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Morte, dalla paura alla speranza

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19/11/2014

Tratto da:
Enzo Bianchi, A ciascuno la sua morte, Jesus, novembre 2014

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questa breve e intensa riflessione, Enzo Bianchi, priore di Bose, parla con coraggio della morte e della propria morte: un viaggio da cui nessuno è esente e che non possiamo prevedere nei tempi e nei modi. Le parole di Bianchi, però, non sono tristi, o inquiete: al contrario, contengono una straordinaria carica di forza e serenità, e forse ci aiutano a guardare con meno apprensione all’evento che chiude la nostra vita e che tutti, in misura diversa, temiamo.
Quattro considerazioni di Bianchi ci paiono particolarmente eloquenti: vediamole in breve.
In primo luogo, negare il nodo esistenziale della morte, non pensarci, non solo è impossibile ma non è neppure corretto: «E’ umano riflettere, prepararsi, perché questo viaggio senza ritorno raggiungerà con il suo senso e il suo significato il nostro cuore». In secondo luogo, è naturale avere paura: il timore della morte non è un segno di debolezza o di viltà, ma l’espressione più autentica del nostro sgomento di fronte all’idea del nulla, di un “dopo” senza di noi. Terzo, se qualcosa di bello e buono ci attende dopo la morte, sarà una vita in cui ritroveremo tutte le creature che abbiamo amato: «Sarà così – afferma Bianchi con forza – perché io non vorrei risuscitare se non trovassi quelli che ho amato e incontrato nella mia vita! Se chi ho amato sarà fuori, anch’io vorrò restare fuori!». Infine, tutto l’amore che avremo vissuto qui, su questa terra, anche in modo imperfetto, «non andrà perso e sarà recuperato, trasfigurato»: un messaggio di grande speranza e consolazione per tutti noi, che spesso con le nostre azioni contraddiciamo quell’amore in cui affermiamo di credere.
E per chi non crede all’esistenza di una realtà che ci supera? Anche per loro le parole di Bianchi possono contenere un germe di speranza. Perché anche per loro la buona notizia è che l’amore è più forte della morte: il ricordo buono che avremo lasciato nelle persone che amiamo sarà insieme radice e frutto di una permanenza viva nei loro cuori.
O Signore, concedi a ciascuno la sua morte:
frutto di quella vita
in cui trovò amore, senso e pena.

Sono versi di Rainer Maria Rilke, nel suo Libro d’ore (III, Il libro della povertà e della morte), in cui il poeta chiede che la morte di ogni persona sia una morte coerente, che le appartenga, perché nata da lei come un frutto. E’ una preghiera molto bella, che ci fa vibrare il cuore; ma proprio in quanto preghiera è molto precaria (entrambe le parole vengono dal latino “prex”). Chissà? Chi può sapere come la morte ci verrà incontro? Che occhi avrà? Avrà i nostri occhi (come chiedeva Cesare Pavese)?
Certamente la morte è davanti a noi, impossibile da rimuovere quando si è nella vecchiaia, e ritorna alla mente in modo particolare in questi giorni di novembre, nei quali non a caso ricordiamo i nostri morti, visitiamo il luogo dove sono sepolte le loro spoglie, compiamo gesti di affetto, portando fiori o accendendo lumi, quasi per consolare i nostri poveri morti. Anche la stagione sembra accompagnare questi nostri pensieri: le foglie cadono, gli alberi si spogliano fino a simulare la morte, la luce si fa tenue, breve e sovente nebbiosa, opaca…
La morte si avvicina sempre di più, anche se non sappiamo prevedere: sarà improvvisa e ci sorprenderà mentre gustiamo la vita o l’amore? Ci verrà incontro nella malattia, che diventa così un “apparecchio” per morire, cioè una preparazione e un accompagnamento alla morte stessa? Ci vincerà dopo una lunga e penosa mancanza di coscienza, e soprattutto incapacità di vivere relazioni e di sentire la presenza degli altri? Sarà una morte addirittura invocata, attesa con brama a causa della sofferenza che ci accompagnerà nelle ultime, ma a volte lunghissime, ore? Si fa presto a dire: non pensiamoci! E’ invece umano riflettere, prepararsi, perché questo viaggio senza ritorno raggiungerà con il suo senso e il suo significato il nostro cuore: viaggio di ciascuno di noi, viaggio di chi amiamo; viaggio da cui, in ogni caso, non siamo esenti. Nella mia esperienza ho visto persone che avevano paura della morte viverla poi con pace, quando è giunta; altre, che quasi urlavano di non averne paura, giungere al trapasso nella disperazione, nella sofferenza psichica, fino alla bestemmia della vita.
Sono anziano, sono ancora un amante di Gesù Cristo e mi sembra, nonostante tutto, di conservare la fede (cf. 2Tm 4,7). Dunque ho speranza di poter trovare, al di là della morte, le braccia aperte di Gesù Cristo, pronte ad accogliermi e ad abbracciarmi, lasciandomi piangere mentre lo stringo. E tuttavia – lo confesso – ho paura della morte, ho timore del giudizio di Dio sul mio vissuto, perché so quanto poco sono stato all’altezza dell’amore ricevuto. Sono certo che dovrò chiedere perdono a tanti uomini e a tante donne per non averli amati abbastanza, per non averli saputi amare. Troverò al di là della morte quelli che hanno vissuto con me. Spero di poter stare con loro, rinnovando l’amicizia vissuta qui, vivendo in pienezza l’amore che qui magari ho vissuto in modo sbagliato ma che – ne sono certo – non andrà perso e sarà recuperato, trasfigurato. Vorrei trovarmi ancora sulla terra, una terra nuova (cf. Is 65,17; 66,22; 2Pt 3,13; Ap 21,1), ma sempre una terra, perché l’ho amata tanto, tanto come la vita, tanto come gli amici. Ho seguito un amico morente, che mi diceva: «Dimmi, ripetimi che ci rivedremo e potremo bere insieme. Dimmelo, per favore!». E con le lacrime agli occhi ho potuto rispondergli: «Sarà così, perché io non vorrei risuscitare se non trovassi quelli che ho amato e incontrato nella mia vita! Se chi ho amato sarà fuori, anch’io vorrò restare fuori!». Che cosa mi fa sperare questo? Solo un amore più forte dei miei amori, un amore che ha vinto la morte.
Andare in questi giorni alle tombe delle persone amate, è vivere in pienezza, è vivere con meno mutilazioni, è un atto profetico che dice che l’amore non finisce: è eterno!

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani.

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