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Dalla paura per l'altro al coraggio della responsabilità

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21/09/2011

Tratto da:
Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Giulio Einaudi Editore, 1990, Torino, p. 285

Selezione del brano, guida alla lettura e biografia a cura di Emanuela Aliquò

Guida alla lettura

Con “Il principio responsabilità”, da cui è tratto questo passo, Hans Jonas propone un’etica che sia adatta a guidare e a regolare l’agire umano in un’epoca in cui i nuovi e sconfinati poteri della tecnologia costituiscono una preoccupante minaccia per l’umanità e l’intera biosfera.
Al centro del lavoro si colloca il concetto di responsabilità, non nuovo in ambito morale, ma i cui confini, nel segno della “stupefacente potenza dell’uomo”, si allargano oggi in modo significativo: al tradizionale farsi carico del “qui e dell’ora”, relativo al campo immediato dell’azione, si aggiunge l’attenzione al futuro e all’ignoto; quindi la responsabilità della previsione delle conseguenze, anche a lungo termine e spesso irreversibili, dell’agire umano.
In questo brano, densissimo per le risonanze emotive e pratiche che può suscitare, viene perorata la causa della paura: nell’incertezza del sapere predittivo e per evitare un uso sconsiderato e catastrofico del potere, oggi più che mai, occorre agire con cautela (“il lato migliore del coraggio”) e lasciarsi guidare dal criterio del timore, racchiuso interamente in quel vibrante interrogativo, che fa parte della responsabilità altrettanto quanto la speranza di raggiungere i risultati auspicati.
Per il filosofo tedesco, trattasi di una “paura intellettuale” relativa a un “malum prefigurato e non esperito”, che non ostacola l’azione ma “esorta a compierla”: per il soggetto coraggioso e “recettivo ai richiami del dovere” (in virtù della permeabilità del cuore), l’acquisizione anticipata di ciò che potrebbe accadere agli altri, l’appropriarsi di quanto immaginato e l’ansia che potrebbe non esserci più tempo per agire si trasformano in un potentissimo stimolo a intervenire e a farsi carico dell’altro, affrontando gli inevitabili rischi, le incertezze, l’ignoto a cui l’azione apre.
Nell’ambito della teoria della responsabilità, Jonas precisa inoltre come “alla resa dei conti ex-post-facto”, occorra aggiungere la responsabilità relativa “alla determinazione del da farsi rispetto al quale io mi sento responsabile (…) per la causa che m’impone di agire”: per prevenire il pericolo e per non sciupare importantissime possibilità di bene.
Per Jonas, dalla fusione creativa tra l’immanente “dover essere” dell’altro, percepito in balìa della sua indigenza e vulnerabilità, e il transitivo “dover fare” del soggetto chiamato ad averne cura, sorge la responsabilità attiva, che si eleva e diviene custodia amorosa quando “s’impara a temere per la sorte di chi è degno di esistere e di essere amato”.
Ovviamente, l’attenzione principale del pensatore tedesco, che ha in mente le emergenze planetarie, riguarda le macrodecisioni e l’agire collettivo che possono salvaguardare il futuro dell’uomo, degli animali, dell’ambiente; tuttavia la sua etica della responsabilità, che incarnata nella realtà vivente si traduce nel “prendersi responsabilmente cura di”, non può non interpellarci anche singolarmente, nella sfera più quotidiana delle relazioni umane e del rapporto con la vita: per la fedeltà al nostro impegno, là dove siamo collocati; per il buon uso del potere, nelle sue mille e sfumate declinazioni (perché per Jonas “la responsabilità è un correlato del potere”); per la necessità di aprire il nostro cuore alle tragedie del mondo, così da poter “prendere il largo”; per la tutela di chi ci è stato affidato dalla vita, “in virtù delle circostanze o in seguito a un’intesa”; per l’attenzione che dobbiamo rivolgere a tutte le azioni che hanno conseguenze indirette, anche impercettibili, nel tempo o nello spazio (la “responsabilità indiretta”).
Le parole di Hans Jonas possono aiutarci a riflettere anche sulle nostre paure e sulle dinamiche che governano il nostro modo di agire, nonché sulla bellissima e straordinaria virtù del coraggio che, «alimentata dalla speranza nel superamento di un male temibile» (Tommaso d’Aquino), può favorire il nostro senso di responsabilità verso noi stessi e verso gli altri, per il compimento di una vita più autentica in virtù di quel delicato equilibrio, di quella “medietà” tanto cara ad Aristotele, fra “paura” e “temerarietà” (Etica Nicomachea, II 7, 1107a, 35, a cura di Claudio Mazzarelli, Bompiani, Milano, 2000, p. 101).
Non permettere che la paura distolga dall’agire, ma piuttosto sentirsi responsabili in anticipo per l’ignoto, costituisce, davanti all’incertezza finale della speranza, proprio una condizione della responsabilità dell’agire: appunto quel che si definisce il «coraggio della responsabilità».
Quando parliamo della paura che per natura fa parte della responsabilità, non intendiamo la paura che dissuade dall’azione, ma quella che esorta a compierla; intendiamo la paura per l’oggetto della responsabilità (…)
La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere, diventando «apprensione» nel caso in cui venga minacciata la vulnerabilità di quell’essere. Ma la paura è già racchiusa potenzialmente nella questione originaria da cui ci si può immaginare scaturisca ogni responsabilità attiva: che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? Quanto più oscura risulta la risposta, tanto più nitidamente delineata è la responsabilità. Quanto più lontano nel futuro, quanto più distante dalle proprie gioie e dai propri dolori, quanto meno familiare è nel suo manifestarsi ciò che va temuto, tanto più la chiarezza dell’immaginazione e la sensibilità emotiva debbono essere mobilitate a quello scopo.

Biografia

Hans Jonas nasce a Mönchengladbach, in Germania, nel 1903. La prima fase del suo lungo itinerario di studi, svoltasi a Friburgo, Berlino, Heidelberg e, in particolare, Marburgo, è guidata da Martin Heidegger e Rudolf Bultmann, ed è caratterizzata da quegli interessi filosofico-religiosi e da quelle ricerche che ne avrebbero fatto uno dei massimi specialisti di uno dei fenomeni più intellettuali del cristianesimo antico, lo gnosticismo: una spiritualità rigidamente separata dalla storia e dalla “carne”, e fondata sul dualismo fra la coscienza e la materia, fra Dio e il mondo. Nel 1933, seguono gli anni duri dell’emigrazione in Inghilterra e poi in Palestina.
Dopo la guerra, combattuta come volontario nell’esercito britannico, si trasferisce in Canada (1949) e poi negli Stati Uniti (1955): la seconda stagione dei suoi studi è rivolta essenzialmente alla filosofia della natura, alla conoscenza del mondo organico e, contro il precedente e riduttivo scollamento fra spirito e corpo, al recupero dell’unità psicofisica della vita.
Questi temi lo orientano verso un’altra frontiera della ricerca, relativa agli scopi ultimi della vita e alle grandi questioni morali che egli vede calpestate da un uso irresponsabile del potere dell’uomo, cresciuto a dismisura con la scienza e con la tecnica. La bioetica diviene così la strada attraverso la quale, nella tarda maturità, Jonas accede al grande tema del “sì alla vita”, che trova la sua sintesi più felice e riuscita nel testo “Il principio responsabilità” (1979), fondato essenzialmente sull’imperativo del “prendersi cura”.
Tra le sue opere ricordiamo: La religione gnostica (1958); Il fenomeno della vita. Verso una biologia filosofica (1966); Saggi filosofici. Dalla fede antica all’uomo tecnologico (1974); Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica (1984).
Hans Jonas muore nel 1993 a New York, ove era divenuto cittadino americano.
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