Gli Autori, innanzitutto, inquadrano il problema:
- l’emicrania è un disturbo diffuso e debilitante, ancora poco compreso nei suoi meccanismi biochimici;
- circa due terzi delle persone che ne soffrono sono donne;
- le persone affette da emicrania soffrono spesso di gravi comorbilità, come allergie, depressione, sindrome dell’intestino irritabile e altre ancora;
- anche le comorbilità colpiscono maggiormente le donne;
- nonostante queste significative evidenze, le attuali terapie dell’emicrania non sono genere-specifiche;
- raramente l’emicrania e le sue comorbilità sono curate da uno stesso specialista, con conseguente frammentazione degli interventi e riduzione della loro efficacia complessiva.
Alla luce di queste considerazioni, gli Autori sottolineano che è indispensabile approfondire il ruolo dei mastociti nella genesi del dolore in generale, e dell’emicrania in particolare. Questa esigenza è giustificata da quanto già sappiamo:
- sulla possibilità, da parte dei mastociti, di liberare sostanze infiammatorie che attivano il sistema del dolore, con possibile cronicizzazione – e viraggio del dolore da nocicettivo a neuropatico, ossia malattia in sé – quando le cause primarie dell’infiammazione stessa non vengano prontamente rimosse;
- sul contributo della comunicazione bidirezionale fra mastociti e fibre nervose nella generazione e nella trasmissione del dolore;
- sulla presenza, nei mastociti, di recettori per gli estrogeni e il progesterone, le cui fluttuazioni periodiche potrebbero spiegare le differenze di genere che si osservano nelle patologie caratterizzate da dolore, nell’evoluzione del dolore cronico e appunto nell’emicrania.
Gli Autori concludono esprimendo la speranza che le evidenze sinora raccolte incoraggino i ricercatori a chiarire sempre meglio, con nuove sperimentazioni, la fisiopatologia dell’emicrania, e in particolare le correlazioni esistenti fra differenze di genere e azione dei mastociti, per arrivare a terapie più mirate ed efficaci.
Le fluttuazioni di estrogeni e progesterone sono responsabili, in particolare, della cefalea mestruale (“catameniale”). La prima terapia davvero mirata dovrebbe ridurre/azzerare le fluttuazioni ormonali, responsabili delle crisi cicliche di cefalea. In effetti, gli studi Harmony 1 e Harmony 2, prospettici, randomizzati, controllati, condotti in Europa, Nord-America e Australia, lo dimostrano. In questi studi, infatti, sono state paragonate la pillola con estradiolo valerato/dienogest (EV/DNG), con 26 giorni attivi e due placebo, verso due altre pillole con etinilestradiolo e levonorgestrel l’una, l’altra con etinilestradiolo e norgestimato, entrambe con regime di 21 giorni attivi e 7 di pausa. E’ stata dimostrata la netta superiorità del regime EV/DNG nel ridurre significativamente la cefalea mestruale, grazie al fatto che il regime 26+2 dà livelli plasmatici costanti di estradiolo, che stabilizzano i mastociti, riducendo la liberazione di molecole infiammatorie, vero trigger della cefalea: diversamente quindi dalle pillole classiche di 21 giorni con 7 di pausa (Hormone Free Interval, HFI), che nella sospensione propongono la stessa caduta ormonale tipica del ciclo naturale, facilitando quindi l’innesco mastocitario della cefalea.
Per saperne di più, si veda il mio articolo "The shorter, the better: a review of the evidence for a shorter contraception hormone-free interval", al link sotto riportato.