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Idolatria, furto di libertà

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23/10/2013

Tratto da: Enzo Bianchi, Credenti e no uniti contro gli idoli, Avvenire, 27 settembre 2013

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questa riflessione Enzo Bianchi, priore di Bose, tocca un tema solo apparentemente di esclusiva impronta religiosa: il tema dell’idolatria come fonte di illusione, di dolore e, in ultima analisi, di disumanizzazione. Lungi dall’essere un pericolo solo per il credente, l’idolatria è infatti una pulsione antropologica, una gabbia dorata ma rigida che può catturare tutti, perché altro non è che l’impedimento a pensare con la propria testa, a non farsi assorbire dalla massa indistinta e manipolabile, alla «libertà di agire, proporre, progettare». Perché tutti, nella nostra vita, siamo chiamati a rispondere a una domanda fondamentale, la domanda più importante di tutte: «a chi o a che cosa, da persona libera, liberamente decido di obbedire», per realizzare pienamente me stesso, me stessa?
Ecco allora che l’idolatria può vestire i panni non solo di un dio sfigurato dalle nostre ideologie, ma anche del successo professionale ottenuto a discapito della giustizia, del denaro accumulato per se stesso, del possesso dei corpi in una logica di non-amore, dell’adesione acritica a mode e tendenze, dell’accondiscendenza alle pressioni ambientali riguardo alle dimensioni più personali e decisive dell’esistenza. E’ invece importantissimo esercitare sin da giovani un esigente spirito critico che porti a conoscere se stessi, a discernere la propria strada e il proprio stile, per poi perseguirli, quella strada e quello stile, anche quando i venti avversi sembrano prendere il sopravvento. Ogni altro atteggiamento è “idolatria”, è subordinazione a valori ingannevoli, e il prezzo che si verrà chiamati a pagare per questo scarto del cuore e del pensiero è quasi sempre altissimo e, purtroppo, proporzionale alla dimensione della cecità che ci avrà guidati.
Tornando alla sfera più prettamente spirituale, vale la pena ricordare come il concetto di idolatria illumini e chiarisca alla perfezione uno dei passaggi meno capiti della preghiera dei cristiani, il “Padre nostro”, laddove si chiede a Dio: venga il tuo regno. Tanti, nella storia, l’hanno interpretato come auspicio di un dominio terreno, di una sorta di società teocratica implicante naturalmente l’annientamento o l’esclusione degli “avversari”. Quella breve domanda significa invece: aiutami a far sì che su di me, sulle mie scelte, sulla mia vita, non regnino il denaro superfluo, il potere ingiusto, l’egoismo, ma solo tu e la tua volontà d’amore. Per il credente, quindi, l’antidoto per eccellenza contro l’idolatria rimane la volontà di Dio – raccontata in modo definitivo da Gesù Cristo, nel corso di un’esistenza spesa al servizio degli altri e soprattutto dei sofferenti. Ma questo appello all’umanizzazione delle relazioni, a passare “facendo il bene” (cfr. Atti degli apostoli 10,38) contro ogni illusione e ogni idolo, ha certamente senso e valore anche per chi in Dio non crede.
Esiste un’esigenza di lotta spirituale, di combattimento per raggiungere la qualità propria di ogni essere umano, che accomuna credenti impegnati a discernere le loro incredulità e non credenti tesi a riaffermare le fondamenta del loro pensiero: è la lotta anti-idolatrica, la quotidiana fatica di rispondere alla fondamentale domanda “a chi o a che cosa, da persona libera, liberamente decido di obbedire?”. L’idolo – o, meglio, gli idoli, perché la non-unicità è loro caratteristica – continua a essere opera dell’uomo, e la sua creazione, sopravvivenza, trasformazione e funzionamento rispondono a precise istanze e bisogni antropologici.
Quello che emerge a livello di “simulacro”, di oggetto, si rivela autentico anche al livello più profondo dell’immagine: l’idolo – sia esso statua, realtà immateriale o ideologia – fornisce certezze riguardo al divino e la sicumera con cui le offre cela l’inganno più radicale, quello di non apparire ingannevole. Da questo aspetto nasce la sorprendente efficacia “politica” dell’idolo: anticamente esso rendeva vicino, a portata di mano il dio che, identificandosi con la pólis, le assicurava un’identità e le garantiva protezione. Ecco perché, anche dopo il tramonto del paganesimo, la politica non ha cessato di suscitare “idoli”, esseri umani divinizzati che scongiurano il divino o, se si preferisce, il destino umano. E’ l’idolatria a conferire dignità al culto della personalità, a trasformarla in una figura “vicina”, familiare, addomesticata del divino. Si coglie allora la dimensione politica dell’idolatria, il suo essere un attentato alla libertà umana, e si comprende anche come la lotta anti-idolatrica richieda adesione alla realtà e l’attivazione di una dimensione spirituale, di uno spazio interiore, della capacità critica, affinché la libertà non sia solo libertà di reagire, ma di agire, di proporre, di progettare.
L’annullamento della distanza, poi, cioè questa “familiarità” che rende schiavi (non dimentichiamo che il termine “familia” indicava all’origine l’insieme dei servitori di una casa), si ritrova anche negli idoli “immateriali” così potenti oggi. Non è un caso che uno dei miti da sempre più affascinanti – il successo in termini di potere, di denaro e di sesso – assecondi e dia sfogo a tre libidines insite in ogni essere umano: la libido dominandi, la libido possidendi e la libido amandi. Così, opera non delle mani ma delle pulsioni dell’uomo, queste tre forze si ergono di fronte a lui, gli chiedono adorazione e servizio, gli rubano la libertà promettendogli partecipazione al “divino”, accesso al sovrumano, protezione contro le forze mortifere.
Ora, quando il cedimento ai richiami delle tre libidines passa dalla sfera personale a quella sociale, assume connotati idolatrici che nella nostra società occidentale si possono identificare sul piano economico con l’adorazione di tutto ciò cui si può “dare un prezzo”, mentre sul piano etico e sociologico alimentano l’adeguarsi al comportamento della “massa”: giusto è quello che fanno tutti, in una sorta di riedizione demagogica dell’adagio “Vox populi, vox Dei”. Ma l’opinione pubblica nella sua accezione degenerate di “gente” non è un’entità autonoma, libera, non è un corpo le cui membra interagiscono per il bene comune, bensì un agglomerato indefinito, un accostamento di individualità pesantemente manipolabile. In questo senso la realtà virtuale non solo supera, ma scaccia la realtà effettiva: allora vero, oggettivo è ciò che appare; lecito è ciò che tecnicamente è possibile; encomiabile è ciò che suscita invidia.
In fondo la strada verso l’idolatria resta sempre la stessa: un’affascinante strada di schiavitù, le cui catene e la cui gabbia appaiono sempre più dorate ma si rivelano sempre più rigide. E’ la strada dell’operare umano svincolato da un’istanza superiore – la dimensione del “divino” – che sola è capace di far emergere tutta la grandezza dell’essere umano e di conferirgli unità e pienezza. È significativo che per la Bibbia non esistano gli atei, i senza-Dio: esistono invece gli idolatri ed esiste soprattutto la tentazione dell’idolatria che colpisce tutti, il credente come chi credente non si definisce. L’essere umano abbandonato a sé, che ignora o disprezza la dimensione interiore, la capacità del bene, la dignità dell’esistenza – quella che la fede chiama l’immagine di Dio – presenti in se stesso e nel proprio simile, è idolatra, è schiavo delle dominanti più istintive: se rinuncia a coltivare la propria dimensione spirituale, scoprirà il suo cuore preda degli elementi deteriori che lo disumanizzano. Per questo la lotta spirituale concerne tutti, si combatte nell’interiorità di ciascuno ed è più esigente di tutti i combattimenti esteriori. Ma, al contempo, la sua pratica costante produce anche frutti di pacificazione, di libertà, di mitezza e di carità: è grazie ad essa che la fede-fiducia diviene perseveranza nel bene, che la conoscenza di sé rinnova e vivifica le relazioni con l’altro, che l’amore viene purificato e ordinato.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
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