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«La tua fede ti ha salvata». Meditazione su Mc 5,21-43

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19/08/2009

Tratto da:
Comunità di Bose, Eucaristia e Parola, Testi per le celebrazioni eucaristiche – Anno B (a cura di Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lisa Cremaschi e Luciano Manicardi), Vita e Pensiero, Milano 2008, pag. 185-187

Guida alla lettura

I fratelli e le sorelle della comunità monastica di Bose ci invitano a riflettere su un importante episodio della vita pubblica di Gesù: la guarigione di una donna affetta da emorragie, e la resurrezione della figlia di Giairo, uno dei capi della sinagoga. Due miracoli che attestano come Dio voglia che gli uomini vivano in pienezza e che rinviano, nel loro valore di segni eloquenti, alla promessa della vita eterna.
Due rilievi ci sembrano particolarmente importanti, anche per i non credenti. Primo: ogni malato ha un suo modo di chiedere aiuto, di esprimere il proprio “bisogno di vita”. E questo è un elemento fondamentale che ogni professionista della salute dovrebbe tener presente per impostare un corretto rapporto con i pazienti. C’è la persona che sa leggere il proprio disagio e lo comunica con efficacia; e c’è chi non sa, o non osa, esprimersi di fronte al medico, ma può parlare con il corpo, con un gesto, con uno sguardo che chiede soccorso e comprensione. Gesù ci insegna che, in questi casi, l’ascolto può vincere il timore, portando a una guarigione che è innanzitutto conquista di una relazione pacificata con gli altri e con se stessi, perché vissuta nell’apertura liberante del cuore.
Secondo: come nel caso della donna è decisivo passare dal non detto alla parola, così nella casa di Giairo è vitale passare dallo strepito al silenzio. Il rumore (sia esso la disperazione scomposta intorno al morente, o la falsa parola con cui ci illudiamo di rassicurarlo sulle sue condizioni) può fuorviarci al punto da non saper più cogliere le reali esigenze del malato, il suo bisogno di verità e di presenza, ma anche – paradossalmente – le sue residue possibilità di recupero: è questo il tragico significato della derisione che colpisce Gesù nel momento in cui rivela come la fanciulla non sia morta, ma solo addormentata. Ed è quanto mai significativo che il verbo greco che indica la cacciata dei familiari e degli amici increduli (ekbállō) sia lo stesso utilizzato, in altri passi dei Vangeli, per descrivere Cristo nell’atto di “scacciare” i demoni (cf. Mc 1,39), che nella mentalità del tempo erano alla radice non solo del male morale, ma anche di molte malattie: chi non sa porsi in sintonia con il malato si fa complice della malattia, perché al dramma della sofferenza fisica aggiunge il dolore infinito del non ascolto e dell’incomprensione.
La volontà di Dio è la vita degli uomini e Gesù manifesta tale volontà guarendo una donna la cui vita era ormai sequestrata dal suo male e risuscitando una giovane già preda della morte. Il contrasto tra vita e morte chiede all’uomo di accedere alla fede per ottenere liberazione, salvezza, pienezza di vita.
Nel vangelo l’incrociarsi dei due personaggi (la donna affetta da emorragia e Giairo) mostra le diverse maniere con cui l’uomo, nel suo bisogno, si rivolge al Signore. Unico per tutti è il bisogno di vita, diverso il linguaggio che ciascuno esprime. Giairo, uomo con funzione sociale e religiosa importante, supplica, parla molto, ma ha anche il coraggio e l’umiltà di inginocchiarsi, di gettarsi a terra davanti a Gesù (cfr. Mc 5,22-23). L’emorroissa parla invece con il corpo, con il tatto, non dice parola alcuna, se non interiormente, tra sé e sé, per dotare di intenzionalità il suo toccare (cfr. Mc 5,27-28). Ognuno, nel proprio bisogno, va a Dio con il proprio linguaggio, cioè con tutto se stesso, con la verità di se stesso. “Supplicare” non è solo proferire parole che chiedono aiuto, ma è atto di tutta la persona che si “piega sotto”, si raggomitola all’ombra del Signore, si rifugia in lui cercando relazione e salvezza.
A Giairo, che ha ormai appreso la notizia della morte della figlia e ricevuto l’invito a non disturbare più il Maestro, Gesù dice di continuare ad avere fede (cfr. Mc 5,36); alla donna che ha toccato il suo mantello, Gesù proclama: «La tua fede ti ha salvata» (Mc 5,34). L’impotenza dell’uomo diviene luogo di dispiegamento della potenza di Dio. Giairo chiedeva la guarigione della figlia e deve scontrarsi con la sua morte; la donna chiedeva di essere salvata e Gesù attribuisce la salvezza alla sua fede. Siamo di fronte al misterioso potere dell’impotenza riconosciuta e assunta nella fede.
La fede non si limita a invocare vita e scampo dalla morte, ma è essa stessa traversata da una dinamica di morte e di vita. La fede cristiana è rischio mortale e possibilità impensata di vita. E’ l’atto con cui il credente partecipa al movimento pasquale della morte e della resurrezione di Cristo. Ponendo la propria fede nella fede di Gesù, il credente assume l’impotenza e la disperazione della sua situazione e, aprendosi alla potenza e all’amore di Dio, spera contro ogni speranza.
Il testo suggerisce la particolarità della comunicazione che la donna stabilisce con Gesù. Un contatto non verbale, tattile, ma carico di intenzione, che Gesù “sente” diverso dal contatto anonimo della folla che lo pressa. Contemporaneamente Gesù sente una forza uscire da lui e la donna sente nel suo corpo la guarigione avvenuta. «Essa conobbe grazie al suo corpo [...] Egli conobbe in se stesso» (Mc 5,29.30): da parte della donna un’intelligenza corporea, da parte di Gesù una percezione interiore. Il coraggio della donna che, nonostante la sua condizione di “impura”, osa toccare Gesù viene letto da Gesù nella verità della sua intenzione profonda: la sete di guarigione e di vita. Il pudore stesso della donna che, colpita da emorragia intima, non domanda e non implora, ma si limita a toccare il mantello di Gesù, diviene linguaggio ascoltato da Gesù che, fonte della vita, guarisce colei che era colpita proprio nella sorgente della vita.
Gesù opera due azioni di guarigione, ma conduce anche a pienezza di relazione sia la donna che Giairo. Chiedendo «Chi mi ha toccato il mantello?» (Mc 5,30), Gesù porta la donna a vincere il timore che la teneva nel nascondimento e a passare dal gesto alla parola fino a dirsi davanti a lui, anzi, fino a dirgli «tutta la verità» (Mc 5,33). Nel caso di Giairo, che lo supplicava “molto” (Mc 5,23), e della sua casa in cui molta gente urlava e faceva trambusto, Gesù fa compiere un cammino che dalla parola e dal rumore va al silenzio. Solo nel silenzio si può discernere la verità della situazione: «La bambina non è morta, ma dorme» (Mc 5,39). L'occhio della fede vede nel silenzio.

Il brano del Vangelo di Marco

Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
E subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Và in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Biografia

Enzo Bianchi è fondatore e priore della comunità monastica di Bose, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
Luciano Manicardi è Maestro dei novizi e Vice Priore. Goffredo Boselli è responsabile della liturgia del monastero e autore di numerosi libri in materia. Lisa Cremaschi, anch’ella monaca di Bose, è autrice di numerose opere sulla storia e le fonti del monachesimo.
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