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Di fronte al dolore la risposta non può essere: "Sopporta"

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28/01/2011

Le vostre lettere alla nostra redazione

La mia storia è iniziata circa cinque anni fa, all’età di 20 anni. Stavo con il mio attuale ragazzo da due anni e la nostra intimità, fino a quel momento, era stata normale. I problemi iniziarono con forti cistiti ricorrenti, che mi rovinavano puntualmente le vacanze estive e molti altri momenti della quotidianità. Non riuscivo a capire quale potesse essere il motivo, credevo di essere solo più “delicata” e i primi tempi accettai la cosa passivamente, curando di volta in volta il sintomo. Ma la situazione nel tempo peggiorò. I rapporti sessuali divennero dapprima fastidiosi, e poi dolorosi. Incominciai a sentire forti dolori pelvici e mi recai dal ginecologo più volte, ma la risposta era sempre la stessa: ecografia interna, sempre negativa, tamponi vaginali ed esami delle urine. Il più delle volte da questi ultimi risultava qualche batterio che veniva puntualmente debellato con cure antibiotiche. La situazione proseguì così per anni in una spirale di antibiotici, cistiti, dolori e, soprattutto, assenza di spiegazioni. Consultai altri specialisti, senza ottenere risposte più chiare.
Un giorno però, l’esito dell’ennesimo tampone rivelò la presenta della Chlamydia trachomatis, un agente batterico più pericoloso e aggressivo dei precedenti: il ginecologo provò a risolvere il problema cambiando cinque diversi tipi di antibiotici, per un totale di circa un mese e mezzo di cure continuative, senza alcun esito. Nel frattempo i dolori pelvici si facevano insopportabili e mi costringevano, in quanto studentessa universitaria, a studiare da sdraiata, per l’impossibilità di stare seduta sulla sedia. Avevo anche forti dolori vaginali esterni, che nessuno specialista riusciva a spiegarmi. Non ce la facevo più e il ginecologo, non sapendo più che fare, decise di ricoverarmi in ospedale.
La Chlamydia venne debellata con una cura di antibiotici che mi somministrarono per endovena; i dottori, tuttavia, non riuscivano a inquadrare la situazione, in particolare l’aspetto del dolore pelvico. Quindi mi vennero fatte tutte le analisi per i marcatori tumorali e, dato l’esito negativo, decisero di operarmi in laparoscopia, per vedere cosa non andasse.
Il mio morale era a pezzi, odiavo l’idea di dover essere operata senza una diagnosi. Ad ogni modo durante l’intervento venne trovata e vaporizzata una placca endometriosica, e così sperai che finalmente l’incubo potesse essere finito, che la causa potesse essere stata trovata. Ma una volta uscita dall’ospedale i dolori tornarono e io stavo sempre peggio. Il mio ginecologo mi disse che non avevo niente, che a questo punto doveva essere un problema psicosomatico, che ero “come una Ferrari messa a nuovo” e che se avevo qualche dolore non mi restava che provare a prendere degli antidolorifici.
Mi sentivo davvero umiliata. Ero stata visitata da quasi tutti i ginecologi dell’ospedale, da diversi specialisti privati e nessuno mi aveva presa sul serio. La mia vita sessuale era diventata impossibile, non avevo quasi più rapporti a causa del dolore e anche la coppia ne stava risentendo, perché la “colpa” del mio malessere, non trovando spiegazioni, veniva attribuita da ogni medico solo e unicamente a me. Nonostante il calvario subito, tuttavia, io non volevo arrendermi all’idea che non ci fosse una vera ragione che giustificasse la mia condizione.
Così decisi di cercare in Internet un riferimento ai miei sintomi e trovai il sito della Fondazione Graziottin. Lessi alcune testimonianze e rividi la mia storia nelle parole delle altre ragazze e donne incomprese. Sulla scorta delle informazioni ottenute, decisi di prenotare una visita con una nuova ginecologa e la mia speranza venne del tutto ripagata. La diagnosi fu immediata: vestibolite vulvare. Quella diagnosi che nessun dottore aveva saputo fare e che mi aveva portato in un tunnel dal quale, per anni, ho temuto che non ci fosse uscita: finalmente avevo una spiegazione!
Ne conseguì un anno di cure difficili da seguire, non solo per la quantità di farmaci da prendere ma soprattutto per i cambiamenti nello stile di vita. Infatti modificare la dieta comporta un grande senso di sacrificio e una grande attenzione; allo stesso modo cambiare modo di vestire, privilegiando l’uso delle gonne, richiede un certo spirito di adattamento. Ma vi assicuro, care ragazze, che ogni sforzo viene ricompensato e che dopo un po’ di tempo ci si rende conto di come il nuovo stile di vita sia più sano!
A distanza di più di un anno dall’inizio della terapia, infatti, posso dire di essere guarita, anche se non abbasso mai la guardia e ho deciso di conservare le buone abitudini acquisite. I dolori sono scomparsi e la mia vita di coppia, dopo tanti anni, è tornata quella di una volta. I sacrifici da fare vengono assolutamente ripagati. La mia esperienza, per quanto dolorosa, insegna che di fronte al dolore la risposta non può essere “sopporta”; può e deve essere fatta una diagnosi seria perché solo in questo modo se ne può uscire.
Chiudo la mia testimonianza con un sentito “grazie” a quella dottoressa, che ha saputo ascoltarmi, capirmi e curarmi, restituendomi la serenità perduta. E con un messaggio di speranza rivolto a tutte voi: uscire dal tunnel è possibile!
Un abbraccio a tutte.
Nicole

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