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Endometriosi: un’infezione batterica potrebbe favorire lo sviluppo della malattia

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Endometriosi: un’infezione batterica potrebbe favorire lo sviluppo della malattia
06/07/2023

Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Commento a:
Muraoka A, Suzuki M, Hamaguchi T, Watanabe S, Iijima K, Murofushi Y, Shinjo K, Osuka S, Hariyama Y, Ito M, Ohno K, Kiyono T, Kyo S, Iwase A, Kikkawa F, Kajiyama H, Kondo Y.
Fusobacterium infection facilitates the development of endometriosis through the phenotypic transition of endometrial fibroblasts
Sci Transl Med. 2023 Jun 14;15(700):eadd1531. doi: 10.1126/scitranslmed.add1531. Epub 2023 Jun 14
Indagare il coinvolgimento delle infezioni da Fusobacterium nella patogenesi dell’endometriosi ovarica: è questo l’obiettivo dello studio giapponese coordinato da Yutaka Kondo e da Ayako Muraoka, della Nagoya University Graduate School of Medicine, in collaborazione con il National Cancer Center di Kashiwa, il Toyota Kosei Hospital, la Shimane University a Izumo e la Gunma University a Maebashi.
Una delle ipotesi più accreditate per spiegare la genesi dell’endometriosi è la mestruazione retrograda, ossia la migrazione del sangue mestruale attraverso le tube con conseguente disseminazione e impianto di cellule endometriali nel peritoneo. Tuttavia, questo modello fisiopatologico presenta due limiti fondamentali:
- non tutte le donne che soffrono di mestruazioni retrograde (relativamente frequenti in età fertile e, in particolare, nelle donne con flussi emorragici) sviluppano un’endometriosi;
- la mestruazione retrograda non spiega la localizzazione dell’endometrio ectopico in sedi extra-peritoneali, per esempio nel tratto urinario (in particolare la vescica), nei polmoni e nel decorso del nervo sciatico.
Si è quindi sempre ipotizzato che altri fattori concomitanti, per esempio di natura immunitaria o ormonale, potessero rendere effettivamente patologico il processo della mestruazione retrograda. Ora da questa ricerca giapponese emerge che uno di questi fattori precipitanti potrebbe essere l’infezione endometriale da Fusobacterium, un genere di batteri anaerobi, Gram-negativi, asporigeni, i cui ceppi sono responsabili dell’insorgenza di diverse patologie, fra cui le malattie parodontali, le ulcere cutanee topiche, la sindrome di Lemierre (una pericolosissima tromboflebite settica della giugulare che può insorgere come complicanza degli ascessi peritonsillari) e, secondo studi recenti e in collaborazione con altri fattori patogeni, persino il cancro del colon-retto.
Lo studio è stato condotto su 79 donne affette da endometriosi ovarica e 76 controlli. Dall’analisi della composizione batterica dell’endometrio e delle isole endometriosiche localizzate nelle ovaie, è emerso che il Fusobacterium era presente nel 64% delle pazienti con endometriosi, ma solo nel 7% dei controlli. Il quadro clinico è stato confermato dai tamponi vaginali.
Il gruppo di ricerca ha poi scoperto che l’azione patogena del Fusobacterium si potrebbe basare su un’alterata risposta immunitaria legata al fattore di crescita trasformante beta (TGF-β), una citochina deputata a controllare la proliferazione cellulare ma che può anche contribuire alla genesi di molte malattie. Questa proteina, iperattivata dall’infezione, promuoverebbe la trasformazione delle cellule endometriali sane in cellule alterate capaci di proliferare, migrare (indipendentemente dalla presenza di mestruazioni retrograde) e aderire ai tessuti extra-uterini.
Infine si è verificato, su femmine di ratto da laboratorio, che:
- l’inoculazione del Fusobacterium accresce effettivamente il numero e l’estensione delle lesioni endometriosiche;
- con un trattamento antibiotico a base di metronidazolo e cloramfenicolo, la formazione delle lesioni diminuisce sensibilmente.
Anche se la controprova terapeutica è stata ottenuta per il momento solo in modello animale, questo studio migliora la nostra comprensione dell’endometriosi e accresce le probabilità di mettere a punto, in futuro, una cura eziologica e forse anche una strategia preventiva. Lo studio giapponese, tuttavia, necessita di ulteriori conferme: intanto, presso l’Università di Nagoya, è già partita una nuova sperimentazione per riverificare l’effettiva efficacia del trattamento sperimentato.

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