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Il male dell'indifferenza al male

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24/04/2013

Tratto da:
Abraham Joshua Heschel, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma 1981, p. 87-91
in: Comunità Monastica di Bose (a cura di), Letture dei giorni, Piemme, Casale Monferrato 1994, pag. 827-829

Guida alla lettura

In questa densa riflessione, Abraham Joshua Heschel – rabbino e filosofo polacco naturalizzato statunitense – affronta tre temi di grande importanza per la fede ebraica: l’imperativo etico di non rassegnarsi al male; il ruolo dei profeti nella denuncia dell’ingiustizia; il significato profondo dell’ira di Dio.
L’indifferenza al male, afferma Heschel, «è più insidiosa del male stesso», perché acceca la nostra capacità di indignazione e, avanzando con passi impercettibili ma inesorabili, come un contagio, stravolge i nostri valori e il nostro agire. In questo contesto, il profeta esprime una “diversità” attiva, operando come coscienza del mondo e richiamando i singoli e la collettività all’esigenza di un retto agire. Ma lo sdegno del profeta (il cui significato primario è quello di “portavoce”, dal greco “prophemí”: parlo a nome di) rimanda a sua volta all’ira di Dio: un Dio che non è mai indifferente al male e la cui reazione alla violenza dell’uomo sull’uomo è «qualcosa che nessun linguaggio può trasmettere».
Come nel caso del profeta, però, l’ira di Dio non è mai fine a stessa, ma auspicio di cambiamento: essa raggiunge il suo vero obiettivo non quando annienta, ma quando produce la conversione dei cuori e, dunque, cessa di sussistere. E’ l’uomo che provoca l’ira di Dio, ed è l’uomo che la può revocare. E questo, sottolinea Heschel, è lo splendido paradosso della fede ebraica: l’uomo ha il vertiginoso potere di mutare i disegni dell’Onnipotente, perché «Dio è più grande delle sue decisioni» e l’ultima parola, in definitiva, spetta sempre al bene e alla vita.
Come ogni parola autenticamente sapienziale, anche questa pagina di Heschel ha un valore che trascende la dimensione religiosa e interpella tutti con forza: quanto del dolore che ci circonda, ad ogni livello, è anche frutto di una crescente indifferenza al male? Quante volte, di fronte all’ingiustizia, evitiamo per assuefazione o per viltà di pronunciare una condanna non ambigua? Quello che valeva per i profeti di Israele, vale oggi per tutti noi, in ogni campo: etico, politico, economico, così come nelle relazioni di ogni giorno con gli amici, i colleghi, i familiari. In un mondo che sembra andare alla deriva, abbiamo un disperato bisogno di indignazione. E uomini come Heschel hanno l’immenso merito di parlare e agire al di là delle appartenenze, cosicché dalla loro testimonianza tutti possiamo trarre un insegnamento valido per la nostra vita.
C’è un male che molti di noi tollerano e di cui sono persino colpevoli: l’indifferenza al male. Noi restiamo neutrali, imparziali e non siamo facilmente scossi dal male inferto ad altre persone. L’indifferenza al male è più insidiosa del male stesso; è più universale, più contagiosa e più pericolosa. Si tratta di una giustificazione silenziosa che rende possibile un male che erompe come un’eccezione e lo fa diventare la regola, rendendolo così accetto. (…)
Il profeta è una persona che soffre per il danno arrecato agli altri. Ogni volta che viene commesso un crimine è come se il profeta ne fosse la vittima e la preda. Le adirate parole del profeta sono un grido. E tutta la profezia è una grande esclamazione: Dio non è indifferente al male! Egli se ne preoccupa ed è personalmente toccato da ciò che l’uomo fa all’uomo. Egli è un Dio del “pathos”. Questo è uno dei significati dell’ira di Dio: la fine dell’indifferenza! (…)
Il senso umano dell’ingiustizia è una povera analogia del senso divino dell’ingiustizia. Lo sfruttamento del povero è per noi una trasgressione: per Dio è una sventura. La reazione nostra è di disapprovazione; quella di Dio è qualcosa che nessun linguaggio può trasmettere. E’ forse un segno di crudeltà che l’ira divampi quando i diritti del povero sono violati, quando vedove e orfani sono oppressi? L’ira di Dio ci ricorda che l’uomo ha bisogno di perdono, e che questo non può essere garantito. Il Signore è magnanimo, compassionevole, amorevole e fedele, ma è anche esigente, insistente, terribile e pericoloso.
Un aspetto essenziale dell’ira, proclamato dai profeti, è il suo carattere contingente e non definitivo. E’ l’uomo che la provoca, ed è l’uomo che la revoca. Uno dei principali doveri del profeta è quello di chiamare al pentimento il popolo: «Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni, e ascoltate il Signore vostro Dio, e il Signore ritratterà il male che ha annunziato contro di voi» (Geremia 26,13). (…)
Questo è il paradosso misterioso della fede ebraica: l’Onnisciente e Onnipotente può cambiare una parola che ha proclamato. L’uomo ha il potere di modificare il suo disegno. Geremia dovette apprendere che Dio è più grande delle sue decisioni. L’ira del Signore è strumentale, ipotetica, condizionale e soggetta alla sua volontà. Se il popolo modifica la sua linea di condotta, allora l’ira scomparirà.
Lungi dall’essere un petulante spirito vendicativo, il messaggio dell’ira implica un invito al ritorno e alla salvezza. L’invito dell’ira è un invito a cancellare l’ira. Non è un’espressione di eccitamento irrazionale, improvviso e istintivo, ma una libera e deliberata reazione della giustizia di Dio a ciò che è sbagliato e malvagio. Per quanto intensa sia, può essere stornata dalla preghiera. Non esiste ira divina fine a se stessa. Come già detto, il suo significato è strumentale: produrre il pentimento. Il suo scopo e la sua consumazione è la stessa sua scomparsa.

Biografia

Abraham Joshua Heschel nasce a Varsavia nel 1907, in una famiglia ebraica ortodossa. Riceve sin dall’infanzia un’educazione tradizionale: studia la Torah, il Talmud e la Qabbalah, ponendo le basi per diventare rabbino. Negli anni dell’adolescenza, però, decide di accedere anche a studi secolari e si trasferisce al Real-Gymnasium di Vilnius, in Lituania, e successivamente all’Università di Berlino. In Germania studia filosofia, filologia semitica e storia, e si laurea nel 1933 con una tesi sulla “coscienza profetica”, pubblicata nel 1936 con il titolo “Die Prophetie” (Il messaggio dei profeti, Borla 1981).
La pubblicazione della tesi e l’edizione di una biografia di Moshe ben Maimon (filosofo, rabbino e medico spagnolo vissuto fra il dodicesimo e il tredicesimo secolo) lo fanno apprezzare dal mondo accademico, tanto che nel 1937 viene scelto da Martin Buber, in procinto di emigrare a Gerusalemme, quale proprio successore allo “Judisches Lehrhaus” (Centro di formazione giudaica) di Francoforte e all’Istituto Centrale di Educazione Ebraica degli adulti. Ma nell’ottobre del 1938, in seguito al decreto di espulsione degli ebrei, Heschel deve lasciare la Germania e tornare a Varsavia. Pochi mesi dopo ripara a Londra, e poi negli Stati Uniti.
Dal 1940 al 1945 è professore associato di Pensiero ebraico all’Hebrew Union College di Cincinnati, in Ohio. Successivamente e fino alla morte, avvenuta nel dicembre del 1972, è docente di Musar (etica ebraica), Qabbalah (mistica ebraica) e Chassidut (pietà ebraica) presso il Jewish Theological Seminary of America di New York.
Il periodo americano è il più fecondo di opere: “Man is not alone: a philosophy of religion” del 1951 (L’uomo non è solo: una filosofia della religione, Mondadori 2001) e “God in search of man: a philosophy of Judaism” del 1955 (Dio alla ricerca dell’uomo: una filosofia dell’Ebraismo, Borla 1971) sono i suoi più importanti lavori di filosofia del giudaismo. Altre opere significative sono “Man’s quest for God: studies in prayer and symbolism” del 1954 (tradotta parzialmente in: L’uomo alla ricerca di Dio, Qiqajon 1995), raccolta di saggi sulla preghiera; “The Shabbath: its meaning for modern man” del 1951 (Il Sabato: il suo significato per l’uomo moderno, Garzanti 1999), sul senso profondo dello Shabbat ebraico; “Who is Man?” del 1965 (Chi è l’uomo?, Rusconi 1971), sintesi del pensiero ebraico sull’uomo; la raccolta di saggi “The insecurity of freedom: essays on human existence” del 1965 (tradotta parzialmente in: Il canto della libertà, Qiqajon 1999); “Israel: an echo of eternity” del 1967 (Israele: eco di eternità, Queriniana 1977), scritto dopo la guerra dei Sei giorni e centrato sull’importanza della terra d’Israele per l’ebraismo; “A Passion for truth”, pubblicato postumo nel 1973 (Passione di verità, Rusconi 1977), dedicato alle due grandi figure chassidiche di Baal Shem Tov e Rabbi Mendel di Kotzk (il chassidismo è una corrente dell’ebraismo).
Heschel ebbe anche un ruolo di rilievo nella lotta per i diritti civili e contro la segregazione razziale; si impegnò con interventi pubblici per il miglioramento delle condizioni di vita e la libertà degli ebrei dell’Unione Sovietica; si oppose alla guerra del Vietnam. Contrastò l’eccessivo affievolimento dei legami degli ebrei americani con la tradizione giudaica, e s’impegnò nel movimento ecumenico, mantenendo proficui legami con gli ambienti cristiani e partecipando ai lavori preparatori del Concilio Vaticano II.

Informazioni biografiche liberamente tratte da wikipedia.org
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