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L'eclissi della speranza

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05/04/2017

Tratto da:
Idea Vilariño, Poesía completa, Editorial Lumen, 2008

Guida alla lettura

Per comprendere a fondo l’immenso pessimismo di questa lirica di Idea Vilariño bisogna tenere presenti le due esperienze decisive della sua vita: la malattia patita durante l’infanzia, e il lungo esilio civile e professionale subìto negli anni Settanta, durante la dittatura in Uruguay.
Dal punto di vista retorico, il pensiero si articola in quattro negazioni senza appello (non c’è alcuna speranza, non bisogna illudersi, non ci sarà, nemmeno ci sarà) e in due affermazioni altrettanto forti (tutto il dolore invaderà, bisognerà andare avanti). Intorno a questi snodi le immagini si susseguono come onde calme, senza acuti, ma implacabili come una litania: il dolore non si calmerà, il mondo non si organizzerà, il caos non finirà, non ci saranno un finale felice o giorni nuovi, continueremo a vivere come condannati, senza gioia e senza lacrime.
Anche sotto il profilo metrico e stilistico, la lirica è un piccolo capolavoro. La brevità dei versi sottolinea con efficacia l’eclisse della speranza, il respiro corto dell’assenza di orizzonti. Le parole semplici parlano a tutti, perché tutti sappiamo il dolore. Si avverte una musicalità secca, come un valzer triste o una marcia minacciosa. Fino all’acme emotiva, al culmine del canto: «Tutto il dolore / invaderà di nuovo / e non ci sarà cosa libera / dalla sua dura macchia». Non un dolore, ma tutto il dolore ci ghermirà e porterà via le nostre speranze. E nulla si salverà, nulla resterà esente dalla perdita e dal cordoglio.
Ci sono rimedi a un’angoscia così vasta? Idea Vilariño lottò per la giustizia e la cultura, insegnò, e poté dedicare gli ultimi giorni della sua vita alla scrittura e agli amati studi, ma mai dimenticando i vibranti anni della giovinezza. Dunque, nemmeno per lei la vita fu invasa da un dolore totalizzante: qualche sprazzo di luce restò. Più piccoli, più umili, cerchiamo di seguirne l’esempio, ricordando le parole con cui Italo Calvino conclude “Le città invisibili”: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Non c’è alcuna speranza
che tutto si sistemi
che si calmi il dolore
e il mondo si organizzi.
Non bisogna illudersi che
la vita ordini le sue
caotiche esigenze
i ciechi gesti suoi.
Non ci sarà un finale felice
né un bacio interminabile
assorto abbandonato
che preluda ad altri giorni.
Nemmeno ci sarà una fresca
mattina profumata
di giovane primavera
per cominciare allegri.
Anzi tutto il dolore
invaderà di nuovo
e non ci sarà cosa libera
dalla sua dura macchia.
Bisognerà andare avanti
continuare a respirare
sopportare la luce
e maledire il sonno
cucinare senza fede
fornicare senza passione
masticare senza voglia
per sempre senza lacrime.

No hay ninguna esperanza
de que todo se arregle
de que ceda el dolor
y el mundo se organice.
No hay que confiar en que
la vida ordene sus
caóticas instancias
sus ademanes ciegos.
No habrá un final feliz
ni un beso interminable
absorto y entregado
que preludie otros días.
Tampoco habrá una fresca
mañana perfumada
de joven primavera
para empezar alegres.
Más bien todo el dolor
invadirá de nuevo
y no habrá cosa libre
de su mácula dura.
Habrá que continuar
que seguir, respirando
que soportar la luz
y maldecir el sueño
que cocinar sin fe
fornicar sin pasión
masticar con desgano
para siempre sin lágrimas.

Biografia

Di tutti gli intellettuali e letterati latino-americani, anche quelli più conosciuti in Europa come il cileno Pablo Neruda, la poetessa uruguaiana Idea Vilariño è quella che più incarna il pensiero della morte, della disillusione, di una dolente disperazione: sentimenti dovuti a un intreccio incendiario di solitudine, sofferenza personale, tensione politica, abbandono. Basta leggere, oltre a quella che vi proponiamo, un’altra poesia breve, che mostra lo stesso languore pessimistico del “Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale:
«Voy a mascar arena / hasta quedar sin muelas / voy a beberme el mar / para acabar mi estómago / voy a mirar el sol / y el viento hasta cegarme. / Para qué quiero ojos poderosos / y ganas y apetitos / para qué quiero vida vida vida / tensa borracha ardiente loca vida, / para qué».
«Voglio masticare sabbia / fino a consumarmi i denti / voglio bere il mare / per rovinarmi lo stomaco / voglio fissare il sole / e il vento fino a diventare cieca. / A cosa mi servono occhi potenti / e voglie e appetiti / che me ne faccio della vita vita vita / ubriaca ardente pazza vita, / che me ne faccio».
Le sue poesie sono tra quelle che i musicisti uruguaiani hanno armonizzato con più successo. Idea Vilariño nasce a Montevideo il 18 agosto 1920 in una famiglia della classe media ma amante della cultura, dove sono di casa musica e letteratura. Il padre, Leandro, anarchico, è un poeta dilettante, le cui opere non sono state mai pubblicate. La madre, Josefina Romani, coltiva una passione smisurata per gli scrittori europei e per la musica, e incoraggia i figli a suonare uno strumento. Idea sceglie il violino, ma poi smette per dedicarsi alla poesia. Tuttavia, come compositrice, è ricordata per quattro canzoni che ancora oggi si eseguono nei repertori della musica popolare uruguaiana.
Cresciuta sui capolavori sudamericani e del vecchio Continente, Idea diventa professoressa di letteratura nelle scuole secondarie dal 1952 fino al colpo di Stato del 1973. Scrive liriche sin dalla giovinezza: le prime poesie con una certa profondità nascono tra i 17 e i 21 anni. Poi emerge a livello internazionale e vince diversi premi. Il suo lavoro è tradotto in italiano, inglese, tedesco, portoghese. Proprio di recente, lo scorso 8 marzo, in occasione della Festa della Donna, nell’Aula Magna dell’Università di Firenze, è stata organizzata una conferenza a lei dedicata.
Le sue poesie sono segnate da un’esperienza intensa e dolorosa. Innanzitutto, per i problemi di salute: buona parte dell’infanzia è tormentata da lunghe malattie, alcune delle quali la costringono a letto, immobile, per mesi. Ma la sua è una poetica dolente anche per la passione consumata nel combattere la dittatura militare nel suo Paese e, più in generale, in tutto il Sud America. Negli anni Cinquanta inizia la battaglia politica che l’avvicina ai gruppi più radicali della sinistra. Nel 1954 soggiorna in Europa: Svezia, Francia, Spagna. Dello stesso anno è la prima poesia scritta in occasione dell’invasione del Guatemala. Una poetica militante che si espande anche per gli echi della guerra del Vietnam e, negli anni Settanta, per il clima politico oppressivo in Uruguay, che sfocia nella dittatura, durata 13 anni. Si oppone nettamente e per questo trascorre gli anni del regime da emarginata, come persona e come intellettuale, perdendo il lavoro. E’ qui che emergono la pietas nei confronti dei “pobres del mundo”, dei disperati, e l’aspirazione a renderlo più giusto. Si fanno strada liriche di denuncia dei soprusi inflitti ai dissidenti. Ma è una disperazione che si allarga anche agli affetti, alle relazioni, agli amori, con uno sguardo sul mondo segnato da ripiegamento interiore e pessimismo.
Una volta ristabilita la democrazia in Uruguay, torna all’insegnamento: nel 1985 le è assegnata la cattedra di Letteratura Uruguayana all’Università di Montevideo. Tuttavia, dopo tre anni dà le dimissioni: non riesce a riprendere una vita normale, delusa dall’ambiente e straziata dal passato che ha insanguinato il Paese. Nel 1987 la sua opera viene finalmente premiata con il più importante riconoscimento letterario dell’Uruguay, il Premio Municipal de Literatura.
Negli ultimi due anni di vita la sua salute peggiora, e la poetessa Idea Vilariño dev’essere accudita. Sceglie una vita ritirata, divisa fra la città e la casa sul mare, in una località di villeggiatura, Las Toscas, dedicata allo studio, alla scrittura e a rare amicizie.
Muore a Montevideo il 28 aprile 2009, in seguito alle complicazioni di un intervento chirurgico.
(A cura di Pino Pignatta)
Idea Vilariño
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