La prima Serenata, Op. 11, scritta da Brahms tra il 1857 e il 1858, a 25 anni, l’avevamo già proposta parlando di serenate e notturni, soffermandoci sul meraviglioso attacco del tema iniziale, l’Allegro molto, introdotto da un tappeto di viole e violoncelli che sfociano in un’atmosfera idilliaca, paesana, molto vicina al motivo “pastorale” della sesta Sinfonia beethoveniana. E’ il suo primo lavoro sinfonico, con la felice distensione melodica di tutto il primo movimento, le sottolineature timbriche di clarinetti, corni e fagotti, dunque le colorazioni umbratili che sempre accompagneranno il profondo sentire interiore del compositore di Amburgo.
La seconda Serenata, Op. 16, accentua queste scelte strumentali, e con esse possiamo seguire l’uomo Brahms, comprendere il suo percorso, le sue dinamiche psicologiche, il suo modo d’intendere la vita. Agli ardori degli anni più freschi dell’esistenza il musicista inizia a opporre il controllo di se stesso, la disciplina interiore, la stessa che opporrà, nel rigore della forma musicale, a quelle che lui giudica le avventure armoniche degli orizzonti wagneriani. In una lettera a Clara Schumann del 10 ottobre 1857 scrive: «Le passioni non sono connaturali all’uomo. Sono sempre eccezione o anomalia. La persona in cui esse eccedono rispetto alla giusta misura dev’essere considerata malata e deve ricevere cure mediche per preservare vita e salute. Il vero uomo ideale è tranquillo nella gioia e tranquillo nel dolore. Le passioni devono passare presto oppure bisogna reprimerle».
A noi interessa la capacità di mettere in musica queste emozioni, il modo in cui la sua pagina orchestrale, in quanto arte, dunque capace di guardare lontano e superare il tempo, può ancora oggi specchiarsi nelle nostre sofferenze e inquietudini, colorando nell’ascolto la nostra vita, come ha colorato la sua nell’atto dello scrivere sul pentagramma. E allora scopriamo, da un’analisi strutturale attenta come quella del compositore Giacomo Manzoni, che questa seconda Serenata «è ancora più della prima caratteristica per il colore scuro degli effetti orchestrali. Anche qui Brahms si serve di un’orchestra da camera, ed è sintomatico osservare che egli rinuncia ai violini, così che la parte più “acuta” degli archi è affidata alle viole, con il loro colore velato, incapace di svettare luminosamente imponendosi agli altri strumenti che costituiscono l’orchestra».
Dunque, una scelta di oscurare il timbro complessivo della musica, come mettere una tenda davanti al sole per non essere invasi dalla luce. Il risultato però è magnifico, perché più che una pagina che sottolinei una sorta di pessimismo leopardiano, è una musica che nobilita uno stato d’animo, partendo magari da un diffuso sentimento di dolore per trasformarlo in slancio di riscatto.
Il tema del primo tempo, Allegro moderato, è dunque affidato alla mezza tinta scura dei clarinetti e dei fagotti. Dopo il secondo movimento, Scherzo, arriva il punto culminante, l’Adagio non troppo, una parentesi di conciliante serenità, distesa su una trama orchestrale dolcissima, con grandiosi crescendo espressivi che ritroveremo nelle Sinfonie più celebrate di Brahms, e con ampia varietà di idee melodiche e sfumature nella tavolozza dei timbri orchestrali.
Nonostante la No. 1 sia più immediatamente godibile nelle intuizioni melodiche, Brahms mostrò sempre una predilezione per la sua seconda prova, forse perché più intimistica, più capace di colorare i suoi paesaggi interiori. Mentre la stava trascrivendo per due pianoforti scrisse all’amico Joachim: «La mia Serenata No, 2 è un pezzo delizioso. Raramente ho scritto musica con tanto piacere». E a Clara Schumann: «Che bello creare con vigore rinnovato! Ora trovo molto gusto nelle mie cose. Credo veramente, cara Clara, di crescere». Un Brahms che prende via via consapevolezza della sua bravura, della sua capacità di indicare, soprattutto con i timbri caldi e bruniti, il suo sguardo sulla vita, le sue malinconie.
Ciò che davvero stupisce in questo lavoro è il gusto per l’impasto della strumentazione, caratterizzato dai toni più morbidi e scuri, per le sonorità più vicine all’introspezione (soprattutto nel terzo movimento, meraviglioso, con una rassegnazione quasi mozartiana), senza i violini, le trombe o i timpani: un impasto dove le suggestioni più acute sono affidate ai flauti, e dove la scena è interamente lasciata alle viole, ai fagotti, ai clarinetti, che regalano alla musica toni nostalgici, bruniti, a tratti pensosi e raccolti.
Buon ascolto.
Per approfondire l'ascolto
Serenades Nos 1 & 2
The Philadelphia Orchestra; Wolfgang Sawallisch, direttore (The Philhadelphia Orchestra, disponibile anche su Apple Music e Google Play Music)
2) Johannes Brahms
Serenades Nos 1 & 2
Gewandhausorchester; Riccardo Chailly, direttore (Decca, disponibile anche su Apple Music e Google Play Music)
3) Johannes Brahms
Simphony No. 3 – Serenade No. 1
Belgian Radio and Television Philharmonic Orchestra; Alexander Rahbari, direttore (Naxos, disponibile anche su Apple Music e Google Play Music)