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Coronavirus: quello che ci toglie, quello che ci insegna

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18/03/2020

Tratto da:
Enzo Bianchi, Altrimenti, La Repubblica, 9 marzo 2020

Guida alla lettura

In questo splendido articolo Enzo Bianchi riflette, con la consueta sapienza, sugli effetti individuali e sociali dell’epidemia da Covid-19: un nemico «non localizzabile, invisibile», e perciò tanto più insidioso.
Sono due le dimensioni della vita quotidiana su cui il virus incide pesantemente: lo spazio e il tempo. Lo spazio fisico, per i vincoli agli spostamenti e le regole per garantire le distanze di sicurezza. Lo spazio emotivo, per il divieto di stare vicini, darsi la mano, abbracciarsi, baciarsi. Il tempo, che improvvisamente appare svuotato delle molte attività a cui eravamo abituati. Per i meno attrezzati dal punto di vista psicologico, l’effetto combinato di uno spazio compresso e di un tempo rallentato può essere l’accidia, il «disgustoso abitare con se stessi» che già i monaci delle origini temevano e che svuota ogni azione della necessaria tensione a uno scopo.
In questo contesto, Bianchi individua tre opportunità di cambiamento e di crescita. Primo: il forzato isolamento dalle attività sociali e produttive può essere l’occasione per leggere libri e ascoltare musica, e viaggiare così nel tempo e nello spazio con libertà ancora maggiore di prima. Secondo: la solitudine domestica può essere occasione di ascolto del silenzio, e di risposta alle domande fondamentali dell’esistenza: chi sono io? chi sono gli altri per me? che cosa voglio fare della mia vita? Terzo: questa crisi può prepararci a uno stile di vita più solidale e aperto – anche se, avverte Bianchi con lucidità, la sofferenza non accresce automaticamente la bontà.
Un’ultima annotazione. Bianchi, monaco, non parla in alcun modo della religione come via di sopportazione e riscatto. Per chi crede in modo maturo, senza infantilismi, la preghiera è via di discernimento, cammino necessario a un’adesione non superstiziosa al comandamento dell’amore verso sé e verso gli altri. Ma qui il fondatore di Bose sceglie un linguaggio più universale, esperibile da tutti, e soprattutto bandisce – in piena coerenza con la propria personale lettura del magistero di Cristo – ogni deriva devozionale, ogni spiritualità doloristica che pure, su molti credenti, esercita da secoli una forte attrattiva.
Non di miracoli, non di perverse equivalenze fra dolore ed espiazione abbiamo bisogno in questa delicata fase dell’esistenza collettiva. Ma di una lettura sapiente dei fatti, che ci prepari a impiegare al meglio il tempo che comunque ci è dato e a «vivere meglio domani».
Improvvisamente siamo diventati consapevoli che un virus ha posto la sua presenza nel nostro vivere quotidiano e che per contenerlo, combatterlo e quindi sconfiggerlo, è diventato per noi necessario comportarci “altrimenti”. Misure sanitarie e misure sociali assolutamente urgenti per la salute pubblica ci chiedono un mutamento di vita, di azione, di stile, che per tutti è limitante, ma è particolarmente penoso e drammatico per le persone sole, anziane, fragili e malate.
Sotto la minaccia del contagio e seguendo i consigli ossessivamente ripetuti dai media, abbiamo visto cambiare anzitutto lo spazio: da aperto, libero, è diventato limitato. Ci sono zone rosse nelle quali si è chiusi, ci sono luoghi da non frequentare, spazi da cui stare lontano. Per gli anziani, soprattutto se vivono in città, lo spazio in cui vivere è ridotto per più settimane all’appartamento. Per tutti poi diventa una legge non avvicinarsi troppo, non abbracciarsi se ci si incontra, non scambiarsi un bacio, non darsi più la mano. L’affetto, l’amicizia, lo stupore dell’incontro devono esprimersi a distanza e, nella esagerata vigilanza, c’è anche chi alza sul viso la sciarpa fino al naso.
Ma non solo lo spazio che abitiamo cambia: anche il tempo che viviamo appare diverso, più lento e financo estraneo. Soprattutto “fare tante cose” non si può più! Appuntamenti, impegni, sport, tutto ciò che ci occupava non è più possibile, e allora che fare chiusi in casa? Dove è andato a finire il nostro “tempo libero” di cui eravamo tanto fieri? Così ci rendiamo conto che la convivenza non è facile in poco spazio e che dobbiamo abitare il tempo senza sentirci alienati, senza lasciarci sorprendere da quel male oscuro che è l’acedia, il disgustoso abitare con se stessi. E non solo il tempo appare lungo e interminabile, ma il nostro disagio assume la figura dell’aggressività, fino a non sopportare chi ci sta accanto. Non è facile accettare restrizioni alla libertà, imparare nuove regole di convivenza che comportano rinunce, sacrifici, cura e servizio all’altro, soprattutto se è più fragile.
Ma questo spazio e questo tempo da vivere in modo nuovo non potrebbero essere l’occasione per leggere libri, per ascoltare musica? Potremmo così viaggiare nel tempo e nello spazio, evocare e rivivere gli amori vissuti, accogliere pensieri che ci commuovono o ci fanno sorridere. Per esempio, sarebbe utile rileggere in questi giorni il capolavoro di Albert Camus “La peste”, per le domande che ci pone.
Stando in casa, soprattutto in questa stagione invernale, potremmo anche ascoltare il silenzio e le sue domande più profonde: chi sono io? Chi sono gli altri che vivono con me? Che senso ha ciò che viviamo nei tempi dell’epidemia? Anche questo è un modo per razionalizzare la paura e spegnere l’angoscia di fronte a questo nemico non localizzabile, invisibile, non individuabile né identificabile in un soggetto.
Questa è un’ora di crisi, cioè un’occasione per operare un giudizio e una scelta. Non mi sento di affermare che questa crisi è un’opportunità che ci renderà più solidali, perché ciò che si soffre non accresce automaticamente l’amore e la bontà, ma mi sento di rinnovare la speranza: se viviamo bene insieme quest’ora, saremo capaci di vivere meglio domani.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi. La comunità oggi conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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