora;
b) l’importanza di poter vedere – e mostrare ai più giovani – filmati storici, per trasmettere nel modo più diretto e vero possibile la complessità drammatica di molti eventi che hanno segnato il secolo scorso.
Credo che questi documenti siano straordinari per impatto comunicativo, densità emotiva e profondità simbolica: per me sono indimenticabili. E penso sarebbero utili e preziosi strumenti di riflessione anche per molti studenti, soprattutto perché insegnano che, di fronte al dolore innocente, diventa difficile esprimere giudizi storici netti e mantenere una lettura dei fatti in cui il bene sta tutto da una parte, e il male tutto dall’altra.
Questo era il senso dell’articolo, al di là delle oggettive e gravi complicità che spesso i sistemi religiosi hanno avuto, e hanno tuttora, con i poteri dominanti.
Quanto alla sua ultima tesi, che la spiritualità dei popoli sia una sorta di imprinting infantile finalizzato all’asservimento, credo che operi – ancora una volta – una semplificazione a senso unico e non renda giustizia al peso delle istanze spirituali che, nel corso dei millenni, hanno spinto tante persone intelligenti e di animo generoso ad “essere chiesa”: ma questo tema richiederebbe ben altra ampiezza di sviluppo. La rimando comunque ai numerosi articoli presenti su questo sito nella sezione “Il dolore e la spiritualità”, in cui si cerca di testimoniare – con pieno rispetto per chi operi scelte laiche o agnostiche – che, se le religioni talvolta soggiogano le persone, la fede vera può aiutarle a fare della vita un cammino ricco di umanità e comprensione.
Non ultimo, da medico laico quale sono, mi sento crescentemente interessata a studiare quanto la fede possa determinare modificazioni neurochimiche (aumento dell’attività nell’area dopaminergica, serotoninergica e opiatergica per esempio) che possono tradursi in una maggiore capacità di affrontare le avversità fisiche, come le malattie, e psichiche dell’esistenza. Il dolore che ho visto negli occhi e nel comportamento di quell’anziana donna, di fronte alla devastazione della chiesa e al rogo delle icone, mi ha fatto guardare con molto più rispetto e attenzione alla profondità delle risonanze, anche biologiche, oltre che psichiche, che la fede può evocare in ognuno.
E’ questo sentimento di rispetto e di commozione, di fronte a un dolore devastante e irreparabile, che ho desiderato condividere: da laica che cerca di non avere pre-giudizi.
Cordialmente,
Alessandra Graziottin