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La morte di Laura

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05/10/2011

Da: Francesco Petrarca, "Il trionfo della morte"
In: Trionfi – Rime estravaganti – Codice degli abbozzi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1996

Guida alla lettura

I “Trionfi” sono un poemetto allegorico che Petrarca iniziò verso il 1352, e continuamente rimaneggiò senza mai giungere a una redazione definitiva: dopo la sua morte, furono ritrovati incompiuti e con correzioni, tagli, rifacimenti. L’opera è strutturata in sei visioni, che rappresentano la vicenda personale del poeta e insieme la storia universale dell’umanità: il Trionfo d’Amore sugli uomini, della Castità sull’amore, della Morte sulla castità, della Fama sulla morte, del Tempo sulla fama, dell’Eternità sul tempo.
Concepiti con l’intento di innalzare a dignità classica una forma poetica tipicamente medievale, i Trionfi non riescono quasi mai a elevarsi dal piano dell’erudizione, per quanto dottissima, a quello della poesia, e rimangono una composizione poco organica, gravata da troppi elementi intellettualistici. In alcune parti, però, a volte addirittura in singoli versi, lo slancio lirico prorompe improvviso e potente: e allora per qualche istante ritroviamo il poeta immortale del Canzoniere.
Il racconto della morte dell’amata Laura, racchiuso nel “Trionfo della Morte”, è uno di questi momenti altissimi: il tono levigato, la dolce melodia del ritmo e delle parole riecheggiano senza alcuna inadeguatezza i sonetti più belli. Ne presentiamo l’ultima parte. Laura è circondata dalle amiche in lacrime, ma ha conservato sino agli ultimi istanti la sua abituale serenità. La fine non la ghermisce con violenza, ma spegnendola a poco a poco come un chiaro lume, e il viso si trascolora come quando fiocchi di neve cadono silenziosi su un quieto colle: il trapasso pare un sonno a lungo desiderato, e solo gli stolti potrebbero chiamare “morire” ciò che in lei pare un tranquillo riposare. E su quel bel viso, per una misteriosa legge di contrappasso, persino la Morte pare bella, e – lo sentiamo nel cuore anche se Petrarca non lo dice – finalmente placata nella sua furia infera.
Questi versi commoventi e immortali ci insegnano come dalla morte di una persona buona e profondamente amata possa davvero scaturire, nonostante il dolore della separazione, una motivazione forte a credere che la vita è bella e può continuare anche dopo l’addio: perché quella persona non ci lascerà mai soli, e continuerà ad abitare i nostri giorni, le dolci albe rosate, i tramonti in cui il ricordo di lei si farà struggente e infinito come il cielo. Li dedichiamo a tutte le donne, e in particolare alle giovani madri il cui coraggio di fronte al male e alla morte sa infondere forza e speranza nei loro bambini.
Poi che, deposto il pianto e la paura,
pur al bel volto era ciascuna intenta,
per desperazion fatta sicura,
non come fiamma che per forza è spenta,
ma che per se medesma si consume,
se n’andò in pace l’anima contenta;
a guisa d’un soave e chiaro lume
cui nutrimento a poco a poco manca,
tenendo al fine il suo caro costume.
Pallida no, ma più che neve bianca
che senza venti in un bel colle fiocchi,
parea posar come persona stanca.
Quasi un dolce dormir ne’ suoi belli occhi,
sendo lo spirto già da lei diviso,
era quel che morir chiaman gli sciocchi:
Morte bella parea nel suo bel viso.


(Versione in lingua corrente – A cura della nostra redazione)

Quando ormai, deposti il pianto e la paura, senza più speranza, ciascuna [delle donne] solo a quel bel volto era intenta, se ne andò in pace l’anima serena, non come fiamma spenta a forza, ma che da sé si consuma, come un soave e chiaro lume a cui la forza a poco a poco manchi, serbando fino all’ultimo il suo atteggiamento usuale [di serenità]. Non pallida, ma più bianca della neve che senza vento fiocchi su un bel colle, [Laura] pareva riposare, come stanca. Quando lo spirito fu da lei diviso, quasi un dolce dormire era nei suoi begli occhi ciò che morire chiamano gli stolti: Morte pareva bella nel suo bel viso.

Biografia

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. Il padre, ser Pietro di ser Parenzo (soprannominato ser Petracco da cui, attraverso ulteriori trasformazioni di gusto latineggiante, il cognome del poeta), è notaio e guelfo bianco. Nel 1311 la famiglia si trasferisce nei pressi di Avignone, in Francia, al seguito della corte papale.
Malgrado le precoci inclinazioni letterarie, il padre avvia Francesco agli studi giuridici, prima a Montpellier e poi a Bologna. Nel 1326 il padre muore e il giovane, rientrato in Provenza per riprendere gli amati studi classici, incontra Laura e se ne innamora.
Verso il 1330, Petrarca entra al servizio del cardinale Giovanni Colonna. Appoggiato dall’illustre famiglia romana, compie numerosi viaggi in Europa, durante i quali approfondisce la propria formazione culturale classica e patristica, scoprendo e ricopiando codici antichi.
Nel 1337, tornato in Provenza, si ritira a Valchiusa (oggi Fontaine-de-Vaucluse), ove dimorerà, pur con numerose e lunghe interruzioni, sino al 1353, componendovi molte delle sue opere, in italiano e in latino. Nel 1340, il Senato di Roma lo cinge in Campidoglio della corona poetica. Fra il 1342 e il 1347 riprende i viaggi in Francia e in Italia, continuando a scrivere ma ricoprendo anche numerosi incarichi politici. Il 19 maggio del 1348 apprende a Parma della morte prematura di Laura, uccisa dalla peste così come gli amici Sennuccio del Bene, Giovanni Colonna, Francesco degli Albizzi.
Nel 1953 rientra definitivamente in Italia, presso la corte milanese dei Visconti, per i quali sarà ambasciatore a Venezia, Praga e Parigi. Questa intensa attività non gli impedisce però di godere di lunghi periodi di tranquillità, in città e nella campagna circostante, per attendere a nuovi lavori letterari.
Nel 1362, scoppiata nuovamente la peste, lascia Milano e si reca prima a Venezia, poi a Padova: ospite di Francesco da Carrara, signore della città, dimora spesso anche ad Arquà, sui colli Euganei, in una villetta che egli stesso descriverà come “piccola e graziosa, circondata da un uliveto e da una vigna”. E proprio ad Arquà muore improvvisamente nella notte fra il 18 e il 19 luglio del 1374: si narrerà che sia stato trovato sereno, con il capo chino su un volume di Virgilio, il poeta più amato.
Il “Canzoniere”, la sua opera più famosa, è una raccolta di 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali, selezionati da Petrarca stesso fra la sua vastissima produzione. La maggior parte delle composizioni è dedicata all’amore per Laura, e riflette una tensione straordinaria dal punto di vista umano, poetico e culturale: da un lato, infatti, la donna è cantata e vagheggiata con forti accenti sensuali, ispirati alla lirica italiana e provenzale dei secoli XII e XIII; dall’altro, specialmente dopo la morte della giovane, prevale di lei la visione stilnovistica e poi dantesca della “donna-angelo”, ricolma di ogni virtù, e per tanto fonte di conforto e tramite verso Dio.
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