L’ipersensibilità al dolore è uno dei sintomi più invalidanti della fibromialgia. I ricercatori spagnoli, in particolare, hanno analizzato la relazione fra la tendenza della dieta a produrre effetti infiammatori e la soglia del dolore da pressione esercitata su specifici tender point.
Lo studio ha coinvolto 95 donne affette da fibromialgia e 98 controlli, utilizzando il Dietary Inflammatory Index, l’algometria e una scala analogica visuale. Sono stati valutati anche la gravità complessiva della patologia, la fatigue, i livelli d’ansia e la sensibilizzazione centrale.
Questi, in sintesi, i risultati:
- più elevati punteggi del Dietary Inflammatory Index, ossia la maggiore tendenza di una dieta a produrre effetti infiammatori, correlano, nelle donne ammalate di fibromialgia, con una più elevata sensibilità al dolore da pressione alla nuca (β = 0.234, 95% CI = 0.016-0.452, P = 0.036), al trapezio (β = 0.299, 95% CI = 0.083-0.515, P = 0.007), all’articolazione zigapofisaria (β = 0.291, 95% CI = 0.022-0.559, P = 0.035), alla seconda costola (β = 0.204, 95% CI = 0.060-0.348, P = 0.006), ai glutei (β = 0.591, 95% CI = 0.110-1.072, P = 0.017), al grande trocantere (β = 0.379, 95% CI = 0.016-0.742, P = 0.041) e al ginocchio (β = 0.482, 95% CI = 0.117-0.850, P = 0.011), dopo aver corretto i dati per età, stato menopausale e livelli globali di energia;
- non sono state invece trovate differenze significative fra casi e controlli per quanto riguarda la correlazione fra i punteggi del Dietary Inflammatory Index e gli altri sintomi clinici presi in considerazione.
Si può quindi concludere che una dieta tendenzialmente infiammatoria aggrava l’ipersensibilità al dolore nelle pazienti affette da fibromialgia, il che conferma:
- la natura eminentemente infiammatoria della fibromialgia;
- la necessità – nella difficile terapia di questa patologia – di seguire anche stili di vita sani e che includano non solo una corretta alimentazione, ma anche (come più volte sottolineato in questa rubrica) il movimento fisico regolare.