In realtà, i Trii per pianoforte di Schubert sono due, entrambi pagine di bellezza assoluta. Quello che abbiamo scelto, D. 920, è il secondo, la cui storia precede e intreccia quella più travagliata dell’Op. 99, che risulterà precedente come numerazione di catalogo (D. 898). Ma si può dire che le composizioni nascono negli stessi mesi e, come ha scritto il musicologo Sergio Sablich, «in un periodo di vera passione da parte di Schubert per il genere cameristico più nobile, basti pensare ai Quartetti e al Quintetto per archi, e di grandi speranze rivolte al futuro, rafforzate da una nuova consapevolezza di sé, da un orgoglio mai così chiaramente sentito prima», anche se il compositore morirà esattamente l’anno dopo, nel novembre 1828. Ed è proprio questa “consapevolezza di sé” – delle proprie qualità di musicista, della forza emotiva capace di travolgere tutto e tutti, anche un debilitante stato di salute – che emerge da questa composizione, iniziata quasi con un alone di mistero, di cupezza, a tempo di marcia (forse la “marcia” di Schubert contro la malattia e le avversità), ma con coordinate lasciate nell’indeterminatezza, senza ormeggi precisi nel discorso musicale, che però poi travolgono l’ascoltatore e il pubblico (come accadde 189 anni fa al Musikverein) con crescendo maestosi, una ricca tavolozza timbrica e slanci lirici tenerissimi. E’ interessante, a questo proposito, leggere la lettera che il compositore stesso scrive all’editore Probst di Lipsia, con precise prescrizioni esecutive: «Illustrissimo Signore, Le invio il Trio richiesto, sebbene mi sembrasse inteso che il prezzo di 60 fiorini si riferisse a un quaderno di Lieder o di pezzi per pianoforte e non a un Trio, per il quale è necessario un lavoro sei volte superiore… Faccia eseguire il Trio per la prima volta da gente all’altezza...». Aggiungendo più avanti: «L’opera non è dedicata a nessuno, se non a chi l’apprezzerà. Sarà la dedica più proficua».
I tre musicisti di questo splendido video girato con qualità e tecnica cinematografica – i membri del Vienna Piano Trio, specializzato nelle opere della Prima scuola di Vienna (Mozart, Haydn, Beethoven), della Seconda scuola di Vienna (Schoenberg, Berg, Webern), oltre ai capolavori di Schubert e Brahms per pianoforte, violino e violoncello – sono sicuramente all’altezza per intensità dinamica e maestria strumentale. Il movimento proposto da YouTube è il secondo, che percorre, come dicevamo, il film “Barry Lyndon”. Ma l’incanto è assicurato già dal primo movimento, Allegro, che propone subito, con l’intero organico all’unisono, un tema vigoroso e vibrante. All’inizio è molto beethoveniano come forza interiore, poi via via si lascia andare alle inconfondibili raffinatezze cameristiche di Schubert, costruite su slanci lirici commoventi. Schumann ne era letteralmente innamorato, e di tutta la pagina, composta dai classici quattro movimenti, metteva in evidenza l’energia e la drammaticità: «Il primo movimento vibra di un furore represso e di un’appassionata nostalgia (...) L’Adagio è percorso da un sospiro che tradisce alla fine un’angoscia profonda (...)».
Ed è appunto questa angoscia – la tensione indeterminata di cui parlavamo prima, non si sa se tristezza o semplice introspezione sul proprio destino – che plasma interamente l’Andante con moto, celeberrimo, un frammento che davvero fa incontrare Schubert e poi non lo si dimentica più. La tonalità è un do minore, “fortissima”, efficacissima, nel dipingere il ripiegarsi della malinconia, perché dietro c’è una storia che arriva da lontano: Schubert s’ispira per il tema a un canto popolare svedese – “Vedi, il sole declina” – una melodia carica di mestizia, che aveva ascoltato dal musicista Isak Berg, durante un concerto a Vienna in casa di amici. “Il sole declina”, quindi addio alla luce, che nel grande Nord dei Paesi scandinavi va sempre via prestissimo, troppo presto, e ritorna tardi, troppo tardi, generando depressioni, malesseri, inquietudini.
Schubert ne coglie l’essenza e la sublima cameristicamente. Il tema vero e proprio è delineato dalla voce scura del violoncello, per essere poi ripreso dal pianoforte, accompagnato dai fraseggi ribattuti dei due archi. E’ ancora lo studioso Sergio Sablich a descriverne bene i contorni: «Se lo spunto è popolare, l’oscillazione tra modo maggiore e modo minore che pervade la melodia sembra quasi fatta per Schubert, se non nata da lui. E ancor più inquietante è ciò che ne deriva: un accompagnamento in forma di marcia che dà alla melodia un andamento sinistro e un colore cupo, dalla intensità dolorosa e ossessiva, esplodendo in una grandiosa Ballata di terribile violenza emotiva».
Avviene la prima volta al minuto 3:03 del nostro video; e poi, di nuovo, con ancora più energia liberatoria, a partire dal minuto 4:34: emerge con gradualità, come da un’oscura fonte di energia, un episodio di tagliente impeto espressivo. Qui i tre musicisti del Vienna Piano Trio sono davvero magici, riuscendo a restituirci la tensione interiore di Schubert unita a un controllo del suono impressionante. Un’interpretazione che può stare, senza paura di sfigurare, accanto a quella di due formazioni leggendarie: il Beaux Arts Trio e l’Istomin-Stern-Rose Trio.
Buon ascolto.
Per approfondire l'ascolto
Eugene Istomin, pianoforte; Isaac Stern, violino; Leonard Rose, violoncello (Sony Classical, disponibile anche su Apple Music e Google Play Music)
2) Franz Schubert
The Piano Trios Op. 99 e Op. 100
Beaux Arts Trio (Philips, disponibile anche su Apple Music e Google Play Music)
3) Schubert/Debussy/Milhaud
Quartetto Italiano (Urania Produzioni, disponibile anche su Apple Music e Google Play Music)