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L'odio, efficiente sentimento del nostro tempo

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07/02/2018

Tratto da:
Wisława Szymborska, La gioia di scrivere, Adelphi, 2009

Guida alla lettura

Questa vibrante lirica di Wisława Szymborska fa parte della raccolta “La fine e l’inizio” e descrive con lucide e sconvolgenti parole l’azione velenosa dell’odio, il sentimento che più di ogni altro semina dolore e disperazione nelle nostre vite.
L’odio è efficiente. E’ la più antica delle pulsioni umane, e al tempo stesso la più giovane, la più energica e piena di vita. Non ha bisogno di cause esterne, perché genera da se stesso i pretesti che lo scatenano: la religione, la politica, persino la giustizia non sono che motivazioni provvisorie, perché poi «corre tutto solo». Al suo confronto, gli altri sentimenti – specialmente quelli positivi – sono «malaticci e fiacchi»: c’è una sorta di maledizione primigenia che spinge gli umani a compattarsi soprattutto in nome dell’odio, mentre altrettanto non riescono a fare la fratellanza, la compassione, il dubbio. Ha una capacità sottile e perversa di creare bellezza: i bagliori dei bombardamenti sono affascinanti, nel loro genere. Genera contrasti di grande efficacia: fra lo strepito della battaglia e il silenzio della morte, fra il bianco innocente della neve e il rosso del sangue dei morti. Ma è l’ultima strofa che contiene la verità più amara: alacre come nessuno, l’odio è paziente, sa attendere il proprio turno, e soprattutto – lui solo in questo mondo attraversato dal male – sa davvero guardare al futuro. E’ una delle riflessioni più inquietanti che la poesia ci abbia consegnato nel corso dei secoli.
Scritta nel Novecento, segnato da due conflitti mondiali e innumerevoli guerre locali, questa lirica è ancora oggi di triste attualità: il nuovo millennio non ha cambiato le nostre attitudini e la tecnologia, semmai, le sta amplificando rendendole più radicali e mortifere.
Di fronte a un siffatto scenario, non dobbiamo concederci facili illusioni. Non esiste possibilità di una risposta collettiva allo strapotere dell’odio, perché è proprio grazie alla nostra capacità di ridurci a semplici numeri nella massa, granelli di sabbia confusi fra gli altri, che esso riesce a dominare le nostre vite, generazione dopo generazione. Solo individualmente, con un esercizio quotidiano e faticoso di discernimento e resistenza, possiamo cercare di dire il nostro “no” alla marea montante dell’odio e creare, nel piccolo delle nostre vite, le condizioni per un futuro segnato dal bene.
Guardate com’è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l’odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.

Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L’insonnia non lo indebolisce ma lo rafforza.

Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via
Patria o no –
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all’inizio.
Poi corre tutto solo.
L’odio. L’odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.

Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi.
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
giunta prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.

Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?

Diciamoci la verità:
sa creare bellezza.
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera.
Magnifiche le nubi degli scoppi nell’alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l’umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.

E’ un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio,
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.

In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro
– lui solo.

Biografia

Wisława Szymborska nasce a Kórnik, in Polonia, il 2 luglio 1923. Nel 1929 si trasferisce con la famiglia a Cracovia, città alla quale rimarrà sempre legata; nel 1930 inizia a frequentare la scuola elementare. Nel 1936 muore il padre Wincenty. Dal 1941 al 1943 lavora come dipendente delle ferrovie e riesce a evitare la deportazione in Germania. In questo periodo inizia la sua carriera di artista, illustrando il libro di testo “First steps in English”, di Jan Stanisławski. Comincia anche a scrivere racconti e, più raramente, poesie. La sua prima lirica, “Cerco una parola”, viene pubblicata nel 1945 su un quotidiano.
Fra il 1945 il 1947 studia lettere e sociologia all’Università Jagellonica, ma non terminerà gli studi. Più tardi motiverà l’interruzione in questo modo: «Nel 1947 la sociologia diventò mortalmente noiosa: si doveva spiegare tutto con il marxismo. Ho lasciato l’università perché dovevo guadagnarmi da vivere». Lavora come segretaria di redazione di un quindicinale dedicato all’istruzione. 
Nel 1948 sposa Adam Włodek, dal quale divorzierà nel 1954. Nel 1967 si legherà al poeta Kornel Filipowicz, insigne prosatore.
Nel 1952 esce “Per questo viviamo”, il primo volumetto di poesie, grazie al quale viene accolta nell’Associazione degli scrittori polacchi. Aderisce inoltre al Partito Operaio Unificato Polacco. Nel 1953 prende il posto di Adam Włodek come direttore della sezione poesia nel settimanale letterario di Cracovia “Życie Literackie” (Vita letteraria).
Nel 1954 esce il volumetto di liriche “Domande poste a me stessa”. Compie un viaggio in Bulgaria nell’ambito di uno scambio culturale e riceve il Premio della Città di Cracovia. Il vero successo arriva con la terza raccolta poetica, “Appello allo Yeti”, del 1957. Nel corso dello stesso anno si reca a Parigi con una borsa di studio, e durante il viaggio entra in contatto con la rivista “Kultura”, fondata da fuoriusciti polacchi, che negli anni successivi svolgerà un ruolo di primo piano nell’opposizione politica e culturale al regime comunista.
Nel 1960 muore la madre Anna Maria. Si reca in Unione Sovietica con una delegazione di scrittori. Su “Życie Literackie” inizia a tenere la rubrica “Posta letteraria”. Nel 1962 esce la raccolta “Sale” e nel 1963 la poetesse riceva il Premio di II Grado del Ministero della Cultura.
Nel 1964, trentaquattro intellettuali pubblicano una lettera di protesta contro la censura e la limitazione della libertà di parola. Il governo organizza una raccolta di firme contro tale lettera, a cui aderiscono quasi ottocento ricercatori, scrittori e artisti: fra questi vi è anche la Szymborska. Sarà l’ultima volta che si schiera dalla parte del potere.
Nel 1966, in segno di solidarietà con il filosofo Leszek Kołakowski, espulso dal Partito e allontanato dall’Università di Varsavia, la Szymborska e altri scrittori restituiscono la tessera del partito. La poetessa perde il posto di direttore della sezione poesia di “Życie Literackie”, ma le viene proposto di tenere una rubrica: nascono così le “Letture facoltative”, che avranno molto successo anche come pubblicazioni autonome.
Nel 1975 la poetessa firma la cosiddetta Lettera dei Cinquantanove, che si oppone all’introduzione nella Costituzione del ruolo guida del Partito Operaio e dell’indissolubilità del legame polacco-sovietico. Nel 1978 firma la dichiarazione costitutiva del TKN (Associazione per i corsi scientifici), che si propone di divulgare un sapere sottratto al controllo della censura.
Nel 1981 inizia a collaborare con il mensile di Cracovia “Pismo”, che per ragioni politiche avrà vita breve. IL 13 dicembre, giorno in cui il generale Wojciech Jaruzelski proclama lo stato di guerra in Polonia, firma una dura lettera in difesa del KOR (Comitato per la difesa degli operai), che le costa il posto di collaboratrice con la rivista “Życie Literackie”.
Nel 1982 pubblica una traduzione del poeta barocco francese Théodore Agrippa d’Aubigné e, nel 1983, l’Antologia della poesia ebraica. Nel 1986 esce il volumetto di poesia “Gente sul ponte”, che ottiene un premio ministeriale rifiutato dall’autrice. Nello stesso periodo riceve e accetta il Premio Culturale dell’organizzazione clandestina di Solidarność.
Nel 1989 è tra i fondatori del SPP (Associazione degli scrittori polacchi), che riunisce gli scrittori dell’opposizione. Dopo il crollo del regime, viene ammessa al PEN Club. Nel 1991 riceve il Premio Goethe dalla Città di Francoforte. Nel 1993 esce la raccolta di poesia “La fine e l’inizio”. Nel 1995 diviene membro dell’Accademia Polacca delle Arti e delle Scienze; riceve la laurea honoris causa dall’Università di Poznań e il Premio Herder dall’Università di Vienna.
Nel 1996 riceve il premio del PEN Club polacco e, pochi giorni dopo, il Premio Nobel per la Letteratura. Nel 2001 diviene membro dell’American Academy of Arts and Letters. Muore il 1 febbraio 2012, a Cracovia, dopo una lunga malattia.
Wisława Szymborska
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