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Malattia e vergogna: per un rapporto liberante con il paziente. Meditazione su Mc 5,21-43

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18/07/2012

Tratto da:
Enzo Bianchi, Ascoltate il figlio amato!, Il vangelo festivo Anno B, San Paolo Edizioni 2008

Si ringrazia l'Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Enzo Bianchi commenta un passaggio del Vangelo di Marco su cui già nel 2009 presentammo una riflessione a più voci a cura della comunità monastica di Bose («La tua fede ti ha salvata». Meditazione su Mc 5,21-43): vi vengono narrate la guarigione di una donna affetta da emorragie, e la resurrezione della figlia di Giairo, uno dei capi della sinagoga.
In quell’occasione sottolineammo come il complesso episodio insegni due verità particolarmente significative: ogni malato ha un modo personalissimo di chiedere aiuto (Giairo si esprime con parole accorate e precise, la donna con il contatto fisico), e questo – dicevamo – è un fattore che ogni professionista della salute dovrebbe tener presente per impostare un rapporto realmente umano e clinicamente efficace con i propri pazienti; il rumore (il pianto e lo strepito dei parenti di Giairo, ma anche la paradossale derisione per le parole di vita espresse da Gesù) può fuorviarci al punto da non saper più cogliere le reali esigenze del malato e persino le sue effettive possibilità di recupero.
Bianchi ribadisce alcuni di questi concetti, e poi aggiunge un’osservazione importantissima: la compassione di Cristo è così profonda che abbatte «le barriere innalzate dalle prescrizioni religiose» (il contatto con una donna affetta da flussi ininterrotti, secondo le credenze del tempo, rendeva impuri) e infonde fiducia anche a chi «non osa neppure chiamare per nome le malattie che lo assalgono». Un dato netto, che fa giustizia delle tante deviazioni spirituali che, nel corso dei secoli, hanno associato la malattia ai concetti di peccato e punizione divina, così come delle forme di emarginazione psicologica e sociale che ancora oggi colpiscono chi è affetto da patologie istintivamente associate alla colpa morale. Aiutare il paziente a superare la vergogna del proprio male: è questo il primo e fondamentale obiettivo di una medicina davvero moderna e attenta a curare la persona nella sua integrità.
Dalla terra pagana di Gerasa, Gesù fa ritorno alla riva del lago adiacente a Cafarnao, e qui molta folla si raduna attorno a lui: Gesù è ormai conosciuto, è ritenuto maestro e profeta da molti che lo cercano e vanno a lui per ascoltarlo e, nello stesso tempo, per presentargli la loro situazione di bisogno, sperando di ottenere liberazione da ciò che minaccia la loro esistenza.
Anche Giairo, un capo della sinagoga, un uomo che aveva cioè una funzione socio-religiosa ufficiale all’interno del popolo di Israele, incurante dell’inimicizia e dei sospetti nutriti dalle autorità giudaiche verso Gesù, si reca da lui a chiedergli aiuto per la figlia dodicenne, gravemente malata e ormai prossima alla morte. Quest’uomo prega secondo le proprie capacità: «Si gettò ai piedi di Gesù e lo supplicava con insistenza: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva!”». Subito Gesù acconsente e si incammina verso la casa di Giairo, mentre la folla che lo segue si accalca intorno a lui…
In quella ressa tumultuosa una donna cerca di mettersi in relazione con Gesù per essere guarita: è malata di emorragia, si trova dunque in uno stato di impurità secondo la Legge (cf. Lv 25,25-30) che la costringerebbe a vivere segregata, astenendosi da ogni contatto con altre persone; eppure, spinta dalla fede in quel profeta di Galilea e dalla speranza nella sua “forza”, cerca di toccare il suo mantello. E’ un altro modo per avvicinarsi a Gesù e porsi in relazione con lui: senza proferire parola, ma semplicemente toccandolo (cf. 1Gv 1,1). «E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male».
Gesù avverte però di essere stato toccato in modo particolare da quella donna; nonostante la calca egli sente infatti uscire dal suo corpo una potenza risanante, una risposta alla domanda di chi ha fede in lui: siamo qui di fronte a un evento di straordinaria comunicazione tra la fede della donna che sfiora Gesù e la compassione dello stesso Gesù che immediatamente le risponde… Ora, secondo la Legge Gesù ha appena contratto l’impurità che grava su quella donna, eppure non la rimprovera, non conferma le barriere innalzate dalle prescrizioni religiose; al contrario, le rivolge parole frutto di profondo discernimento e di grande umanità: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Non è avvenuta alcuna azione di magia, bensì un evento dovuto alla fede, un segno di salvezza e di pace messianica offerto a chi si è avvicinato a Gesù con fede!
Dopo questo inciso, l’evangelista riprende la narrazione dell’episodio precedente: «Mentre ancora Gesù parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: “Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il maestro?”». Ancora una volta, però, Gesù reagisce con parole che disorientano i suoi interlocutori; egli si rivolge a Giairo dicendo: «Non temere, continua solo ad avere fede!… La bambina non è morta, ma dorme». Sì, la fede non può essere un fatto di breve durata, ma deve essere adesione salda e perseverante, anche di fronte alle contraddizioni più gravi: in caso contrario non è fede autentica, ma solo un effimero slancio del cuore (cf. Mc 4,16-17). Ecco infatti che Gesù, seguito dai tre discepoli più intimi, quelli che saranno i testimoni della trasfigurazione (cf. Mc 9,2) e dell’agonia al Getsemani (cf. Mc 14,33), rivela la sua potenza sul male estremo, la morte: «Presa la mano della bambina, le disse: “Fanciulla, io ti dico, svegliati!”. Subito la fanciulla si rialzò». In questo episodio così quotidiano fa capolino il linguaggio cristiano per parlare della resurrezione (cf. Ef 5,14), profeticamente annunciata in questo segno operato da Gesù: aver fede in Gesù significa mettere in lui la propria speranza, riconoscendolo pienamente Signore su ogni male, e addirittura sulla morte.
Ancora oggi noi che cerchiamo Gesù andiamo a lui gridando il nostro bisogno, oppure in preda alla vergogna di chi non osa neppure chiamare per nome le malattie che lo assalgono. Eppure non dobbiamo temere nulla: basta che noi desideriamo con cuore sincero il contatto e la relazione con lui, «il Santo di Dio» (cf. Mc 1,24; Lc 4,34; Gv 6,69), per essere da lui purificati, guariti e santificati.

Il brano del Vangelo di Marco

Essendo passato di nuovo Gesù all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
E subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!». E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato, disse loro: «Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico, alzati!». Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.

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