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L'odore sfuggente del dolore

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20/09/2017

Tratto da:
Xulio Xabier López Valcárcel, O ulido da dor (A qué huele el dolor)
In: A melancolía dos corpos, Sociedade de Cultura Valle-Inclán, 2008

Guida alla lettura

Questa splendida lirica di Xulio Xabier López Valcárcel, poeta galiziano, affronta il tema del dolore da una prospettiva insolita: quella dell’odore con cui la sofferenza si annuncia, viene vissuta e si sedimenta nella memoria, contribuendo al cestire di quel male di vivere che tutti, prima o poi, sperimentiamo.
Il linguaggio è semplice ma ricchissimo di immagini: il dolore ha un odore come il freddo, la solitudine, la paura, la morte, come la stanchezza, la miseria e la fame; si nasconde e ci colpisce a tradimento, ma quando ci raggiunge lo riconosciamo subito, perché è «riconoscibile e insieme indecifrabile»; oscilla «sulle grucce della tristezza»; prospera nell’insonnia, nell’attesa senza fine e senza riscatto, nell’angoscia.
Valcárcel guarda con sapienza alla concretezza del dolore fisico e morale con versi che esprimono una vivissima compassione per gli uomini e le donne che, giorno dopo giorno, portano il peso della vita nel silenzio e, spesso, nell’invisibilità: la sua lirica è una carezza per le vittime della storia e una denuncia che fa appello alle nostre coscienze, perché – nella comune esperienza del male – sappiamo ritrovare le ragioni della solidarietà.
Il galiziano, o galego, è insieme con il castigliano la lingua ufficiale della Galizia. Molto diffuso fra la popolazione rurale più anziana, è insegnato a scuola ed è compreso dalla maggioranza delle persone che risiedono in questa regione. Nel basso medioevo, la lirica galego-portoghese espresse nell’area occidentale della penisola iberica i valori tematici e formali della poesia trobadorica provenzale, che in Italia trovò corrispondenza nella Scuola siciliana ai tempi di Federico II di Svevia. La lingua di queste antichissime composizioni venne coltivata anche al di fuori della Galizia da una moltitudine di poeti, fra i quali spicca Alfonso X el Sabio, autore delle Cantigas de Santa María.
Che odore ha il dolore?
Come il freddo, la solitudine, la paura
o la morte,
anche il dolore ha un odore.
Tante volte ho provato a decifrarlo
ma si nasconde, si diluisce,
si camuffa. Offre piste fasulle.
Ha qualcosa di canfora, di chiuso, di rancido,
qualcosa di narcotico,
potrebbe essere alcool, adrenalina o mercurio,
come potrebbe essere ammoniaca,
vertigine o nausea.
Porta stimmate di chiarezza ulcerata,
poggia senza essere visto sulle sedie
e oscilla osceno sulle grucce della tristezza.
Poiché esiste, odora; sì, il dolore odora
nelle occhiaie violacee, nei calici dell’insonnia
e nelle cicatrici paonazze dell’attesa
o dell’angoscia.
Odorano i corpi nel dolore,
odorano la febbre e l’ombra
come odorano la stanchezza, la miseria o la fame.
Odora il dolore e ci opprime
nella bocca uno spago,
una spugna nella gola,
quando riconosciamo nitido, pungente,
riconoscibile e insieme indecifrabile,
il suo aroma.

Versione originale in lingua galiziana
A que ole a dor….
Como o frío, a soidade, o medo
ou a morte,
ten tamén un ulido a dor.
Moitas veces tentei descifralo
pero escóndese, eslúese,
camúflase. Ofrece pistas falsas.
Ten algo de alcanfor, de pechado, rancio,
algo de narcótico,
poidese ser alcol, adrenalina ou mercurio,
como podería ser amoniaco
con ese regusto de vértigo e náusea.
Ten estigmas de ulcerada claridade,
descansa sen ser visto nas cadeiras
e pendura obsceno das perchas da tristeza.
Porque existe ole, si, a dor ole
nas olleiras violetas, nos vidrios do insomnio
e nas cárdenas cicatrices da espera ou da angustia.
Olen os corpos doridos,
ole a febre e a sombra
como olen a canseira, a miseria ou a fame.
Ole a dor e aprémenos
na boca un esparto,
unha esponxa a garganta,
cando percibimos nítido, punzante,
recoñecible e á vez indescifrable,
o seu ulido.

Versione in spagnolo a cura di Diana Varela Puñal
A qué huele el dolor...
Como el frío, la soledad, el miedo
o la muerte,
tiene también un olor el dolor.
Muchas veces intenté descifrarlo
pero se esconde, se diluye,
se camufla. Ofrece pistas falsas.
Tiene algo de alcanfor, de cerrado, rancio,
algo de narcótico,
pudiera ser alcohol, adrenalina o mercurio,
como podría ser amoníaco,
vértigo o náusea.
Trae estigmas de ulcerada claridad,
descansa sin ser visto en las sillas
y oscila obsceno en las perchas de la tristeza.
Porque existe, huele; sí, el dolor huele
en las ojeras violetas, en los vidrios del insomnio
y en las cárdenas cicatrices de la espera
o la angustia.
Huelen los cuerpos doloridos,
huele la fiebre y la sombra
como huelen el cansancio, la miseria o el hambre.
Huele el dolor y nos oprime
en la boca un esparto,
una esponja en la garganta,
cuando percibimos nítido, punzante,
reconocible y al mismo tiempo indescifrable,
su aroma.

Biografia

«Scrivo versi per aiutare a vivere, perché diventino energia vitale. La mia è una poetica facile da capire, da sentire propria. E’ una poesia segnata dallo sguardo proteso su chi vive attorno a me. Canto sentimenti universali come la bellezza, la morte, l’assenza, l’amore, la forza di ogni primavera».
Xulio Xabier López Valcárcel, spagnolo, nato a Lugo nel 1953, nella provincia autonoma della Galizia, ha una laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Santiago de Compostela e lavora come avvocato al tribunale di La Coruña: ma nel suo Paese è celebre soprattutto come autore di liriche. “Poeta de corazòn y de profesiòn procurador”, dice una recente intervista su un giornale iberico. Appartiene alla cosiddetta “Generazione poetica degli ottanta” e figura nelle più importanti antologie di poesia contemporanea. I suoi lavori sono stati tradotti in spagnolo, catalano, inglese, italiano, tedesco, russo e francese. E’ partner dell’Associazione dei critici letterari del suo Paese e tiene rubriche di divulgazione letteraria sul quotidiano El Ideal Gallego e sull’emittente Radio Coruña. Tra i suoi libri si ricordano Vigilia del giorno (1979), l’Assenza di Solana (1987), Rapporto di agosto (1993), La malinconia dei corpi (2008) e una selezione di poesie dei “mapuche” (popolo amerindo originario del Cile), Luna di gemme fredde (2009), tradotte nella sua lingua madre, il galiziano.
Di Xulio Valcárcel hanno scritto che «sottopone il testo a una purificazione costante. La sua poesia è nata con il desiderio di fare memoria con il materiale fragile della parola». Una poesia che nasce dalle tradizioni della Galizia, ma che indagando le emozioni comuni a tutti gli uomini si allarga a macchia d’olio e diventa globale, cosmopolita, interprete dell’umanità nella sua interezza.
E con questa idea di “lirica senza confini” è d’accordo lo stesso autore spagnolo-galiziano: «Si tratta di una poesia di intimità che va verso una voce più universale, più ecumenica, che nelle mie intenzioni guarda in particolare alle classi inferiori, ma non in senso politico o sociologico, ma nel senso che tra la gente più umile, quella che al mattino si accuccia pensosa sul tram andando al lavoro, nella sua tenerezza, nella sua ingenuità, si colgono i segni di un autentico umanesimo».
E così Valcárcel si propone di fare una poesia che rubi la parola ai lettori, come quando si dice «pensavo proprio questo, ma non trovavo le parole». Precisa ancora il poeta sul proprio blog: «Ho provato a cercare la parola nuda, sincera, risparmiando ogni artificio; a creare un clima di credibilità elegiaca… Con il mio gusto per i paesaggi interni, spazi desolati, enigmatici. Ho provato a fare una poesia a tema essenziale, valida per ogni tempo e luogo, e di portarmi sul lato oscuro della realtà, oltre le apparenze ingannevoli».
Un autore, come sostengono i critici spagnoli, «che ha il dono della parola esatta, che serve per porgere l’essenziale, ciò che conta veramente: la vita che accade ogni giorno. Xulio Valcárcel non decora, non fruga nelle parole del dizionario, non insegue metafore roboanti; al contrario, lascia i suoi versi puliti, liberi da ogni retorica inutile, pieni di emozioni, come acque autentiche e trasparenti di un torrente».
(A cura di Pino Pignatta)
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