Siamo convinti che abbia ragione questo internauta “classico” di YouTube, che si fa chiamare misteriosamente “kaioxigen” – peraltro autore di un mini blog che si apre con la raffinata “Gnossienne” N. 5 di Erik Satie – quando ascoltando (e guardando) il duo dell’inglese Julian Bream e dell’australiano John Williams commenta: «Questi due lo fanno sembrare un pezzo scritto per chitarra». Sì, perché così non è. Il francese Claude Debussy – considerato dagli storici il padre della musica moderna, per avere accompagnato l’arte dei suoni dagli epigoni del post-romanticismo all’alba della dodecafonia (quando Debussy muore, Arnold Schoenberg ha 44 anni) – aveva composto questa pagina per pianoforte, come parte di un’intera opera, la “Suite Bergamasque”, della quale appunto il “Clair de lune” è il terzo movimento: pezzo tra i più celebri, certamente il più emozionante al primo ascolto, di recente utilizzato anche nella scena finale del film “Ocean’s Eleven” di Steven Soderbergh, e in una sequenza del film “Twilight”.
Si tratta di un’opera giovanile di Debussy, messa sul pentagramma nel 1891, a 29 anni, e venduta per 200 franchi all’editore Chaudens, mentre il compositore si guadagnava da vivere suonando il pianoforte e scrivendo mélodies, come il collega Gabriel Fauré, all’epoca già famoso. È in forma di “suite”, una particolare alternanza di danze nata musicalmente nel Cinquecento ed esaltata da Bach nella prima metà del Settecento (con violoncello, violino, liuto e persino con l’orchestra), però dimenticata durante il classicismo e il romanticismo.
Debussy rispolvera la suite forse per superare i limiti della “forma sonata” pianistica (cioè, in sintesi, l’organizzazione delle idee musicali in “esposizione”, “sviluppo” e “ripresa”) portata alla perfezione da Beethoven, ma che il musicista francese sentiva come una costrizione alla libertà espressiva, un modo di scrivere anacronistico, in questo senso allontanandosi anche dal rigore compositivo di Johannes Brahms, che della “forma” aveva fatto la propria disciplina interiore e musicale, forse per difendersi dalle malinconie infinite, da quelle timidezze che non gli permisero mai d’essere libero sino in fondo, anche nelle relazioni interpersonali, e di avere una moglie, una compagna di vita.
Non fu certo questo il problema di Claude Debussy che, anzi, nell’aprile del 1905, a causa di una relazione clandestina in patria, fu costretto a una rocambolesca fuga in Inghilterra, sull’isola di Jersey. Insomma, libertà come concezione dell’esistenza e mano libera nel trattare i materiali sonori. Come hanno scritto gli autori di un sito dedicato al compositore francese, «le rigide regole della musica classica dell’epoca andavano strette al fantasioso Debussy... E non mancarono le occasioni nelle quali attaccò apertamente l’accademismo del tempo, perché impediva alla musica di manifestare la sua essenza più pura e profonda».
Lo stesso Debussy spiega in modo eloquente: «La musica è una matematica misteriosa i cui elementi partecipano dell’Infinito. Essa è responsabile dei movimenti delle acque, del gioco delle curve descritte dalle brezze mutevoli; niente è più musicale di un tramonto. Per chi sa guardare con emozione, la più bella lezione di “sviluppo”, scritta in quel libro letto non abbastanza assiduamente dai musicisti, è la Natura».
Natura come fonte d’ispirazione, precisano gli autori del sito: «Avvicinandosi alla sua foresta di simboli, guardandola con occhi semplici, sciolta dalle regole artificiose della metrica del tempo, Debussy entra a far parte di una nuova corrente artistica che, per quanto riguarda la musica, si accosterà al suo nome per arrivare intatta sino ai nostri giorni, l’impressionismo».
E dalle impressioni che diventano suoni, deriva lo stile del compositore francese: essenziale, diretto, trasparente, stringato, privo di pomposità. Nello stile del tempo, Debussy punta all’aforisma musicale, in una ricerca continua d’innovazione. Una poetica fatta di “colori”, di effetti timbrici inaspettati, di combinazioni armoniche ardite, di dissonanze sospese, di sonorità rarefatte, di timbri mutevoli, di emozioni esaltate dal suono in quanto tale, che occorre rendere pianisticamente attraverso la maestria del “tocco”. E infatti ancora oggi maestro indiscusso delle interpretazioni debussyane rimane il nostro Arturo Benedetti Michelangeli, che faceva del tocco l’essenza del suo pianismo, capace di esaltare attraverso le gradazioni del “colore” anche pezzi tutto sommato modesti, come la Sonata di Baldassarre Galuppi, che nelle sue mani diventa un capolavoro.
Dunque, se il “Clair de lune” è nato per pianoforte, perché proporvelo per chitarra, anzi per due chitarre? Intanto, per farvi scoprire il volto quasi sconosciuto di uno strumento che per molti è legato quasi esclusivamente alle tradizioni culturali e folcloriche del mondo iberico. Mentre le sei corde – che non hanno una propria letteratura originale di vaste dimensioni come il pianoforte, il violino, il flauto o il violoncello – dal primo Novecento si sono via via avvicinate, attraverso l’arte della trascrizione, prima a composizioni nate per il liuto, e poi al repertorio originale per altri strumenti. E proprio la sonorità della chitarra, le sue possibilità coloristiche e timbriche, sotto le dita di due maestri come Bream e Williams, sono capaci di trasmettere le atmosfere rarefatte e sospese che Debussy ha magnificamente calato nel “Clair de lune”. Ascoltato alla chitarra – prima ancora che sul pianoforte di Michelangeli, o di uno specialista francese come Jean-Yves Thibaudet – il brano comunica con più suggestioni l’idea pianistica dell’impressionismo, grazie all’immediata potenza delle corde nelle coloriture timbriche. L’immagine notturna del brano, la luce della luna, la sua leggerezza poetica (Debussy aveva preso spunto dai versi di Paul Verlaine), la straordinaria forza evocativa, sono esaltate dal tocco chitarristico, dalla varietà di sfumature rese possibili dalle caratteristiche dello strumento.
Per la verità, avremmo voluto farvi ascoltare (e vedere!) un altro duo chitarristico che sul “Clair de lune” rimane irraggiungibile: quello formato da Ida Presti e Alexander Lagoya, marito e moglie, entrambi scomparsi, dove il vero genio interpretativo era lei. Non è stato possibile perché su YouTube c’è solo l’immagine fissa di un dipinto. Per trovarlo è però sufficiente scrivere “Presti-Lagoya”. Ascoltatelo dopo aver visto il video di Bream e Williams: noterete come le impressioni musicali siano ancora più intense, le sensazioni che nascono dai suoni più pregnanti. Il senso dei tempi, le pause, i silenzi, la bellezza del “tocco”, la carica impressionistica ne fanno un’interpretazione capace di stare al passo con l’originale per pianoforte. E forse di superarla. Un altro appassionato internauta ha lasciato un commento sotto la perla del duo Presti-Lagoya: «Debussy sarebbe felice di sentire questo». Non ci sono dubbi.
Buon ascolto.
Per approfondire l'ascolto
Clair de lune and other piano favorites
Francois-Joel Thiollier, pianoforte (Naxos, disponibile anche su iTunes)
2) Claude Debussy
Complete works for solo piano
Jean-Yves Thibaudet, pianoforte (Decca)
3) Claude Debussy
Préludes Books I & II
Arturo Benedetti Michelangeli (Deutsche Grammophon, disponibile anche su iTunes)