EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Dio conta le lacrime delle donne – Prima parte

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
13/04/2011

Elena Lea Bartolini De Angeli

Guida alla lettura

Il Talmud ebraico afferma che «Dio conta le lacrime delle donne». Che cosa significa questa bella e strana espressione? In un denso articolo che pubblicheremo in tre puntate, Elena Lea Bartolini De Angeli, teologa e docente di Giudaismo, ci aiuta a comprenderne le molteplici sfumature attraverso una rilettura di passi biblici e tradizionali.
Tre i punti cardine della riflessione. Primo: “contare” è un gesto che dimostra attenzione e considerazione. Anche Cristo, in un passo che sottolinea l’importanza dei discepoli agli occhi di Dio, afferma: «Persino i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Mt 10,30). E questa considerazione per il femminile si esprime in modo particolare laddove le lacrime siano segno del dolore biologico ed emotivo legato alla trasmissione della vita, una funzione che pone la donna nella sfera di sacralità propria di Dio e ne fa un tramite di benedizione per l’uomo e tutta la famiglia.
Secondo: la donna può confidare nel fatto che le sue lacrime siano contate dal Signore perché, nella tradizione ebraica, ogni aspetto della vita quotidiana, anche il più negativo e contraddittorio, può essere assunto nella preghiera e divenire, in un certo senso, occasione di benedizione del Creatore da parte della creatura. Può sembrare una dinamica spirituale difficile da capire, per noi occidentali, ma il fiducioso abbandono che Gesù ebbe nei confronti del Padre, anche nei momenti più difficili della sua vita, ci insegna come anche per i cristiani sia questo il corretto atteggiamento da tenere nei confronti di un Dio che non svela il perché del male e del dolore, ma si rende disponibile ad attraversarli con noi, al nostro fianco.
Terzo, e forse più importante: Dio ha un tale riguardo per le lacrime della donna che quella musicalissima parola ebraica che significa “utero” – “rechem” e soprattutto il plurale “rachamim”, gli uteri (quasi a voler significare la sovrabbondanza dell’amore che spinge la donna a donare la vita) – indica nella Bibbia anche la misericordia di Dio. Una traslazione semantica estremamente significativa e che ritroviamo nel greco del Nuovo Testamento, ove “splagchnízō” (provo compassione) deriva da “splágchna”, viscere. E’ così, per esempio, che si esprimono Marco, quando narra la guarigione che Gesù opera su un lebbroso: «Mosso a compassione [splagchnistheìs], stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!» (Mc 1,41); e Luca, nella parabola che ci insegna come il nostro “prossimo” sia chiunque versi nel dolore: «Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione [esplagchnísthē]» (Lc 10,33).
Un insegnamento tradizionale tratto dal Talmud [1] precisa che «Dio conta le lacrime delle donne», sottolineando quindi il valore della sofferenza femminile che, rispetto all’uomo, è insita al proprio stato dal punto di vista biologico: oltre alle sofferenze che inevitabilmente segnano la vita di ogni essere umano, la donna soffre in quanto tale in rapporto al suo essere particolarmente coinvolta nella trasmissione della vita. Già il naturale “ciclo femminile” spesso è segnato da una sofferenza più o meno importante, così come la gravidanza può essere difficile, ma il momento che sicuramente è caratterizzato dal dolore è quello del parto: alla gioia per una nuova vita che nasce si contrappone la sofferenza della madre che in quel momento “dà la vita”, rischiando in prima persona.
Vediamo allora come tutto ciò si coniuga con la prossimità della donna alla “sacralità”, in quale orizzonte di “benedizione” e “maledizione” si colloca, e in che modo le immagini femminili nella Scrittura siano collegate sia all’amore che al dolore.

Femminilità e “sacralità”
La vita è un valore e trasmetterla significa “entrare” nella sfera della sacralità di Dio: per questo la lingua ebraica utilizza un termine al plurale (chajim) per designarla in un tutta la sua profondità. Inoltre il parto è caratterizzato dal segno del sangue, anch’esso elemento “sacro” che appartiene al divino. Il fatto che la donna sia particolarmente, e dolorosamente, coinvolta in questa esperienza è uno dei motivi per cui la tradizione ebraica precisa che è proprio la sua presenza accanto all’uomo ad essere fonte di benedizione per lui e per tutta la famiglia:
Disse Rabbi Tanchum a nome di Rabbi Chanilai: «Un uomo che non ha moglie vive senza gioia, senza benedizione, senza bene». [2]
Disse Rabbi Chelbò: «Un uomo deve sempre onorare sua moglie perché le benedizioni discendono sulla casa di un uomo solo per merito di sua moglie». [3]
Per la stessa ragione, nell’ambito della liturgia familiare, è la donna a porre il gesto dell’accensione delle candele per segnare il passaggio dal tempo quotidiano a quello “sacro” e, sempre in relazione alle pratiche religiose, c’è una serie di precetti – in particolare quelli legati a un “orario” – che per la donna non sono obbligatori. Il motivo di tutto ciò è legato ai suoi ritmi biologici:

La donna è legata a un suo tempo, il tempo del corpo, che non è lineare ma ciclico; un tempo “lunare”, come il calendario ebraico. Ci sono Maestri che spiegano questo diverso trattamento, sostenendo che la donna non ha bisogno di tante “regole” imposte dall’esterno perché per sua stessa natura ha già una “regola” interiore. [4]
In una cultura tendenzialmente maschilista tali affermazioni sono di notevole importanza e sottolineano significativamente una differenza positiva nell’ambito del rapporto uomo-donna.

[Segue la prossima puntata]

Note

1) Letteralmente “studio”. Raccoglie le discussioni dei maestri sulla Torah, l’insegnamento divino rivelato al Sinai, e sulla Mishnah, la tradizione orale codificata fra il primo e il secondo secolo dell’era cristiana. Il Talmud è stato redatto in due versioni, palestinese e babilonese, conclusesi fra il quinto e il sesto secolo dell’era cristiana.
2) Talmud Babilonese, Jevamot 62b.
3) Talmud Babilonese, Bava Matzi’ah 59a.
4) M. Ventura, Postfazione, in G. Dreifuss, Maschio e femmina li creò. L’amore e i suoi simboli nelle scritture ebraiche, Giuntina, Firenze 1996, p. 131.

Biografia

Di origini ebraiche da parte materna, Elena Lea Bartolini De Angeli è nata a Pavia nel 1958. Dottore in Teologia Ecumenica con specializzazione in ermeneutica rabbinica, è membro dell’Associazione Italiana per lo Studio del Giudaismo (AISG), del Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) e dell’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana (AMI).
E’ docente di Giudaismo presso il Centro Studi Vicino Oriente di Milano e presso l’ISSR-MI collegato alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale; collabora con diversi Atenei pontifici – tra i quali l’Istituto di Studi Ecumenici S. Bernardino di Venezia, l’Università Pontificia Salesiana (UPS), il San Bonaventura, il Marianum e l’Auxilium di Roma – e con diversi Istituti Teologici.
E’ docente e consulente all’interno di diverse iniziative locali e nazionali per il dialogo fra le chiese e gli ebrei: in particolare, ha curato il progetto Judaica (1998-2003) promosso dalla Casa Editrice Ancora di Milano. Attualmente dirige la collana “Studi Giudaici” per la Casa Editrice Effatà e cura la rubrica “Judaica” per la nuova edizione della rivista “Terrasanta” nell’ambito dei periodici della Custodia francescana. E’ consulente di redazione per le riviste “Terrasanta” e “Jesus”.
Ha curato la revisione ecumenica e la stesura delle voci ebraiche per l’“Enciclopedia del Cristianesimo”, edita da De Agostini (Novara 1997); ha curato alcuni “Quaderni” sull’Ebraismo per le Edizioni Studio Domenicano (Bologna 1997-1999), per le quali ha coordinato anche i “Quaderni” sulle Chiese della Riforma (Bologna 2004-2007).
Ha diretto la sezione “Ebraismo” per la nuova edizione dell’“Enciclopedia Filosofica”, edita da Bompiani (Milano 2006), a cura della Fondazione Centro Studi Filosofici di Gallarate, sotto la direzione del Prof. Virgilio Melchiorre dell’Università Cattolica di Milano.
Collabora con gli Uffici Nazionali della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e con alcune riviste, tra le quali, SeFeR (Studi-Fatti-Ricerche), Qol, Horeb, Studi Ecumenici, Parola Spirito e Vita (PSV), Rivista di Pastorale Liturgica (RPL), La scuola domenicale.
E’ membro del gruppo interconfessionale “Teshuvah” del Centro Ecumenico Diocesano di Milano, per il dialogo fra le chiese e gli ebrei, e collabora con il Segretariato Attività Ecumeniche (SAE). E’ socio fondatore e membro del Consiglio direttivo del Centro Studi Nazareth Alta Formazione (CeSNAF), per la promozione integrale della persona, della coppia e della famiglia.
Parole chiave di questo articolo

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter