Guida alla lettura
Una mentalità di questo tipo può trasmettere a tutti noi, laici e credenti, due importanti insegnamenti etici. Primo: i concetti astratti come “male” e “bene” possono essere molto pericolosi, perché non di rado prestano il fianco a letture ideologiche che perdono di vista il male e il bene concreti della vita quotidiana. Secondo: il male del mondo si lenisce innanzitutto guardando ai casi particolari di sofferenza, curando il singolo malato, il singolo orfano, la singola vittima della violenza e dell’abuso, senza cedimenti al delirio di onnipotenza o al disimpegno fatalistico. Dice il Talmud: «Chi salva una vita salva il mondo intero».
Dedichiamo il brano di Timiadis a tutti coloro che ogni giorno lottano nell’umiltà e nel nascondimento per alleviare il dolore che scorgono intorno a sé.
Nel Vangelo troviamo, invece, certe parole che ci affascinano per il sorprendente disaccordo con i tempi in cui viviamo oggi: «Così il Padre vostro, che è nei cieli, non vuole che si perda neppure uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14). «Vi sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si pente» (Lc 15,7). «Se un uomo ha cento pecore, ed una di esse si perde, non lascia egli forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella smarrita?» (Mt 18, 2).
Gesù era certamente un individualista. Mentre il suo scopo ultimo era un ordine sociale nuovo, il Regno di Dio sulla terra, questa speranza collettiva era radicata nella preoccupazione continua del valore infinito e della possibilità dell’individuo. (...) Non lasciava mai che un’idea astratta quale la religione, la società, la Chiesa o il Sabato l’allontanasse dalla sua chiara visione di ciò che avveniva alle persone prese ad una ad una. Il Sabato, per esempio, era una delle istituzioni più sacre del popolo. Osservarlo era un obbligo di pietà (...) Ma quando Gesù vede che il Sabato ostacola l’aiuto ad un uomo malato, s’indigna e lo rifiuta con veemenza: «Il Sabato è stato creato per l’uomo e non l’uomo per il Sabato». (...) Trattare le persone in quanto tali e mai come membri di una classe, evitando ogni pregiudizio, è il criterio della nostra vita collettiva.
Biografia
Unanimemente riconosciuto come uno dei protagonisti più attivi del movimento ecumenico, infaticabile tessitore di relazioni tra le chiese, nel 1995 sceglie di vivere come fratello della Comunità Monastica di Bose, dividendo il suo tempo fra il monastero e la diocesi di Eghion, in Grecia, ove muore nel 2008 per un tumore al pancreas e al fegato.
“Kalógheros” secondo la tradizione orientale, ossia anziano divenuto “bello” in virtù dei tanti volti a lungo amati, vero uomo spirituale (pneumatikós), era molto stimato anche nella Chiesa d’Occidente e dal mondo riformato per la vasta dottrina, l’umile saggezza e la pace profonda che andava oltre ogni divisione.
Un giorno scrive con semplicità: «È possibile che cattolici, ortodossi e protestanti vivano insieme. Questa è stata la mia ricerca e la mia preoccupazione durante tutta la mia vita, e a Bose posso continuare a vivere questa amicizia fraterna... C’è una comunione profonda già raggiunta: è quella che si vive là dove si condivide un’unica vita» (E. Timiadis, Chiamati alla libertà, Edizioni Qiqajon, 2004, p. 149-150).