Guida alla lettura
Il primo, importante punto è la constatazione che il tempo dell’epidemia, apparentemente senza fine, ci pone di fronte a una dilatazione dell’attesa a cui non eravamo più abituati: il mito della velocità degli eventi si sta sgretolando sotto i colpi dell’incertezza che governa ormai da un anno i nostri giorni, fra timidi allentamenti del “recinto” legislativo in cui siamo obbligati a vivere e nuove, repentine compressioni delle libertà a ogni peggioramento dei numeri dell’emergenza sanitaria.
Il secondo, decisivo snodo dell’articolo è l’accorata presa d’atto che la pandemia, oltre a minacciare l’esistenza biologica di tutti, uccide in molti casi la vita interiore delle persone meno attrezzate a raccogliere le forze, a darsi un programma, a coltivare una passione che argini il non-senso che sembra contraddistinguere giorni tutti uguali, senza relazioni e senza gioia: molte coppie soccombono sotto la tensione della convivenza forzata, molte persone sole cedono al facile e illusorio risarcimento dell’alcol, dell’ozio inconcludente, sprecando così un tempo che «potrebbe essere dedicato a pensare, stare in silenzio o tentare, per quanto possibile, una relazione con la natura». Quasi in eco al ragionamento di Bianchi, proprio questa settimana esce sul sito di Alessandra Graziottin, nella sezione dedicata alla letteratura scientifica, un articolo americano dedicato all’ansia che sta aggredendo le donne in stato di gravidanza.
Su tutto domina, secondo Bianchi, l’incapacità a esercitare l’«alta virtù» della pazienza, che non è solo accettazione della diversità, ma anche attitudine ad assumere criticamente la complessità degli eventi, traendone metodi e obiettivi per una vita che non sia solo sopravvivenza, ma – per dirla con Leopardi – «vita viva, cioè vera vita» (Operette morali, Dialogo di un fisico e di un metafisico).
Ricapitolando: pensiero, silenzio, progettualità, pazienza, natura: questi alcuni fra i possibili strumenti con cui affrontare una pandemia che sembra non finire, per conservare la bellezza delle relazioni interpersonali, per non perdere il rapporto con se stessi.
Siamo avvertiti sui mutamenti del nostro comportamento, sui nuovi assetti che si stanno delineando, segnati da fine e distruzione di legami, storie, equilibri che davano senso al nostro quotidiano. Dai dati forniti da diversi e qualificati osservatori la famiglia risulta essere la realtà più ferita: le separazioni sono infatti aumentate del 60%, con stima per difetto. La vita comune in condizioni di “clausura” e di numerose limitazioni diviene faticosa, conflittuale, in particolare tra coniugi, uomini e donne impegnati in storie di amore. Si giunge alla non comprensione reciproca, a una tensione non parlata, quando non esplicitamente ad atteggiamenti verbali e fisici di violenza. Ecco allora la separazione come via inevitabile per non permettere che una vita all’insegna dell’amore si trasformi in vita infernale.
A partire da questi dati mi sento di rilevare quanto segue: nella nostra società, che da qualche decennio è sempre più individualista e segnata da tratti di narcisismo, non c’è più “pazienza”, l’alta virtù che consente di vivere accettando la diversità, l’alterità, la complessità. Pazienza come makrothymìa, capacità di sentire in grande e di sopportare le debolezze altrui. Il conflitto non pare neanche più gestibile e viene inteso solo come via che conduce alla separazione e alla rottura, esiti accompagnati da sofferenza, confusione e disordine sociale.
Ma oltre alle famiglie soffrono per la “clausura” anche i single, trascinati in una noia, in un’accidia spesso riempita con il conforto dell’alcol. Il non poter uscire di casa e il non poter incontrarsi di persona induce al consumo di alcol nella desolante solitudine dei propri appartamenti. Contatti ed empatia sono decisivi nella lotta contro questa deriva, e invece, purtroppo, quanti tentano di uscirne vedono crescere le loro difficoltà a incontrarsi e a essere supportati in un cammino già difficile.
Ma si pensi anche a quanti, per mancanza di spazio nelle loro case, restano ore e ore davanti allo schermo di un computer, non solo per il lavoro da remoto ma anche per la fruizione di altri contenuti, spesso stesi su un letto o su un divano. Il movimento diventa più difficile, il corpo si impigrisce e i social assorbono quel tempo che potrebbe essere dedicato a pensare, stare in silenzio o tentare, per quanto possibile, una relazione con la natura. E potremmo continuare riflettendo sul malessere degli adolescenti…
In breve, quasi tutti, pur con modalità diverse, in questo tempo soffrono, senza intravedere orizzonti di speranza, e tutti sono messi alla prova nella loro qualità umana. Lo testimonia la crescita della cattiveria e della violenza, che si esprime anche nella piaga dei femminicidi. Di fronte a ciò sorge spontanea una domanda: perché nei media vi è così tanto spazio per la pandemia, ma così poca riflessione sui suoi effetti sociali?
Biografia
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.