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Le tre porte della parola

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13/06/2018

Tratto da:
Enzo Bianchi, Le tre porte della parola, Jesus, maggio 2018

Guida alla lettura

In questa brillante riflessione Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, medita sull’importanza della parola nella comunicazione umana e nell’umanizzazione delle relazioni, e sugli effetti devastanti della menzogna sui rapporti di fiducia e sulla possibilità di intese interpersonali autentiche e sincere.
Ogni parola che esce dalla nostra bocca, recita un detto arabo, dovrebbe essere prima di tutto vera, poi necessaria, e infine buona, gentile. Tre condizioni necessarie organizzate in una rigida e intuitiva gerarchia. Una regola aurea del parlare su cui anche la professoressa Graziottin scrisse alcuni anni fa un originale articolo, a cui rimandiamo nei “link consigliati” di questa pagina.
Tre gli snodi essenziali della riflessione di Bianchi. Primo: l’uso sapiente della parola umanizza la persona e le sue relazioni, facendola capace di compiere il bene e di uscire dalla sfera istintuale che la porterebbe non di rado ad agire senza gli altri e contro gli altri.
Secondo: parlare non è facile, né immediato. Occorrono una «gestazione lunga», una «gravidanza di silenzio e disciplina» e un assiduo ascolto della parola degli altri prima di poter articolare un discorso che sia sensato e sappia incidere con efficacia sullo sviluppo dei fatti umani. Quanta distanza dal chiacchiericcio ininterrotto che contraddistingue la maggior parte delle nostre frequentazioni, il flusso dei dati su internet, o certe trasmissioni televisive.
Infine, la grande nemica della parola buona ed efficace è la menzogna, vista sotto due punti di vista: la menzogna finalizzata a deformare la realtà di se stessi, presentando chi parla sotto una luce falsa e fuorviante, e la menzogna che prende di mira l’altro, lo oltraggia e lo diffama, sino a consumare un vero e proprio omicidio spirituale e sociale.
Il cristiano è chiamato a perdonare le offese, ma la menzogna è la ferita che più di tutte mette in pericolo le relazioni, perché mina in profondità la fiducia. Ma anche in questo caso è sempre possibile, almeno per il credente, realizzare ciò che sembra impossibile, attraverso l’emulazione della carità che fu di Cristo. La bella metafora di Bianchi fa riferimento alla pratica giapponese del “kintsugi”, una tecnica che consente di riparare gli oggetti di ceramica frantumati saldandone i pezzi con polvere d’oro. Il fascino di questa pratica, oltre che nella genialità dell’accorgimento in sé, sta nel fatto che ogni ceramica riparata presenta un intreccio di linee dorate unico e irripetibile. Così ogni relazione spezzata e riparata dall’amore assume un aspetto inimitabile e prezioso che, nel momento stesso in cui ci ricorda la ferita inferta e subita, ci dona un bagliore di bellezza e di speranza per l’avvenire.
Un proverbio arabo recita: «Ogni parola, prima di essere pronunciata, dovrebbe passare attraverso tre porte. Sulla prima c’è scritto: È vera? Sulla seconda c’è la domanda: È necessaria? Sulla terza porta è scolpita la scritta: È buona?». C’è molta sapienza in questo detto. Dalla parola, infatti, dipende la comunicazione e da questa la possibilità della comunione e quindi della qualità della vita umana. Quanto meglio uno comunica, tanto più si umanizza. Nella parola c’è la possibilità più decisiva per uscire da se stessi e raggiungere l’altro, gli altri. Per questo il nostro Dio è un Dio che parla, e tutta la Bibbia è una testimonianza di questa Parola rivolta all’umanità in tempi e luoghi diversi fino a farsi “carne” in Gesù, uomo che ha parlato e vissuto con noi.
Eppure la parola non è facile, né garantita, né spontanea. Occorre generarla ricevendo un seme di parola da altri, permettendo in noi una gestazione lunga, in cui la parola prenda forma e cresca, e poi occorre partorirla nella fatica, facendola venire al mondo. Non c’è parola senza una gravidanza di silenzio e disciplina che la preceda. Non c’è parola nostra che non nasca dalla parola di altri. Lungo mestiere quello di imparare a parlare… Nelle relazioni che si affacciano alla vita appare l’impulso a parlare, a esprimersi, insieme all’impulso a vivere: impulso animale, così prepotente che ci chiede di vivere anche senza gli altri ed eventualmente contro gli altri.
E in questo mortifero impulso a vivere contro gli altri la parola diventa menzogna: nella bibbia il demonio è chiamato «omicida fin da principio … menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), perché la menzogna non riconosce l’altro e apre la strada all’omicidio che abolisce l’altro. Lo dobbiamo confessare: noi sentiamo il desiderio di non riconoscere gli altri, sentiamo un impulso alla violenza che nega l’altro, e quando parliamo siamo tentati di essere menzogneri, di non fermarci al «Sì, sì, No, no» (Mt 5,37). Con la parola menzognera cerchiamo di fare credere all’altro ciò che noi non crediamo, di fuorviare o di manipolare chi ci sta di fronte, di dire solo ciò che piace al nostro interlocutore, di tacere ciò che pensiamo: ecco la menzogna, che uccide la fiducia e indebolisce ogni rapporto.
Non è un caso che in ebraico verità-sincerità, “emet”, significhi anche fedeltà. Nella Scrittura la fedeltà è la verità sincera, e la verità sincera è sempre fedeltà! Essere sinceri è firmare ogni giorno un patto d’alleanza con l’altro, con gli altri: io sono io, davanti a te, che sei te stesso!
Ciascuno di noi purtroppo conosce bene le conseguenze disastrose della menzogna, soprattutto nella famiglia e nella comunità, dove l’assiduità dei rapporti, delle parole scambiate, fornisce molte occasioni alla menzogna e ne amplifica i danni. I monaci sanno che nella vita comune la menzogna inizia dalla chiacchiera inutile, dal parlare per far tacere la propria solitudine, oppure dal parlare per apparire all’altro con una maschera, non con il proprio e semplice “essere”. Tale atteggiamento scivola poi nella mormorazione, il detestabile vizio tipico dei pusillanimi. Dalla mormorazione si passa poi facilmente alla calunnia, alla maggiorazione dei fatti, a un’interpretazione sviante o manipolatoria. A questo punto l’omicidio è già avvenuto: la parola menzognera, infatti, uccide…
L’antidoto è il faticoso esercizio e la pratica quotidiana della parresía, il dire il vero con semplicità e retta intenzione. Si commetteranno ugualmente errori nella comunicazione, ma almeno non si sarà consumata la menzogna, e la relazione potrà ricominciare di nuovo. Se qualcuno va in collera, l’altro al momento si sente ferito, ma se «il sole non tramonta sull’ira» (cf. Ef 4,26) la relazione può ricominciare, perché comunque la fiducia non è messa in dubbio. Se invece accade la menzogna, è difficile ricominciare: un vaso rotto è sempre rotto, in frantumi, anche quando si attaccano i cocci! Anche allora però non tutto è perduto: resta la nobile e difficile arte del kintsugi. Come l’abile ceramista «ripara con l’oro» le fratture di un oggetto spezzato, così al discepolo di Gesù è chiesto di imparare a risanare con l’oro della carità le cicatrici provocate dalla menzogna.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi. La comunità oggi conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Parole chiave di questo articolo
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