EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Dal dolore, la leggerezza dell’essere

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
14/10/2020

Tratto da:
Bertolt Brecht, A mia madre
In: Poesie, Einaudi, a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, 2014

Guida alla lettura

Una quartina essenziale, scandita da brevi frasi descrittive che tratteggiano sei situazioni: la morte come scomparsa assoluta (“non esserci più”), la sepoltura come atto asciutto e definitivo (ad opera di figure senza nome e senza volto), i fiori che crescono sul tumulo silenzioso, le farfalle che giocano nell’aria luminosa, la leggerezza del corpo senza vita, la pressione tenue sulla terra che accoglie lentamente. Ma quante felici corrispondenze letterarie, e quanta sapienza, in questa lirica di Bertolt Brecht.
Il primo verso riproduce la categoricità del “symbolon” di fede dei primi Cristiani: «Morì e fu sepolto», a certificare che l’umanità di Gesù non era stata una finzione. Quei fiori viene spontaneo collegarli alla disperata speranza di Sylvia Plath in “I am vertical”: «Sarò utile quando sarò distesa per sempre: forse allora gli alberi mi toccheranno e i fiori avranno tempo per me». L’immagine del “premere la terra” richiama la poesia greca e latina, e un “topos” caro ai Romantici. La leggerezza ci riporta alla mente il folgorante pentametro della defunta Cornelia di Properzio: «Et sum quod digitis quinque legatur onus», sono un peso leggero che sta nel palmo di una mano; e il Calvino delle fondamentali “Lezioni americane”, che parlando di Leopardi sottolinea: «Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sull’insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza dell’aria, e soprattutto la luna».
Poi, proprio sul chiudersi del canto, l’intuizione straordinaria che fa di un capolavoro estetico un documento etico, una lezione di vita di portata eccezionale: «Quanto dolore ci volle per farla così leggera!».
La leggerezza come frutto del dolore: l’esclamazione ha un’evidenza quasi epigrammatica, ricorda le secche ammonizioni del “visibile parlare” che accompagnano il cammino di Dante lungo le cornici del Purgatorio. Che cosa vuole dirci Brecht? Che il dolore dei giorni cattivi ci insegna a tralasciare ciò che nella vita conta di meno, a distillare i nostri sentimenti e le nostre relazioni, a perseguire innanzitutto le cose che fanno vibrare il nostro spirito, a liberarci del fardello delle illusioni ingannevoli, delle maschere imposte dalle convenienze, degli orizzonti di cammino estranei ai nostri desideri più profondi. Insomma, a fare nostra quella felicità che a Leopardi sembrava irraggiungibile. Così questa poesia, che apparentemente parla di perdita, ci insegna a ritrovare noi stessi.
Quando non ci fu più, la misero nella terra.
Sopra di lei crescono i fiori, celiano le farfalle...
Lei era leggera, premeva la terra appena.
Quanto dolore ci volle per farla così leggera!

Als sie nun aus war, ließ man in Erde sie
Blumen wachsen, Falter gaukeln darüber hin…
Sie, die Leichte, drückte die Erde Kaum
Wieviel Schmerz brauchte es, bis sie so leicht ward!

Biografia

Il principale drammaturgo tedesco del Novecento, con un amore smisurato per il teatro. E poi anche un prolifico poeta, che inizia a scrivere liriche giovanissimo e smette solo pochi mesi prima di morire, all’Ospedale della Charité di Berlino. Bertolt Brecht nasce il 10 febbraio 1898 ad Augusta, in Germania, da una famiglia benestante: il padre è amministratore delegato in una cartiera. Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università di Monaco, anche se poi sceglie di passare a Medicina perché così era più facile evitare il servizio militare. A Monaco fa le prime esperienze teatrali, esibendosi come autore-attore. E nello stesso periodo inizia a pubblicare le prime poesie.
Critico nei confronti della società del tempo, Brecht aderisce al marxismo e nel 1933, il giorno dopo l'incendio del Reichstag, quando sale al potere il nazismo, lascia la Germania. Viaggia per 15 anni attraverso molti Paesi europei. Dopo brevi soste in Svizzera e Francia si stabilisce a Svendborg, in Danimarca. Nel 1935 è a Mosca, New York e Parigi. Dal 1939 al 1940, in Svezia. Quando i nazisti invadono la Danimarca, ripara in Finlandia e nel maggio 1941, poco prima dell’arrivo anche lì delle truppe tedesche, si rifugia ancora a Mosca e da qui, via Vladivostok, raggiunge in modo avventuroso gli Stati Uniti dove rimane sei anni, vivendo quasi isolato. Si mantiene progettando film per Hollywood. Collabora con il poeta Wystan Hugh Auden e il regista Fritz Lang.
La collezione “Poesie e frammenti 1913-1933” comprende poesie scritte prima dell’adesione al marxismo e liriche successive. Al primo periodo appartiene la poesia che abbiamo scelto per voi, “Il postero”, e altri versi ancora non ancora dichiaratamente politici, cioè più introspettivi, esistenziali, di riflessione sul proprio destino dal punto di vista sociale e umano, come un’altra lirica con la medesima cifra stilistica, dolorosa, anche drammaticamente pessimista, “Anche il cielo a volte sprofonda”:

Anche il cielo a volte sprofonda
e precipitano sulle terra le stelle.
Frantumeranno lei e noi insieme.
Sarà forse domani quel giorno.

Inquisito negli Stati Uniti per le sue polemiche politiche e sociali, nel 1948 torna in Europa. Berlino è già stata divisa e lui raggiunge Berlino Est, sotto il controllo sovietico, dove dà vita alla celebre compagnia teatrale Berliner Ensemble (1949). Vent’anni prima, nel 1928, come drammaturgo, aveva già raggiunto il successo con l’Opera da tre soldi, feroce satira della società borghese da cui lui stesso proveniva: una rappresentazione spettacolare, ricca di colpi di scena, con graffianti ballate scritte dal compositore Kurt Weill, una su tutte “Die Moritat von Mackie Messer”, tradotta in inglese come “Mack the Knife” (in italiano “La ballata di Mackie Messer”), canzone il cui testo è appunto di Bertolt Brecht.
Tra le sue altre opere teatrali vanno ricordate “Vita di Galileo” e “Madre Coraggio e i suoi figli” (1939). Nel lato poetico della sua attività di intellettuale ha finito per prendere il sopravvento, alla fine, il coté politico, di denuncia, dove la poesia critica la società borghese e le sue contraddizioni, la logica del profitto, per tentare di immaginare una società più giusta.
Brecht muore a Berlino il 14 agosto 1956, all'età di 58 anni, colpito da un infarto.

(Biografia a cura di Pino Pignatta)
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht
Parole chiave di questo articolo
Sullo stesso argomento per pazienti

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter