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Sabato santo: il silenzio di Dio

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27/03/2013

Tratto da:
Enzo Bianchi, Il silenzio di Dio? Tutto da ascoltare, La Stampa, 19 aprile 2003

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Nella settimana che si conclude con la Pasqua celebrata dai cristiani, proponiamo un breve articolo di Enzo Bianchi, priore di Bose, sul significato spirituale del “sabato santo”: il giorno di silenzio che segue la morte di Cristo, e ne precede la resurrezione.
Dalla riflessione emergono con forza tre concetti fondamentali: i primi due sono significativi per chi crede nell’esistenza e nell’azione di Dio nel mondo; il terzo, invece, può essere eloquente anche per chi abbia una visione laica della vita.
Il sabato santo, innanzitutto, ci riporta al tema della “assenza” e del “silenzio” di Dio. Un tema sentito e dibattuto soprattutto con riferimento alle grandi tragedie della storia, prima fra tutte la Shoah, e che si esprime nella terribile domanda che tutti ci siamo posti almeno una volta: «Dov’era Dio ad Aushwitz?». Ma, avverte Bianchi, di fronte a quell’abisso di orrore la domanda dovrebbe essere piuttosto: «Dov’era l’uomo?». Il Dio degli ebrei e dei cristiani cerca continuamente il dialogo con le sue creature: è l’uomo, semmai, a stare in silenzio di fronte al male, a opporsi rumorosamente alla parola di Dio e ad aprire le orecchie «ad altre parole, altri messaggi, altri inviti».
Secondo concetto: la pausa del sabato santo prepara la resurrezione di Cristo, e dunque anche il giudizio di Dio sulla sua vita. Questo dovrebbe consolare ogni credente, e al tempo stesso renderlo avvertito del fatto che la misericordia del Padre celeste non opera mai disgiunta dalla giustizia. Il Creatore, per gli ebrei e i cristiani, non è mai indifferente al dolore dei propri figli, ma la fiducia nella sua misericordia non dovrebbe mai far dimenticare che al termine della storia ci sarà anche un giudizio: e che questo giudizio, se da un lato asciugherà le lacrime di chi in questa vita sarà stato vittima del male, dall’altro castigherà chi il male avrà voluto e operato.
Infine, l’esito del sabato santo insegna che anche nei momenti più bui dell’esistenza l’amore può vincere «il vuoto del non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una ferita mortale»: e questa, come tante volte abbiamo sottolineato nella nostra rubrica, può davvero essere una parola eloquente per tutti, perché tutti possiamo vivere secondo l’amore, e alimentare in noi stessi e negli altri la speranza che il male non abbia mai l’ultima parola. Perché «prima o poi c’è un sabato santo per ciascuno di noi».
Dopo la morte di Gesù di Nazareth, avvenuta alle tre del pomeriggio del 7 aprile dell’anno 783 dalla fondazione di Roma, ebbe luogo una rapida sepoltura del corpo del condannato in una tomba vicina al luogo dell’esecuzione capitale, fuori dalle mura di Gerusalemme: con il tramonto iniziava infatti per gli ebrei la festa della Pasqua. Per i discepoli di Gesù, che erano tutti fuggiti nell’ora dell’arresto, e per le donne discepole, che lo avevano accompagnato fino alla tomba, iniziava il “dopo Gesù”. Gesù – maestro, profeta, ritenuto anche messia e inviato da Dio – è morto, non c’è più, giace sepolto in una tomba. Nei discepoli c’è sconforto, ma anche paura: se hanno condannato a morte il maestro, come infieriranno sui suoi discepoli? Sabato santo, giorno dopo la morte di Gesù: davanti ai discepoli c’è solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombe il non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una separazione definitiva, di una ferita mortale.

Dov’è Dio? E’ questa la muta domanda del sabato santo. Dov’è quel Dio che sembrava così presente nella vita di Gesù, il profeta che parlava con autorevolezza e compiva segni, guarendo e liberando dal male? Passa un giorno intero senza intervento di Dio. Forse Dio ha abbandonato definitivamente Gesù? Forse Dio si è nascosto, ha deciso di fare silenzio? O è addirittura in collera, disgustato dell’umanità? Domande insensate per un credente che aderisce al Dio vivente conoscendolo e amandolo, ma domande che purtroppo vengono poste dagli uomini, anche religiosi, i quali, piuttosto di interrogarsi sulla propria sordità, sul proprio non ascolto di Dio, sulla propria opposizione rumorosa alla parola silente di Dio, preferiscono di fatto accusare Dio e attribuirgli la responsabilità del vuoto, del nulla che essi vivono.

Il sabato santo ci riporta al tema del silenzio di Dio, un tema percepito come assenza di Dio, morte di Dio, soprattutto nell’ora della shoah, dello sterminio di milioni di uomini, donne e bambini, nell’ora dei diversi genocidi che hanno segnato il secolo scorso; il silenzio del sepolcro ci riporta alla domanda: «Dov’era Dio ad Auschwitz?». Domande tragiche, cariche di angoscia, che nascono nel cuore di chi vorrebbe che Dio intervenisse, lui il Signore della storia, per impedire che il povero sia distrutto dal potente, che l’innocente sia ucciso dall’empio! Ma non a caso questa domanda su Dio è ripetuta tante volte nei salmi da parte degli idolatri che, soprattutto nell’ora dell’angoscia, si rivolgono al credente chiedendogli: «Dov’è il tuo Dio?». Eppure, la vera domanda da porsi è un’altra: «Dov’era l’uomo ad Auschwitz?».

E’ l’uomo che è morto, è l’uomo che non ha saputo reagire: il grande silenzio che avvolge i genocidi è silenzio di uomini, di popoli, di governi, purtroppo anche di uomini che si dicono credenti… In verità, il Dio degli ebrei e dei cristiani è contrassegnato proprio dall’essere un Dio che parla, un Dio sempre in dialogo con l’umanità, un Dio che costantemente rivolge il suo invito: «Ascolta, ascoltate!»; non è un idolo che «ha bocca ma non parla, ha orecchi ma non ascolta». Sono gli uomini che lo accusano di silenzio, piuttosto di riconoscere di essere loro ad avere le orecchie aperte per altre parole, per altri messaggi, per altri inviti.

Neppure nel giorno dell’uccisione di Gesù, suo Figlio inviato nel mondo, Dio si è disgustato dell’umanità fino ad abbandonarla. E’ vero che più volte nella Bibbia si parla della “collera” di Dio, ma in questo linguaggio antropomorfico si deve cogliere soprattutto il “pathos” di Dio: non c’è un Dio irato, cattivo, risultato della proiezione del comportamento degli uomini, bensì un Dio che ha passione, un Dio appassionato. In questo atteggiamento di Dio – presente pure in Gesù, anch’egli a volte in collera durante il suo ministero – si esprime l’amore di Dio, la sua non indifferenza al male, la sua sofferenza di fronte all’ingiustizia, la sua volontà di riparare all’ingiustizia, volontà che comunque si realizzerà nel giorno del giudizio.

Questa non indifferenza al male, propria di Dio e di Gesù, fa parte del vangelo, il quale non è solo “buona notizia”, ma anche giudizio: certo Dio non castiga qui e ora – chi commette il male si incammina lui stesso su una strada di morte: c’è una giustizia immanente che si realizza anche quando l’uomo non sa discernere – ma ci sarà un giudizio, e allora il castigo, nelle forme che solo Dio conosce, cadrà su chi ha operato il male. «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati», dice san Paolo, ma a questa volontà ciascuno durante la propria vita può opporsi.

Sabato santo: Dio può sembrare assente, il male prevalere, il dolore senza senso, la tenebra invadente. Eppure è proprio nel sabato santo che si radica l’attesa nell’azione definitiva di Dio, è nel sabato santo che l’enigma della morte diventa mistero… Anni fa in Cina ho incontrato un vescovo di quella chiesa ufficialmente non in comunione con Roma, ma in realtà una chiesa fedele al vangelo nella persecuzione. Mi diceva: «Noi viviamo il sabato santo, ma proprio per questo siamo in attesa della Pasqua! La Pasqua verrà! Lo dica al Santo Padre, che noi amiamo: noi siamo in attesa!»…

Prima o poi c’è un sabato santo per ciascuno di noi. In quell’ora non dimentichiamoci queste parole di Giacobbe: «Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!» (Genesi 28,16). Nell’attesa della Pasqua, impariamo ad ascoltare il silenzio del sabato santo.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Parole chiave di questo articolo
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