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Ricordo di Eliodora

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07/04/2010

Meleagro di Gadara, Antologia Palatina, Libro VII, 476
Tratto da: Lirici greci, a cura di Umberto Albini, traduzione di Gennaro Perrotta, Garzanti, Milano, 1983

Guida alla lettura

Fra le donne cantate da Meleagro di Gadara nel II-I secolo a.C., Eliodora è la figura dai contorni più netti, e i versi a lei dedicati sembrano nascere non da un gioco letterario, ma da un’autentica passione. Per questa donna, il poeta scriverà: «Intreccerò le bianche violaciocche, intreccerò il narciso delicato con i mirti, intreccerò i gigli che sorridono e il croco soave e il cupo giacinto, e intreccerò le rose che amano l’amore, perché sopra le tempie di Eliodora la mia corona copra l’onda della sua chioma» (Antologia Palatina, V, 147).
L’epigramma che proponiamo, invece, ne canta la morte con accenti di profonda commozione. Lo stile è limpido e sobrio; l’uso insistito e sapiente della ripetizione esprime con efficacia il dolore straziante, quasi il pianto singhiozzante del poeta, che infine scolora in una preghiera quasi sussurrata alla madre terra.
Vertice stilistico ed emotivo della lirica di Meleagro, espressione di un sentimento ormai purificato da ogni passione, l’epigramma idealizza la donna amata, come avverrà nell’elegia IV, 7 di Properzio per la morte di Cinzia e, molti secoli più tardi, nei sonetti del Dolce Stil Novo. Lo dedichiamo a tutti coloro che soffrono amaramente per la perdita della persona amata.
A te lacrime, Eliodora,
offro pur sotto terra,
reliquie dell’amor mio.
Lacrime disperate
verso sul tuo sepolcro,
ricordo di passione,
ricordo dell’amore.
Dolorosamente
te, cara anche fra i morti,
dolorosamente
io, Meleagro, piango:
vana offerta ad Acheronte.
Tu, caro mio germoglio,
dove sei? Ti ha rapita,
Ade, ti ha rapita.
La polvere ha insozzato
il mio leggiadro fiore.
Ma te supplico io, Terra,
Terra che tutto alimenti:
tu dolcemente
la molto compianta
stringi al tuo seno, o madre.

Biografia

Meleagro nacque a Gadara, in Palestina, intorno al 130 a.C. La città, sotto il regno dei Seleucidi, era un importante centro di cultura ellenistica.
In gioventù, Meleagro imitò il connazionale Menippo e aderì blandamente al movimento filosofico del Cinismo. Durante quegli anni scrisse le “Càriti”, una raccolta di poesie e prose satiriche, purtroppo andata perduta. In seguito si trasferì a Tiro, dove conobbe e amò numerose donne: le più famose sono Eliodora e Zenòfila, cantate nei suoi epigrammi. Infine prese dimora nell’isola di Cos, ove tornò agli studi filosofici della giovinezza e compose la “Ghirlanda” o “Corona”, un’antologia di epigrammi suoi e di altri 44 poeti: un’opera di grande importanza culturale, perché è alla base di tutte successive raccolte della poesia epigrammatica ellenistica. Di essa possediamo il proemio, in cui il poeta definisce il carattere di ogni poeta con il simbolo di un fiore. Morì a Cos verso il 60 a.C.: di lui conserviamo oltre 130 epigrammi, quasi tutti di argomento amoroso.
Poeta delicato e intenso, estraneo ai grandi eventi della storia, dominati dalla grandezza di Roma, Meleagro sa variare all’infinito i temi amorosi del suo tempo, sfruttando con arguzia e originalità tutta la casistica allora ormai convenzionale delle “rixae”, dei tradimenti, delle gelosie, ma anche della passione e del dolore. Anticipa così l’elegia latina dell’età augustea, che avrà in Tibullo, Properzio e Ovidio i suoi cantori più grandi.
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