EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Attenzione all'individuo, sola arma contro il male

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
21/07/2010

Tratto da:
Xavier Thévenot, Avanza su acque profonde!, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI), 2001, p. 49-54

Guida alla lettura

«Gesù era un individualista»: interpretata secondo il senso corrente di questa parola, l’affermazione di Emilianos Timiadis – metropolita ortodosso tra i più influenti del XX secolo – suona sorprendente. Letta nel suo corretto significato, illumina invece una delle caratteristiche più importanti della figura di Cristo e definisce un criterio fondamentale per il nostro agire etico. L’individualismo di Gesù, infatti, non era egoismo, non era ambizione a realizzarsi senza ed eventualmente contro gli altri, ma cura premurosa per ogni creatura, rifiuto degli stereotipi (i giusti, i peccatori), attenzione alla sofferenza concreta delle singole persone piuttosto che al “male” in quanto tale. Un individualismo che contribuì in misura determinante all’insanabile conflitto con le autorità religiose del tempo, perché nella sua visione neppure la Legge mosaica veniva prima degli esseri umani, ma era al servizio della loro vita.
Una mentalità di questo tipo può trasmettere a tutti noi, laici e credenti, due importanti insegnamenti etici. Primo: i concetti astratti come “male” e “bene” possono essere molto pericolosi, perché non di rado prestano il fianco a letture ideologiche che perdono di vista il male e il bene concreti della vita quotidiana. Secondo: il male del mondo si lenisce innanzitutto guardando ai casi particolari di sofferenza, curando il singolo malato, il singolo orfano, la singola vittima della violenza e dell’abuso, senza cedimenti al delirio di onnipotenza o al disimpegno fatalistico. Dice il Talmud: «Chi salva una vita salva il mondo intero».
Dedichiamo il brano di Timiadis a tutti coloro che ogni giorno lottano nell’umiltà e nel nascondimento per alleviare il dolore che scorgono intorno a sé.
Facciamo parte di una generazione in cui il collettivismo ha tutti i diritti e l’individualismo è uno dei termini più impopolari. Agli occhi degli uomini è importante la vita collettiva e non l’elemento umano. Si parla di “sistema economico” e di “ordine sociale e politico”, ma poco o punto dell’individuo. «Salvare un essere – afferma Jefferson – sembra un’occupazione insignificante e meschina; quel che conta come il solo dovere degno degli sforzi dell’uomo è cambiare le strutture della società, la composizione del mondo».
Nel Vangelo troviamo, invece, certe parole che ci affascinano per il sorprendente disaccordo con i tempi in cui viviamo oggi: «Così il Padre vostro, che è nei cieli, non vuole che si perda neppure uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14). «Vi sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si pente» (Lc 15,7). «Se un uomo ha cento pecore, ed una di esse si perde, non lascia egli forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella smarrita?» (Mt 18, 2).
Gesù era certamente un individualista. Mentre il suo scopo ultimo era un ordine sociale nuovo, il Regno di Dio sulla terra, questa speranza collettiva era radicata nella preoccupazione continua del valore infinito e della possibilità dell’individuo. (...) Non lasciava mai che un’idea astratta quale la religione, la società, la Chiesa o il Sabato l’allontanasse dalla sua chiara visione di ciò che avveniva alle persone prese ad una ad una. Il Sabato, per esempio, era una delle istituzioni più sacre del popolo. Osservarlo era un obbligo di pietà (...) Ma quando Gesù vede che il Sabato ostacola l’aiuto ad un uomo malato, s’indigna e lo rifiuta con veemenza: «Il Sabato è stato creato per l’uomo e non l’uomo per il Sabato». (...) Trattare le persone in quanto tali e mai come membri di una classe, evitando ogni pregiudizio, è il criterio della nostra vita collettiva.

Biografia

Emilianos Timiadis nasce ad Atene nel 1916. Formatosi ad Haiki (Grecia) e ad Oxford, viene ordinato presbitero nel 1942 e vescovo nel 1960. Opera a lungo come rappresentante permanente del Patriarca di Costantinopoli Athenagoras al Consiglio Ecumenico delle Chiese a Ginevra, osservatore al Concilio Vaticano II, e membro di numerose commissioni di dialogo fra i cristiani. Nel 1965 viene nominato metropolita di Calabria e, nel 1977, di Silyvria (Grecia).
Unanimemente riconosciuto come uno dei protagonisti più attivi del movimento ecumenico, infaticabile tessitore di relazioni tra le chiese, nel 1995 sceglie di vivere come fratello della Comunità Monastica di Bose, dividendo il suo tempo fra il monastero e la diocesi di Eghion, in Grecia, ove muore nel 2008 per un tumore al pancreas e al fegato.
“Kalógheros” secondo la tradizione orientale, ossia anziano divenuto “bello” in virtù dei tanti volti a lungo amati, vero uomo spirituale (pneumatikós), era molto stimato anche nella Chiesa d’Occidente e dal mondo riformato per la vasta dottrina, l’umile saggezza e la pace profonda che andava oltre ogni divisione.
Un giorno scrive con semplicità: «È possibile che cattolici, ortodossi e protestanti vivano insieme. Questa è stata la mia ricerca e la mia preoccupazione durante tutta la mia vita, e a Bose posso continuare a vivere questa amicizia fraterna... C’è una comunione profonda già raggiunta: è quella che si vive là dove si condivide un’unica vita» (E. Timiadis, Chiamati alla libertà, Edizioni Qiqajon, 2004, p. 149-150).
Parole chiave di questo articolo
Sullo stesso argomento per pazienti

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Il dolore e la spiritualità

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter