Guida alla lettura
Bonhoeffer descrive con drammatica efficacia l’esperienza della dittatura: una situazione in cui non si possono «fare progetti neppure per l’indomani», e in cui la vita corre ogni giorno sul filo della disintegrazione. Ma aggiunge che agli uomini e alle donne di quel tempo rimangono due compiti importantissimi: salvare la propria anima dal caos, ossia non arrendersi, rendendosene complici, alla violenza brutale; e consegnare quest’anima, resa sovra-individuale dalla resistenza comune, ai giovani di domani, perché dalla sua forza possano un giorno plasmare «una nuova e migliore esistenza».
Le parole di Bonhoeffer costituiscono uno straordinario documento storico e filosofico, maturato in condizioni di tensione certamente fuori dell’ordinario. Ma sono eloquenti anche per noi, che pure non patiamo l’immane impatto di una tirannide e di una guerra. Quante persone, giovani e meno giovani – travolte da una crisi che è etica e culturale, prima ancora che economica – non riescono a fare progetti neppure per il giorno dopo? Quanti vivono l’esperienza di una vita «informe o, se non altro, frammentaria»?
Certo, «vedere che il mondo è nelle mani di Dio» è il “proprium” di chi crede, e comunque non dovrebbe implicare in alcun modo un atteggiamento fatalistico e inerte verso le difficoltà. Ma può essere alla portata di tutti la presa di coscienza che, oggi più che mai, «l’assunzione della responsabilità è l’origine dell’azione», e che solo esercitando un esigente senso di responsabilità individuale e collettivo potremo sperare di riorganizzare «una nuova e migliore esistenza».
Oggi, l’esperienza nostra è che non possiamo fare progetti neppure per l’indomani, che nella notte viene distrutto quello che si era costruito nel giorno, che la nostra vita – a differenza di quella dei nostri genitori – è informe o, se non altro, frammentaria. E tuttavia, nonostante tutto questo, dico e affermo che non avrei voluto vivere in un tempo diverso dal nostro, anche se esso disprezza e calpesta la nostra felicità esteriore. Più distintamente che in altre epoche, noi siamo in grado di vedere che il mondo è nelle mani di Dio, mani di collera e di grazia…
Il compito della nostra generazione non sarà quello di “mirare a grandi cose” ma di salvare la nostra anima dal caos, di preservarla e di vedere in essa l’unica cosa da mettere in salvo – come nostro “bottino” – dalla casa che brucia.
«Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita» (Proverbi 4,23): Dovremo portare, più che plasmare, la nostra vita, dovremo sperare più che pianificare, tenere duro più che andare avanti. Ma intendiamo salvaguardare l’anima per voi giovani, per la generazione che nasce ora, affinché dalla sua forza voi organizziate, edifichiate e plasmiate una nuova e migliore esistenza.
Abbiamo vissuto troppo intensamente nel pensiero e abbiamo creduto che fosse possibile garantire in precedenza, mediante una ricognizione di tutte le possibilità, il risultato di qualsiasi azione, in modo tale che essa si compisse, in conclusione, da sola. Un po’ troppo tardi abbiamo imparato che non il pensiero, ma l’assunzione della responsabilità è l’origine dell’azione. Per voi, pensiero e azione entreranno in una relazione nuova. Penserete esclusivamente ciò di cui risponderete agendo. Per noi il pensiero era spesso il lusso dello spettatore, per voi sarà interamente al servizio dell’azione.
Biografia
Nel 1931 torna in Germania, per insegnare all’Università di Berlino. All’indomani della presa del potere da parte di Hitler, tiene una conferenza via radio sul concetto di autorità: afferma con coraggio che, se il capo (führer) permette al seguace che questi faccia di lui un idolo, allora diventa un pericoloso seduttore (verführer). Entrato nel mirino del regime, dal 1933 al 1935 si stabilisce a Londra per seguire due comunità evangeliche tedesche. Al rientro assume la direzione del seminario della Chiesa confessante, fondata l’anno precedente dai pastori luterani in contrasto con l’acquiescente gerarchia ecclesiastica ufficiale. Il seminario, situato sul Mar Baltico, verrà chiuso due anni dopo per ordine di Himmler.
Nel 1939 Bonhoeffer accetta una cattedra negli Stati Uniti: ma pochi mesi dopo, allo scoppio della guerra, rientra definitivamente in patria, per condividere il destino del suo popolo. Aderisce alla resistenza e alle manovre per attentare alla vita di Hitler, che culmineranno nel fallito attentato del 20 luglio 1944. Imprigionato sin dall’aprile del ‘43, viene impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg il 9 aprile 1945, un mese prima della resa della Germania.
Nel periodo della detenzione, produce una serie di scritti che verranno poi raccolti nel volume “Resistenza e resa”, la sua opera più famosa, in cui riflette sul rapporto tra fede e azione. E a un compagno di prigionia italiano che gli chiedeva come avesse potuto un sacerdote cristiano partecipare a una cospirazione politica violenta, sia pure contro un tiranno sanguinario, disse: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, accontentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante».
Per un primo approfondimento del pensiero religioso e politico di Bonhoeffer, consigliamo la lettura di un breve ma esauriente saggio di Italo Mancini: “Dietrich Bonhoeffer. Un resistente che ha continuato a credere”, Edizioni Qiqajon, 1995.