Guida alla lettura
Le parole di Maram Al-Masri sulla sfuggente ineluttabilità del dolore riecheggiano con efficacia i versi di altri scrittori e scrittrici che abbiamo recentemente ospitato in questa rubrica. «L’odore del dolore si nasconde, si diluisce, si camuffa», denuncia Xulio López Valcárcel. E Montserrat Abelló i Soler dice: «C’è un tempo / difficile per tutti. / E ognuno ha / la sua ora penosa, / nella quale ogni azione / risulta / sterile e inutile». Emily Dickinson scrive: «C’è un vuoto nel dolore: / non si può ricordare / quando iniziò, se giorno / ne fu mai libero). Ed Attila József osserva amaramente: «Il dolore… / timidamente sguscia / di strada in strada, si stringe / ai muri delle case, sparisce in un portone. / Poi bussa. E ha una lettera per te».
Il messaggio profondo di questi artisti è che il dolore giunge per tutti, ma spesso non lo vediamo arrivare: si insinua nella nostra vita, a volte senza un vero perché, stravolgendo il colore dei nostri giorni. Nessuno ne è esente. E il massimo che possiamo chiedere a noi stessi non è che il dolore ci passi accanto senza farci violenza, ma che sappiamo trovare la forza di attraversarlo senza perdere la nostra umanità, mantenendo salde e feconde le nostre azioni e le nostre relazioni con le persone che amiamo.
Come mi ha riconosciuta?
Non avevo appuntato
una rosa rossa sul petto,
né avevo appuntamento con lui…
Cercavo solo di disfarmi
dell’ultima traccia
di un uomo andato via.
Biografia
Maram al-Masri, 55 anni, nasce a Latakia, in Siria. Studia a Damasco e a Londra. Si forma sui testi di Kahil Gibran, Tagore, Nazim Hikmet. Poi lascia il suo Paese, si trasferisce a Parigi, città nella quale vive dal 1982. Si sposa giovanissima, ma è una oppositrice del regime di Assad, al potere ancora oggi, ed è per questo che con il marito si rifugia nella capitale francese. Il matrimonio, tuttavia, non ha fortuna. Il marito l’abbandona e torna in Siria portando con sé il figlio, che la poetessa non vedrà più per tredici lunghi anni. E a Latakia, ancora una delle aree più tormentate del Paese mediorientale, vive ancora tutta la sua famiglia.
Dall’infanzia e dalla giovinezza in questi luoghi, e dalla drammatica esperienza di vedere il proprio Paese e la propria città al centro di una guerra sanguinosa, nascono alcuni versi che la poetessa raccoglie nel libro “Anime scalze”, pubblicato nel 2011. Maram Al-Masri lo dedica alle vittime di violenza, alle profughe, alle ragazze dimenticate e schiacciate dal dolore, qualsiasi ne sia l’origine: «La Siria per me… è una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro / violata / imprigionata / costretta a sposarsi. / La Siria per me / è l’umanità afflitta / è una bella donna che canta l’inno della libertà / ma le tagliano la gola. / E’ l’arcobaleno del popolo / che si staglierà dopo i fulmini e le tempeste».
Una poesia a tratti politica, di ribellione, di denuncia. Ma anche una fotografia lucida della realtà, quella esteriore, della guerra, e quella interiore, delle paure, degli abbandoni, delle separazioni, dei distacchi brutali, come quello di una madre dal figlio. Il suo esordio in letteratura avviene a Damasco, nel 1984, nonostante viva già in Francia, con il libro “Ti minaccio con una colomba bianca”, evidente segno della sua volontà di rispondere con la non violenza delle parole e delle liriche agli autori degli orrori del suo passato e del suo presente. Poi, dopo un lungo periodo di silenzio, 13 anni – probabilmente quelli coincidenti con il vuoto e il dolore causati dalla lontananze del figlio – torna alla poesia nel 1997, con la seconda raccolta, “Ciliegie rosse su piastrelle bianche”, pubblicato sempre nel mondo arabo, ma a Tunisi. Segue il libro di versi “Ti guardo”, fatto uscire questa volta in Libano, a Beirut, nel 2000. Poi la quarta raccolta di poesie, “Il ritorno di Wallada”, dato alle stampe in Europa, a Granada, Spagna, nel 2007.
Dunque, una poetessa che fa volare i suoi versi dall’Europa al Medio Oriente, dalla Francia alla Siria, dal Libano alle coste del Maghreb. Molti sono state tradotti in spagnolo, francese, inglese, tedesco, italiano, turco. La sua scrittura, è stato detto, è una ferita che sanguina. Una vita impastata di nostalgie, libertà, terrori, rivendicazioni femminili, autodeterminazioni, lotta per i diritti umani, gioia della scrittura, ma anche isolamento ed eremi esistenziali. Graffia con il suo solito stile senza fronzoli in “Ciliegie rosse su piastrelle bianche”: «Bussano. / Chi sarà? / Nascondo la polvere della mia solitudine sotto il tappeto, / aggiusto il mio sorriso, e apro».
(A cura di Pino Pignatta)